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giovedì 26 aprile 2012

ARGENTINA: Kirchner, peronismo cubano

Dopo il liberismo nuovo corso argentino.
Le file di detrattori la accusano di aver portato l'Argentina sull'orlo di una seconda bancarotta, con l'inflazione gonfiata a colpi di aggressive politiche protezionistiche e nazionalizzazioni forzate, capaci di scavare, come con l'esproprio di Yacimientos petroliferos fiscales (Ypf) dal colosso energetico spagnolo Repsol, un fossato diplomatico tra l'Europa e il Nuovo continente.
Lei risponde picche, stanziando miliardi per aumentare la scolarizzazione, abbattere la povertà nel Paese e tornare in possesso dei servizi pubblici, finiti, durante i 10 anni di presidenza del liberista di Carlos Menem, in mano alle multinazionali straniere.
Estremista, la presidenta argentina Cristina Fernàndez de Kirchner, del resto, lo è da sempre. Per dichiarata identità politica.
LA SCISSIONE PERONISTA DI FPV. Fu il marito, nonché ex presidente Néstor Kirchner, ad annunciare nel 2003 la scissione dell'ala sinistra del peronismo nel suo Fronte per la Vittoria (Fpv), definendo tutto ciò che il suo nuovo partito sarebbe presto stato.
Netto rifiuto delle politiche neo-liberali, additate come principali responsabili del tracollo del 2001, e dei trattati di libero commercio con gli Stati Uniti, innanzitutto.
E viceversa, promozione dello sviluppo industriale nazionale, dell'istruzione giovanile e dei diritti civili di donne, omosessuali, minoranze e classi disagiate del Paese.

Dal centrismo peronista all'orbita di Fidel: la svolta dei Kirchner

Allontanandosi dall'orbita del peronismo ortodosso - l'ideologia populista del fondatore Juan Domingo Peron che si basava su un centrismo equidistante da destra e sinistra - il Fronte per la Vittoria che avrebbe inaugurato la corrente del 'kirchnerismo' dichiarò inoltre di identificarsi nell'Internazionale socialista, con l'obiettivo di allinearsi al blocco socialdemocratico che, in America Latina, ha unito il Cile di Michelle Bachelet, il Venezuela di Hugo Chavez, il Brasile di Dilma Rousseff e la Bolivia di Evo Morales alla Cuba di Fidel Castro.
Negli Anni 70, sia Néstor Kirchner sia la moglie Cristina militavano nella Juventud peronista (gioventù peronista) legata ai guerriglieri del movimento Montonero. E tanto è bastato, agli oppositori, a bollare il Fpv come una corrente populista radicale, di pericoloso stampo estremista e tuttora nazionalista.
IL NUOVO CORSO DEI KIRCHNER. Nei fatti, però, più che per il loro passato politico, i Kirchner si sono attirati l'ira della destra filo-americana e dei gruppi cattolici, per la rapida attuazione del loro «nuovo corso argentino».
Dal 2007 a oggi, prima il presidente Kirchner (stroncato da un infarto nel 2009) poi l'ancora più decisionista moglie Cristina, prima donna eletta nel 2007 alla massima carica argentina, hanno progressivamente aumentato del 520% i fondi destinati all'istruzione e alla cultura, autorizzando al costruzione di oltre 1.000, tra scuole e università.
PIÙ CULTURA, MENO POVERTÀ. Analogo impulso è stato dato agli investimenti nella sanità pubblica e alla ri-nazionalizzazione dei servizi pubblici di acqua, luce e gas, con l'obiettivo di fondo di abbattere la povertà (crollata, con la ripresa dopo il default del 2011, dal 21% all'11%), modernizzando le aree più depresse.
Il programma dei Kirchner, infatti, ha incluso il rimpatrio di 800 scienziati argentini fuggiti all'estero e la distribuzione di 2 milioni di computer portatili nelle scuole del Paese. Ma anche, per esempio, politiche per il controllo delle nascite e per l'educazione alla sessualità. E la promozione di fonte alternative e del risparmio energetico, con l'approvazione di una legge per la sostituzione gli impianti tradizionali con lampade a basso consumo energetico.

Dalle privatizzazioni di Menem alle nazionalizzazioni del nuovo governo

La pratica delle politiche green è stata dettata anche dalle difficoltà dello Stato di approvvigionarsi di beni e servizi per i cittadini a prezzo contenuto, dopo le privatizzazioni selvagge di società pubbliche varate, negli Anni 90, dal presidente Menem, anche lui peronista  della prima ora.
Al contrario del manifesto dei Kirchner, però, la campagna elettorale che portò, nel 1989, Menem al potere era basata su un disinvolto programma di liberalizzazioni e svendite ai privati. Che, già tra il 1990 e il 1992, consegnò alle multinazionali colossi statali come la società petrolifera Ypf e le aziende postali.
BLACK OUT DA PRIVATIZZAZIONI. Con la sua politica neo-liberlista di contenimento dell'inflazione e di abbattimento dei dazi doganali, prima di cedere il comando alla breve presidenza di Fernando de la Rúa - fuggito in elicottero dalla Casa Rosada duranti i disordini per il crac, per evitare il linciaggio -, Menem ha aperto le porte dell'Argentina ai massicci investimenti stranieri, favorendo spericolate operazioni finanziarie.
In un Paese ricco di idrocarburi - le 20esime riserve al mondo di gas e le 32esime di petrolio - i cittadini si sono ritrovati paradossalmente esposti a black out energetici e a costosi servizi pubblici. Tanto che, nel 2011, dopo aver chiesto più volte alla Repsol, la compagnia petrolifera spagnola proprietaria del 57,43% di Ypf, di aumentare la produzione, il governo era stato costretto a importare petrolio e gas dall'estero.

Il Pil cresce a ritmo sostenuto, ma i prezzi corrono

Kirchner, tra il 2008 e il 2012, hanno invertito la rotta dell'Argentina. Con azioni dirompenti e molto contestate, sono tornati sotto il controllo statale prima la vecchia compagnia di bandiera Aerolineas e l'azienda aeronautica Fma, poi i fondi pensionistici privatizzati Afjp. Infine, il colosso energetico Ypf.
In una fase di naturale ripresa dal crac di 10 anni fa, finora il Prodotto interno loro (Pil), in crescita del 7%, ha retto senza scossoni alla crisi internazionale del 2008, confermando il generale clima di fiducia nel Paese.
LA CORSA DEI PREZZI. Preoccupa gli analisti, invece, l'inflazione galoppante dell'Argentina. Solo nel 2011, il tasso di aumento ufficiale dei prezzi rispetto a dicembre 2010 è stato del 5%, con una stima annuale del 9,7%.
Ma i dati forniti dal governo, secondo istituti di ricerca privati come PriceStats, sarebbero truccati al ribasso. In realtà, i valori veri sarebbero superiori al 20%: un'inflazione allarmante, dovuta alla grande spesa pubblica, per gli investimenti in strutture e infrastrutture e per le campagne di acquisizione.
Per il governo, tuttavia, è un rischio che vale la pena di correre. «Con più giacimenti, abbatteremo i costi d'importazione dei combustibili», hanno tranquillizzato dalla Casa Rosada dopo l'ultima nazionalizzazione. (Barbara Ciolli)

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