Pensare Globale e Agire Locale

PENSARE GLOBALE E AGIRE LOCALE


sabato 17 dicembre 2011

UE: I sette peccati degli europei

Dietro la facciata della solidarietà e dell'impegno europeista, ogni paese ha i suoi vizi privati che rifiuta categoricamente di ammettere o affrontare. È proprio l'indulgenza verso queste mancanze che rischia di far sprofondare il progetto europeo.

Accidia
GRECIA – La colpa è di Angela Merkel, dicono. Se l’Europa è in difficoltà è a causa dell’insensibilità tedesca. Queste le spiegazioni che i tabloid danno della crisi in corso in Grecia, questi gli slogan dei manifestanti e dei leader populisti. Il problema non è originato dall’indebitamento dei greci, bensì dal fatto che gli stranieri li richiamano all’ordine, li incalzano ad agire, fanno loro la morale. Reagendo in questo modo, però, negano l’evidenza a loro stessi e mentono all’Europa.
Si resta davvero colpiti dall’autoindulgenza dei greci. Chi sono i  responsabili delle attuali ristrettezze? Di una società indebitata, di gente persuasa che l’Europa sarà sempre sufficientemente ricca da correre in aiuto della repubblica  ellenica? Le multinazionali, che si aggrappavano ai propri privilegi. I ferrovieri del settore pubblico, che ricevevano stipendi mirabolanti col favore di complicate griglie salariali. Le famiglie, che si mettevano in tasca le pensioni dei loro cari ormai defunti. I rappresentati politici, che assumevano nipoti e parenti dei loro elettori. I nipoti e i parenti di questi ultimi che si facevano assumere. I media ateniesi parlano di tutto questo, naturalmente. Quello che manca, tuttavia, è l'esplosione di una grande collera catartica contro questi greci.
Ad Atene i populisti tagliano i panni addosso ad Angela Merkel, ma sono assai più clementi nei confronti dei responsabili locali dell’attuale situazione, perché preferiscono inveire contro uno spaventapasseri lontano che far pulizia in casa propria. È da questa debolezza, da questa incapacità di fare autocritica che nasce la vera crisi greca. Michael Thumann 
Occultamento
SVIZZERA – Le somme di denaro nascoste solo colossali. Talmente colossali che dovrebbero far spalancare gli occhi ai responsabili politici europei. Soltanto in Svizzera i privati – in gran parte europei – tengono nascosti 1.560 miliardi di euro. Altri 1.400 li hanno occultati in Gran Bretagna, per lo più nelle isole della Manica; 440 in Lussemburgo, 78 nel Liechtenstein. Tutti questi paesi sono complici di evasione fiscale: prelevano le ricchezze delle altre nazioni e campano di interessi. Come reagisce l’Europa? Invece di indignarsi con una voce sola, le capitali europee considerano queste pratiche scandalose alla stregua di vecchie tradizioni, di affari diplomatici.
Per quanto riguarda il Liechtenstein e la Svizzera, sono pochi i paesi – tra essi c’è la Germania – che hanno voluto firmare accordi per una duplice ingiunzione: l’idea è che una parte dei debiti fiscali sia rimborsata al paese d’origine dei capitali per mezzo di un’imposta forfettaria. Questo criterio compromette il progetto della Commissione europea di instaurare scambi automatici di informazioni miranti a rintracciare gli evasori, progetto respinto anche dal Lussemburgo. Quel medesimo Lussemburgo che predica così volentieri la solidarietà europea. Peer Teeuwsen 
Avarizia
GERMANIA – Può mai esistere un’Europa nella quale un paese esporta e ne trae vantaggi mentre gli altri consumano e si indebitano? I tedeschi sono orgogliosi delle loro esportazioni, che dimostrano quanto sia performante la loro economia. Ma quando un paese vende all’estero più di quanto non compri in patria, nascono problemi per tutti. Quest’anno le esportazioni tedesche verso i paesi dell’Ue hanno prodotto un’eccedenza di 62 miliardi di euro. Questo significa che le merci prodotte in Germania non sono scambiate con merci prodotte all’estero, ma sono per così dire consegnate a credito. L’Europa del sud si indebita nei confronti dei tedeschi per comperare prodotti made in Germany. In altri termini, la ricchezza dei tedeschi dipende interamente dall’indebitamento dei paesi vicini. E chi sono i primi a lamentarsi di tali debiti? Proprio i tedeschi.
Un giorno o l’altro i debitori correranno il rischio di fallire e i creditori dovranno ritoccare al ribasso le loro esigenze di rimborso. In questi ultimi anni la Germania ha accumulato circa mille miliardi di euro in beni esteri, e il giorno in cui il sud d’Europa non sarà più in grado di pagare dovrà dire addio a buona parte di quei soldi.
