Josè Ignacio Torreblanca 11 aprile
2012 EL PAIS Madrid
È arrivato il momento di ammettere che siamo diversi,
scriveva dieci anni fa Robert Kagan scatenando una polemica infuocata. Gli
americani, scriveva Kagan nel suo articolo (“Power and
Weakness”, Policy Review 113/ 2002), venerano Marte, dio della
guerra, mentre gli europei sono devoti a Venere, dea dell’amore. Gli americani,
proseguiva Kagan, vivono in un mondo hobbesiano basato sull’uso della forza.
Gli europei invece vivono – o sostengono di vivere – in un mondo kantiano,
governato dal diritto e dalle istituzioni.
E così, mentre gli europei fanno di tutto per
liberarsi del potere e della forza, gli americani li utilizzano come strumenti
per modellare il mondo a loro immagine e somiglianza. Finita la Guerra fredda,
proseguiva Kagan, gli europei si preparavano a vivere in armonia e felicità. Ma
l’11 settembre ha dimostrato che il mondo non era cambiato, almeno non nel
senso in cui credevano gli europei. Gli abitanti del vecchio continente, però,
a quel punto hanno deciso di negare la realtà anziché accettarla.
L’articolo di Kagan è poi sfociato in un libro
omonimo, dando luogo a fiumi di inchiostro e critiche. Oggi, dieci anni dopo,
la rivista che pubblicò per prima l'articolo (Policy Review) ci propone
un'interessante retrospettiva a opera dello stesso Kagan (“A comment on
context”, Policy Review 172/ 2012) e un interessantissimo articolo
di Robert Cooper (Hubris and
False Hopes), uno degli architetti intellettuali della politica
estera europea.
Kagan ci racconta varie cose che non sapevamo e che ci
aiutano a comprendere meglio il suo articolo. Innanzitutto ci ricorda che il
testo è stato concepito prima dell’11 settembre e della guerra in Iraq, e che
in nessun modo voleva fornire una giustificazione della guerra e delle
politiche di Bush. Le differenze tra Europa e Stati Uniti, aggiunge oggi Kagan,
sono strutturali, ed erano ben visibili anche all'epoca di Clinton.
L’amministrazione Bush le ha soltanto aggravate.
Kagan precisa che mentre scriveva l’articolo il suo
riferimento principale era un europeo: Robert Cooper, il diplomatico britannico
che per un decennio è stato consigliere di Javier Solana ed è stato anch'egli
autore di un testo polemico (“Lo Stato postmoderno”, 2002) in cui sosteneva la necessita di
“un nuovo interventismo liberale”.
Secondo Cooper le democrazie europee dovevano superare
le proprie paure e intervenire militarmente all’estero per difendere i valori
della democrazia liberale. Il mondo esterno, spiegava Cooper, non era popolato
soltanto da entità postmoderne come l’Ue, ma anche da stati classici che si
basavano su parametri come la forza e il potere.
Il terzo gode
Il fatto che la critica di Kagan all’atteggiamento
degli europei nei confronti dell’uso della forza fosse condiviso da qualcuno
che nel vecchio continente è particolarmente interessante, perché smentisce il
carattere permanente e inconciliabile delle supposte differenze tra europei e
americani.
Ancora più interessante è l'articolo scritto da Cooper
dieci anni dopo a proposito della “contrapposizione” tra Marte e Venere.
Secondo Cooper, dopo gli errori in Iraq e Afghanistan, gli Stati Uniti sono
vittima della “debolezza del potere”: la loro enorme forza militare è servita a
poco, e Washington ha dovuto imparare una dura lezione di umiltà. Oggi gli
Stati Uniti sanno che bisogna affidarsi non soltanto alla forza ma anche alla
politica, alla legittimità, alla costruzione dello stato e al diritto.
Nel frattempo, sull’altra sponda dell'Atlantico anche
il mondo kantiano e postmoderno in cui gli europei credevano di vivere
scricchiola. I due schieramenti, insomma, sono diventati più umili. Venere e
Marte hanno pareggiato mentre la Cina avanza minacciosa? (Traduzione di Andrea
Sparacino)
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