Pensare Globale e Agire Locale

PENSARE GLOBALE E AGIRE LOCALE


domenica 27 maggio 2012

ITALIA - Welfare, a Napoli paga il padrino

Camorra: servizi in cambio di consensi.
di Enzo Ciaccio
Domenica, 27 Maggio 2012 - È stato il procuratore generale della Corte dei conti, Tommaso Cottone, a denunciare che nel quartiere Santa Lucia a Napoli, feudo degli ex contrabbandieri di sigarette, il 50% della popolazione residente risulta affetta da gravi patologie. Insomma, un abitante su due è da ritenersi invalido. Eppure, vivono a due passi dal mare.
ASSISTENZA IN CAMBIO DI CONSENSI. Nei vicoli di camorra lo chiamano con devozione «l’assistenza sociale», perché è una sorta di welfare fuorilegge, un sistema di aiuti e arbitrari benefici riservati agli amici in difficoltà che la criminalità locale impone nei quartieri di Napoli allo scopo di accaparrarsi consensi fra gli incensurati rimasti senza lavoro, i simpatizzanti e gli affiliati a rischio di pentimento.
CON LA CRISI CAMORRA PIÙ FORTE. La crisi rende tutti più fragili: 200 mila sono i disoccupati, cresce il numero degli arrestati che risultano privi di precedenti penali, fra le nuove leve di aderenti ai clan spuntano perfino giovani laureandi e insospettabili idraulici, falegnami, elettricisti rimasti a spasso.
«La fame spinge il lupo fuori del bosco», ha detto Pietro Ioia, leader degli ex detenuti organizzati.
IL CLAN AIUTA CHI HA BISOGNO. Settantacinque clan in Campania, 6.700 affiliati. C’è un camorrista ogni 850 abitanti, 12 per ogni Comune.
Secondo Confesercenti, il 98% delle imprese subisce imposizioni nelle forniture e il 94% non denuncia le estorsioni.
Ha scritto Alessandro Colletti, un giovane sociologo: «L’intervento, risolutorio e salvifico, dei clan a favore di chi ha bisogno rassicura l’esistenza a migliaia di anime in pena».

Tra i servizi forniti anche il filetto per i bambini

Le opere fornite dal clan sono diverse. Si va dalla concessione ingiusta della pensione per invalidità alla spesa acquistata al supermercato e portata a domicilio, dal ginecologo di grido alla bara di lusso a prezzi stracciati, dalla visita medica specialistica per chi sta male all’assegnazione dell’alloggio, dal filetto di vitello che fa bene ai bambini alla pensione assicurata ai compari detenuti e agli affiliati più anziani.
DAL BOSS OGNI TIPO DI ASSISTENZA. Tra gli aiuti è previsto anche il prestito in banca a tassi mai visti nonché il loculo ubicato non troppo in alto al cimitero. Poco richiesto perché fuori moda, ma sempre a disposizione, è il «tiro a sei» per le solenni esequie.
Il boss pensa a tutto: l’assistenza che è in grado di garantire appare costante, tempestiva, più efficiente di quella legale che spesso è frenata dai budget limitati, dagli orari, dai limiti di legge.
LA CAMORRA PAGA L'IMU DI MONTI. «Il clan», racconta chi da anni indaga sulle dinamiche di camorra, «non soffre la crisi e può offrire aiuto H24, senza soste né barriere. Non crea servizi sociali, ma usa quelli pubblici piegandoli alle sue prepotenze».
La voce che in questi giorni sta circolando nei vicoli assicura suadente che per molti la Camorra si farà carico di pagare anche l’Imu, la tassa sulla casa introdotta dal premier Mario Monti. E, nei casi più disagiati, perfino qualche cartella di Equitalia. Il boss promette. E mantiene.
NEL CENTRO ANTICO IL 70% DI INVALIDI. Ha raccontato Roberto Schioppa, che lavora in un centro di riabilitazione nel centro antico di Napoli: «Mio padre è diabetico, cardiopatico, ipovedente, ma non usufruisce di un’indennità perché non ci siamo mai buttati a terra davanti alla commissione insieme con un manipolo di parenti inferociti come fanno in tanti».
Poi ha spiegato che ogni giorno si trova di fronte gente con decreto di invalidità: «Il 70% abita nei rioni Vicaria, Sanità e Mercato, cioè nel centro antico dove è facile procurarsi le false documentazioni. Spesso ho a che fare con pazienti con legge 104 e accompagnamento che stanno visibilmente meglio dei miei genitori: ho la sensazione che lo Stato non faccia adeguati accertamenti e si accanisca contro le persone oneste».
INDENNITÀ PER NON PENTIRSI. A conferma, ecco la dichiarazione del 22 maggio di Assunta Stolder, moglie di Salvatore Giuliano dell’omonimo clan di Forcella, resa ai giudici che indagano sui falsi invalidi: «Il boss Loigino mi fece avere l’indennità (32 mila euro, secondo l’accusa, ndr) sperando che in tal modo mio marito rinunciasse a pentirsi».
C’è un affiliato al clan dei Casalesi, Salvatore Zippo, che in una intercettazione ascolta un tal Peppe che confessa di godere di due pensioni, «quella dello Stato di 390 euro», spiega ridendo, «più quella di 350 euro che mi dà la camorra».