Da qui nascono le dichiarazioni della cancelliera, che vuole che tutti diventino come i tedeschi. In altre parole, i paesi in questione dovrebbero esportare più di quello che importano, abbassare i loro stipendi e imparare a gestire i consumi. Più facile a dirsi che a farsi. Se tutti quanti si mettessero a vendere soltanto, non ci sarebbe più nessuno che comprerebbe. E l’economia segnerebbe il passo. Se gli europei non vogliono inondare il resto del mondo dei loro prodotti – cosa che il resto del mondo non lascerà loro fare – occorre dunque raggiungere un certo equilibrio all’interno della stessa Ue. Gli italiani dovranno stringere la cinghia, e i tedeschi spendere di più. Mark Schieritz
Gola
SPAGNA – "Non svuoterai di pesci il mare dei tuoi vicini” potrebbe essere uno dei nuovi comandamenti europei, seguito da: “I tuoi agricoltori non vivranno più in costante dipendenza dei sussidi europei”.
Per il periodo 2007-2013 il settore spagnolo della pesca si è visto allocare oltre un miliardo di dollari (767 milioni di euro) da Bruxelles, ovvero molto più di qualsiasi altro paese dell’Ue. Dato che le acque europee sono ipersfruttate, la Spagna manda le proprie flotte di pescherecci ultramoderni davanti alle coste del Senegal o della Mauritania, non lascia granché ai pescatori locali e supera le quote di mercato convenute.
Bisognerebbe perseguire i responsabili e firmare accordi per la pesca tra l’Ue e i paesi africani, ma il governo spagnolo si oppone da tempo. Allo stesso modo è indispensabile una nuova riforma del sistema europeo dei sussidi all’agricoltura: oltre 50 miliardi di euro lasciano ogni anno le casse di Bruxelles per andare a finire nelle tasche degli agricoltori europei. La maggior parte di tali sussidi va direttamente a loro, che così possono mantenere la propria competitività in un settore di forte concorrenza che ricorre spesso al dumping. Nel frattempo, buona parte della carne, dei latticini e delle verdure a basso prezzo di Spagna, Italia, Francia e Germania inonda i mercati africani.
Gli esportatori sostengono che è un bene per i poveri. Il fatto, però, è che la produzione locale di beni di consumo di paesi come Ghana, Camerun o Costa d’Avorio crolla, e in caso di abbassamento dei prezzi agricoli di base questi paesi non possono più permettersi di importare latte in polvere, pollame o cereali dall’Ue.
Se ciò dovesse poi sfociare in una vera e propria crisi alimentare, questi stessi paesi potrebbero sempre contare sull’Europa: in termini di aiuti umanitari, infatti, l’Ue  è la prima donatrice al mondo. Andrea Böhm
Egocentrismo
IRLANDA – Si può essere d'accordo con il ministro della cultura irlandese: “Siamo un popolo felice e profondamente sincero. Per gli imprenditori stranieri sono cose che contano”. Nessuno lo mette in dubbio. Ma osservando più da vicino, niente vieta di pensare che le imposte irlandesi siano uno dei piccoli motivi che spiegano perché l'isola attiri le imprese internazionali come una calamita. Infatti in questo paese la tassa sulle società è solo del 12,5 per cento, cioè molto al di sotto della media europea. La maggior parte dei paesi Ue, come la Germania e la Francia, tassa le imprese per circa il 30 per cento. In un mercato unico che dovrebbe garantire l'uniformità delle condizioni commerciali, come si può giustificare un tale divario?
Prima della crisi del debito, l'Irlanda attirava già decine di grandi multinazionali: Facebook, Intel, Pfizer, Merk, Sap, Ibm – tutti facevano la fila per andare sull'isola del céad míle fáilte (“100mila benvenuti”). Tutto molto bello, ma la logica che ne deriva è decisamente insulare: più le imprese arrivano numerose, più lo stato può essere generoso nei loro confronti. E anche se il governo irlandese prevede di aumentare alcune tasse, l'imposta sulle società non figura nell'elenco.
Secondo Dublino l'Irlanda deve compensare alcuni svantaggi competitivi imposti dalla natura – per esempio il fatto che non vi si può arrivare in treno. Ma da quando un elemento del genere influisce su settori come l'informatica e le assicurazioni? Senza contare poi che l'Irlanda è l'unica testa di ponte anglofona della zona euro. Allora cari irlandesi, rimanete sinceri, solidali e felici. 
Arroganza
