Nonostante le rassicurazioni del governo, Madrid sarà
probabilmente costretta a chiedere aiuto all'Europa per salvare le sue banche.
Un intervento che potrebbe implicare la messa sotto tutela della sua politica
economica.
Claudi Perez / Luis Doncel 29 maggio
2012 EL PAIS Madrid
Gli avvoltoi sono in fermento, sicuri di essere vicini
a vincere la partita. Lo scenario che si delinea per le strade di Madrid e nei
dispacci di Berlino – che un paese dell’Ue chieda di poter ricorrere al fondo
di salvataggio – sembra sempre più plausibile. Lunedì il presidente Mariano
Rajoy ha negato per l’ennesima volta che le banche spagnole avranno bisogno di
un aiuto esterno, ma il buco di Bankia spinge il pese sempre più verso
l’abisso.
Già prima della notizia che lo stato dovrà versare
altri 19 miliardi di euro nelle casse di Bankia, molti esperti parlavano della
necessità che il governo, per doloroso che sia, chieda aiuto all’Ue per
ricapitalizzare i suoi istituti finanziari. “Avrebbe dovuto farlo molto tempo
fa. Ma meglio tardi che mai”, spiega Daniel Gros, ricercatore del Ceps. “È
probabile che quest’anno la Spagna entri in qualche tipo di programma tutelato
dalla troika in modo da ricevere più sostegno della Bce per gestire il debito
pubblico o la difficile situazione delle banche”, ha dichiarato mesi fa il capo
economista del Citi William Buiter.
Nell’equazione ci sono però ancora molte incognite, e
non riguardano soltanto l’eventualità che la Spagna finisca per fare il grande
passo. Non sappiamo ancora quale sarà il sistema scelto, come non sappiamo se i
correntisti si faranno prendere dal panico e se l’Ue riuscirà a scongiurare il
contagio dell’Italia e in un secondo momento anche della Francia e del Belgio.
La scorsa estate i leader dell’Unione hanno modificato
il fondo temporaneo di salvataggio – ufficialmente il Fondo europeo di
stabilità finanziaria (Efsf) – in modo che potesse evitare il crollo di buona
parte del settore bancario spagnolo. Innanzitutto ne è stata aumentata la
dotazione, da 440 miliardi e 780 miliardi di euro (anche se la capacità
effettiva non ha in realtà superato i 440 miliardi). Un mese dopo sono state
ampliate anche le competenze: il meccanismo avrebbe potuto essere utilizzato
anche per ricapitalizzare entità finanziarie attraverso il prestito agli stati.
Il problema è che in questo modo il denaro passa prima
per le casse del governo, che si assume il peso del debito per poi
ricapitalizzare gli enti in difficoltà. Si tratta di un sistema condizionato,
che implica clausole come quelle imposte a Grecia, Irlanda e Portogallo. In definitiva,
anche se dovesse trattarsi di un salvataggio “light” – per salvare le banche,
non lo stato – l’Europa avrebbe voce in capitolo in ambiti come la politica
fiscale, i servizi pubblici, le privatizzazioni e la gestione degli enti
ausiliari, imponendo alla bisogna dolorosi programmi di ristrutturazione.
L’aspetto più preoccupante, comunque, è la possibilità
che la Spagna sia incapace di finanziarsi sul mercato per un tempo indefinito.
“Si può chiamare in molti modi diversi, ma resta un intervento esterno in piena
regola”, spiega una fonte ai vertici della gerarchia comunitaria.
Scenario irlandese
Lo scenario che si prospetta ricorda da vicino quanto
accaduto in Irlanda: lo stato appoggia le banche, ma il buco è troppo grande e
il paese è costretto a chiedere un aiuto esterno. “Se il denaro potesse essere
versato direttamente nelle casse delle banche [un’idea scartata nettamente
dalla Germania] sarebbero gli istituti ad assumersi la responsabilità di
restituirlo”, spiga il professor Santiago Carbó. “L’Europa dovrebbe controllare
e supervisionare le banche salvate, il che potrebbe spingerla verso un’unione
bancaria. Ma non illudiamoci, non accadrà niente del genere prima che il Mede
sia ratificato”, aggiunge Guntram Wolff, del think tank belga Bruegel.
Il Mede di cui parla Wolff è il Meccanismo europeo di
stabilità, che dal primo luglio prossimo dovrebbe diventare il fondo di
riscatto permanente e sostituire l’Efsf. Non soltanto il nuovo fondo sarà più
potente (con mezzo miliardo di euro di denaro fresco), ma anche più flessibile.
Tuttavia prima di entrare in vigore dovrà essere ratificato dagli stati
dell’Ue. Un ritardo nella tabella di marcia, con la Spagna tra le fiamme,
sarebbe un segnale catastrofico.
Cosa accadrà se finalmente il governo spagnolo si
vedrà costretto a ricorrere al fondo di salvataggio? La risposta arriva dal
professore di Harvard Kenneth Rogoff: “Se l’eurozona e la Bce non compieranno
passi avanti decisi e rapidi, si scatenerà il panico bancario in tutta la
periferia, con spaventose fughe di capitali. Per evitarlo bisogna rifornire le
banche di liquidità. L’eurozona dovrebbe salire diversi gradini verso l’unione
fiscale e adottare gli eurobond. In futuro ci saranno ancora una volta provvedimenti
eccezionali e impensabili fino a poco tempo prima, come è accaduto ogni volta
che l’Europa è stata vicina al crollo”. (Traduzione di Andrea Sparacino)
Banche
Un problema spagnolo
“L’effetto
Rajoy arriva tardi e non arresta l’emorragia” dei mercati, scrive El Mundo
all’indomani della conferenza stampa convocata dal primo ministro spagnolo. Il
quotidiano madrileno critica l’intervento di Rajoy giudicandolo poco concreto:
Sarebbe
stupido cercare di sviare l’attenzione dai nostri problemi di finanziamento del
debito verso il contesto europeo in generale. Siamo nel mirino dei mercati a
causa di Bankia e dell’incertezza che incombe sul settore finanziario spagnolo.
Ma anche per via dell’aiuto urgente di cui ha bisogno la Catalogna e
dell’estensione del problema alle altre regioni.
Il
quotidiano aggiunge che il governo annuncerà venerdì prossimo la creazione di
“hispanobond”, titoli di stato per finanziare le regioni più indebitate tra cui
figurano la Catalogna, l’Andalusia, la Comunità valenciana, le Baleari e Castilla la
Mancha. Il denaro necessario è stimato attorno ai 17 miliardi di euro entro la
fine del 2012. Secondo El Mundo
il
governo vuole finanziare da giugno una grande operazione di salvataggio di
alcune regioni sull’orlo del default, che non hanno altra scelta dopo che i
mercati hanno voltato le spalle alle loro emissioni [di debito pubblico].
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