Servizi erogati grazie a estorsioni e rapine

La regola è semplice: chi meglio coopta, più accumula affiliati. E guadagna potere. Perciò il clan di rispetto eroga servizi con interessata munificenza.
Quello piccolo, spesso ha bisogno di organizzare furti, estorsioni e rapine per garantirsi il denaro da elargire ai compari affinché non tradiscano.
Il sociologo Colletti ha provato a stilare l’elenco dei servizi sociali offerti dalla Regione Campania e si è accorto che, voce per voce, la camorra è in grado di sostituirsi all’Ente locale con risultati ritenuti molto più efficaci.
VERSAMENTI IN CARCERE FINO A 800 EURO. Ma è in carcere che il welfare firmato criminalità si esplica al meglio: ogni detenuto può ricevere, tramite versamenti effettuati dagli amici all’ufficio del Bollettario, 800 euro al mese e può spenderne 200 a settimana. Ogni cella ospita otto o 10 detenuti e dispone quindi di circa 8 mila euro al mese (nelle altre carceri, ogni recluso incassa quattro volte di meno).
A POGGIOREALE GIRO DA 8 MLN ALL'ANNO. Il Sappe, il sindacato della polizia penitenziaria, ha calcolato che ogni mese a Poggioreale entrano 640 mila euro. Si tratta di 8 milioni all’anno di euro (senza contare i vaglia postali), che varcano il cancello degli otto padiglioni e finiscono nelle mani dei reclusi «senza che di questo denaro esista alcuna tracciabilità».
«Tutti sanno», ha fatto notare Donato Capece, segretario del sindacato, «che una così ingente valanga di denaro serve ad assistere gli affiliati o a ingaggiare adepti. Sigarette, fumo, vestiti, giornali, scarpe, visite mediche, ricoveri: per chi 'fa il bravo', anche in prigione vige il welfare alternativo. E si garantisce cibo di qualità cucinato da mani esperte».
Il risultato è che ogni giorno a Poggioreale si buttano nella spazzatura 2.500 pasti forniti dallo Stato. E imperversa un giro di soldi incontrollato.
AGLI AFFILIATI FINO A 12 MILA EURO. Come è emerso dalle indagini sul clan Belforte di Marcianise, lo stipendio base di un affiliato libero si aggira sui 4.000 euro a salire. Ma se finisce in carcere, lo stipendio schizza a 10 mila euro. Per l’assistenza alla moglie e ai figlioletti.
Futuro roseo, gratitudine eterna. Come è accaduto ad Anna Bucolico, 77 anni, esattrice di racket per i Belforte: in sala da pranzo, l’anziana donna espone un enorme ritratto del boss Domenico cui è molto affezionata. E poco importa se 12 anni fa il boss le ha fatto ammazzare suo figlio Michele.(N.D.R.: ma a Napoli i figli, le criature, non sono tutti "piezze 'e core?")

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