FRANCIA – A metà dicembre il gruppo nucleare francese Areva ha espresso l'intenzione di sopprimere migliaia di posti di lavoro. Ma i dipendenti non devono preoccuparsi: “Non vi sarà alcun impatto sul paese. Questa è la linea voluta dallo stato”, ha fatto sapere il ministro dell'economia François Baroin dopo le prime fughe di notizie. Baroin ha subito convocato il responsabile di Areva Luc Oursel e ha ribadito: “Indipendentemente dall'impatto della crisi, nessuna revisione considererà l'occupazione come una variabile utilizzabile a piacimento”. Una priorità che vale solo per l'occupazione francese, occorre precisare.
In Francia nessuno si stupisce di affermazioni del genere. Tutti hanno ben presente la ragion di stato, da quando Jean-Baptiste Colbert, ministro delle Finanze di Luigi XIV, dirigeva l'economia con pugno di ferro. Poco importa se Areva appartenga all'87 per cento allo stato. Anche quando il gruppo Psa Peugeot-Citroën ha annunciato di recente la soppressione di posti di lavoro, il ministro dell'industria Eric Besson si è affrettato a promettere che tutti i lavoratori francesi sarebbero stati risparmiati. Carlos Ghosn, il responsabile di Renault, è stato richiamato all'ordine quando ha voluto delocalizzare una piccola parte della sua produzione in Turchia. 
Non bisogna dimenticare che gli ostacoli posti dallo stato allo sviluppo della produzione nei paesi emergenti sono oggi una delle cause principali delle difficoltà del costruttore francese. Ecco che cosa succede quando lo stato si pone come protettore dell'economia: i costi di produzione crescono e i prezzi anche. Per prevenire una riduzione delle esportazioni, il governo rafforza il protezionismo, in un circolo vizioso. Nel caso migliore il governo francese ricompensa una scarsa redditività. Nel caso peggiore, l'Eliseo si serve del suo potere sulle grandi imprese come di un'arma politica.
I politici francesi diventano europeisti convinti non appena si rendono conto di non poter più andare avanti da soli. Ciò ha portato alla creazione di Eads, leader europeo nel settore aeronautica e difesa, e all'interesse per una possibile alleanza nel settore della costruzione navale. È stato l'allora ministro dell'economia e attuale presidente della repubblica, Nicolas Sarkozy, a impedire a Siemens di entrare in Alstom, il suo concorrente francese. Ma lo stesso Sarkozy aveva organizzato nel 2004 l'acquisto del gruppo farmaceutico franco-tedesco Aventis da parte dei francesi di Sanofi, dando vita al terzo gruppo mondiale del settore. E sempre su sua richiesta la formula che raccomandava un mercato interno “in cui la concorrenza è libera e non falsata” è stato cancellato dal trattato di Lisbona. Per quanto ancora l'Unione europea tollererà tanta arroganza? 
Cupidigia
REGNO UNITO – I britannici sembrano vivere in un'altra dimensione. Come se il mondo della finanza non fosse crollato nel corso degli ultimi tre anni, vogliono poter continuare a compensare le perdite della loro industria speculando con i capitali esteri. Sempre uguali a sé stessi, continuano a seguire la logica secondo cui i mercati sono invincibili e la politica e la società sono obbligati prima o poi a sottomettersi alla loro legge.
Spinto agli estremi, il liberismo di John Stuart Mill e di Adam Smith ha permesso l'affermazione nella City londinese di un sistema finanziario privo di una vera regolamentazione, dove sono stati messi a punto tutti i sofisticati prodotti finanziari – strumenti derivati e titoli sui crediti – responsabili del crollo del 2008. In questo modo miliardi di euro, provenienti da conti correnti e fondi pensione di privati cittadini, sono andati in fumo. Ma sono stati i banchieri della City a essere risarciti.
La crisi del debito sovrano risale al momento in cui i governi sono stati costretti a fornire capitali alle banche. Ma a Londra la proposta di associare gli investitori al rischio scatena grida di terrore. La tassa sulle transazioni finanziarie, sostenuta dal governo tedesco – che  potrebbe mettere fine alle speculazioni a breve termine sul mercato delle valute – è stata definita dal ministro dell'economia George Osborne “un proiettile d'argento al cuore della City”. Chi continua a voler nuotare controcorrente farebbe bene a cercare un altro fiume. 
Pubblicato da 14 dicembre 2011 Die Zeit Amburgo

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