25
maggio 2012 The Economist
Cosa
ne sarà dell’Unione europea?”, si domanda l’Economist. Secondo l’influente settimanale di
economia la scelta è semplice: lo scioglimento dell’euro o un ulteriore passo
verso l'integrazione, anche se solo "tecnocratica e limitata".
Per
due anni di durissima crisi i leader europei hanno evitato questa scelta.
Dicono di voler mantenere intatto l’euro – fatta eccezione, forse, per la
Grecia. Tuttavia i creditori del nord Europa, guidati dalla Germania, non sono
disposti a pagare il prezzo della sopravvivenza della moneta unica, e i
debitori del sud sono sempre più insofferenti verso gli stranieri che dicono
loro cosa fare.
Se
i leader europei scegliessero la fine dell’euro
le
banche e le aziende del continente crollerebbero, perché non ci sarebbe più
equilibrio tra attivi e passivi all’interno e all’estero. Seguirebbe una
tempesta di fallimenti e processi civili, e i governi in deficit sarebbero
costretti a ridurre drasticamente la spesa o a stampare valuta.
Questa
è una delle ragioni per cui la rivista conclude “con riluttanza” che “le
nazioni dell’eurozona dovrebbero condividere i loro fardelli”.
Salvare l’euro è la cosa
giusta, e si può fare. Ma rimane un interrogativo in sospeso: i tedeschi, gli
austriaci e gli olandesi si sentono abbastanza solidali con gli italiani, gli
spagnoli, i portoghesi e gli irlandesi da pagare anche per loro? Siamo convinti
che farlo sia anche nel loro interesse. Per i leader europei – e per Angela
Merkel in paritcolare – è arrivato il momento di spingere in questa direzione
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