Pensare Globale e Agire Locale

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martedì 17 gennaio 2012

UNIONE EUROPEA: La fine del mito dell’uguaglianza

Secondo la retorica comunitaria i paesi membri hanno tutti la stessa dignità. Ma gli sviluppi delle ultime settimane dimostrano il contrario, e il criterio gerarchico è ormai istituzionalizzato.
Jacek Żakowski 17 gennaio 2012 Gazeta Wyborcza Varsavia

Gli avvenimenti delle ultime tre settimane hanno fatto definitivamente cadere il velo di ipocrisia che circondava l'Ue e faceva credere che gli stati che la compongono siano tutti uguali, anche se diversi.
In primo luogo la zona euro ha deciso di riunirsi, discutere e di prendere decisioni senza il resto dell’Unione europea. Questo indebolisce e riduce il ruolo sia della Commissione europea, che fin dalla sua creazione si basa sul principio di uguaglianza fra gli stati, sia quello del Parlamento, i cui seggi sono distribuiti fra i paesi membri in funzione della loro popolazione. Se il patto di stabilità sarà adottato nella sua forma attuale, si creerà un'unione nell'Unione. E su molti punti questa unione ridotta detterà le sue condizioni agli altri, come fa oggi la coppia "Merkozy".
In secondo luogo l’abbassamento del rating di nove paesi della zona euro non avrà necessariamente ripercussioni sul costo del loro debito (la riduzione del rating degli Stati Uniti non ha avuto alcuna effetto del genere, mentre il debito italiano è oggi meno caro di quando il paese beneficiava di un rating migliore). Questo declassamento influenzerà invece la gerarchia informale fra gli stati membri e la loro forza nell'Unione. Così la leadership della Germania, che ha mantenuto la tripla A, e la sua prudente politica di rigore saranno consolidate. Molto probabilmente la Germania potrà prendere in prestito a costi ancora più vantaggiosi e stimolare ancora di più il mercato. Il risultato sarà un vantaggio economico ancora maggiore sul resto dell'Europa.
Di conseguenza i criteri quantitativi del trattato di Lisbona (il calcolo della maggioranza qualificata nel Consiglio europeo basato su un duplice criterio: il numero di stati e il peso demografico) perderanno importanza di fronte al ruolo crescente dei criteri qualitativi (qualità dello stato e dell'economia). Si assisterà inoltre al declino della coppia "Merkozy", squilibrata dalla forza di Merkel nei confronti di Sarkozy, e questo renderà sempre più difficile intraprendere qualcosa in Europa senza la Germania. Difficilmente gli altri 26 paesi membri  potranno fare qualcosa contro i tedeschi (a meno di far esplodere l'Unione).
La procedura decisionale e la distribuzione dei voti al Parlamento, alla Commissione, così faticosamente negoziati nel trattato di Lisbona, stanno andando in pezzi. L'Unione sarà come il calcio all'epoca in cui tutti giocavano, ma solo la Germania vinceva.
Il caso ungherese
In terzo luogo la posizione sempre più ostile e le decisioni politiche prese nei confronti dell'Ungheria dimostrano che nell'Unione alcuni paesi hanno più libertà di movimento di altri. Senza dubbio Orban usa toni criticabili e conduce una politica economica stupida. Ma da un punto di vista istituzionale non ha fatto nulla che non sarebbe tollerato in  altri paesi. Il suo attacco ai media non è molto diverso da quello di Sarkozy contro la televisione pubblica francese o dall’atteggiamento di Berlusconi verso i media italiani. La stessa Bbc continua a dipendere in modo diretto dal governo per quanto riguarda la nomina dei suoi dirigenti.
La Banca centrale ungherese non sarà più dipendente dal suo governo di quanto lo siano la Banca d'Inghilterra o la Fed statunitense. La comunità internazionale ha tranquillamente tollerato e continua a tollerare politiche simili adottate in Francia, Italia, Regno Unito o Stati Uniti non perché passano inosservate o per timidezza nei confronti delle grandi potenze, ma molti più semplicemente perché non ci vede nulla di criticabile. Le vecchie e grandi democrazie, così come le obbligazioni di stato tedesche, approfittano del capitale di fiducia che è sempre mancato alle giovani e piccole democrazie.
In una certa misura queste differenze sono sempre esistite e hanno sempre avuto un peso notevole. La differenza è che oggi sono espresse apertamente e non si esita a istituzionalizzarle. Difficile dire quali saranno le conseguenze a lungo termine per l'Ue. Di solito l'adattamento della forma (istituzionale) al contenuto (per esempio economico) ha l'effetto di razionalizzare le istituzioni. Ma oggi dobbiamo fare i conti con le emozioni, e quindi con la politica.
Le differenze amplificate emotivamente e politicamente, le differenze divulgate e istituzionalizzate, diventano sgradevoli per tutti. Molti paesi avranno ancora più difficoltà ad accettare la posizione della Germania nell'Unione. E Berlino farà ancora più difficoltà ad accettare gli sforzi di solidarietà e di autorestrizione.
Questo significa che, al di fuori delle tensioni economiche e delle politiche interne, andremo incontro a grandi tensioni internazionali e a gravi problemi decisionali. Almeno fino a quando una nuova logica non sostituirà l'ipocrisia del mito fondativo dell'Unione. Ma non sarà né rapido né facile.

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