Finora ai vertici dell’Ue non c’è stato confronto sul
piano delle idee politiche. L’arrivo del socialista Hollande potrebbe
riaccendere il dibattito e l’interesse dei cittadini.
Stefan Kornelius 16 maggio 2012 Suddeutsche Zeitung Monaco
Quando
si arriva nel ristretto cerchio dei capi di stato e di governo europei si può
tirare il fiato. Una volta che si è qui, in mezzo ai presidenti, ai cancellieri
e ai primi ministri, si è tranquilli, si è centrato l’obiettivo, si può
guardare dall’alto l’opposizione nel proprio paese, le sue meschinerie e le sue
critiche. Qui ci si divide la grande torta del potere. In assenza di una vera
concorrenza sullo scacchiere europeo, i capi di governo sovrastano i parlamenti
e i partiti e snobbano la Commissione europea. Questo rende il Consiglio
europeo così speciale e al tempo stesso così prevedibile.
Perché
nulla priverebbe più rapidamente il Consiglio del proprio potere che il
conflitto e un ritorno al passato. Quando si è un uomo o una donna di stato, si
è al di sopra delle ideologie. Per questo motivo il Consiglio ha reagito con
tanta perplessità alla volgare menzione fatta durante la campagna elettorale
greca e francese alle difficile alternative di fronte alle quali si trovava la
politica europea, quando il nazionalismo e il populismo sembrano diventare una
sorta di rimedio universale: spingere o meno la Grecia fuori dall’euro;
distribuire aiuti o stringere la cinta; aumentare le imposte per i più ricchi o
ridurle.
Ma
allora chi decide per l’Europa? Un apparato istituzionale incompiuto? Se
funzionasse meglio, questo Consiglio godrebbe di maggiore fiducia. Ma le
questioni veramente centrali – la legittimità democratica, la sorveglianza e il
controllo – rimangono in sospeso. Altrettante dimostrazioni dell’immaturità del
continente.
Le
istituzioni nazionali sono troppo deboli per portare da sole il peso
dell’intera Europa. Lo stato-nazione è diventato troppo angusto per questa
Europa, che sul piano commerciale è da tempo alla mercé delle forze della
globalizzazione, e che non può far valere il suo rango nel concerto delle
potenze mondiali.
Sono
almeno dieci anni che l’Europa è alle prese con la globalizzazione. La sua
prima reazione immatura è stata quella di creare l’euro e di dotarsi, senza
convinzione, di un protocollo addizionale – il trattato di Lisbona. Il
continente non si è mai veramente abituato alle curve ascendenti e discendenti
della globalizzazione, del libero mercato, dei capitali nomadi e del libero
accesso all’informazione. Per questo motivo è sempre forte la tentazione di
indossare i panni del patriota e godere del dolce comfort della nazione.
Per
quanto riguarda invece la stabilità e la prevedibilità democratica la
situazione non è molto migliore – come testimonia un patto di bilancio
claudicante. Un patto che vuole rispettare tutte le sovranità (così da
permettere agli irlandesi di non votare no al referendum), ma al tempo stesso
prevede di attribuire più potere all’Europa.
Possiamo
vedere in tutto ciò la fine della capacità di consenso dell’Unione? L’Europa ha
bisogno di alternative, di confronti, di ideologia? Quando François Hollande si
è gettato nella campagna elettorale con i suoi cavalli di battaglia socialisti,
la cancelliera tedesca non è stata l’unica a storcere la bocca. Era necessario che
la crisi scivolasse verso uno scontro sul credo politico della destra? Che
ancora una volta si assistesse al ritorno dei “compagni” e delle loro ideologie
polverose: socialisti contro neoliberisti, statalisti contro sostenitori della
redistribuzione delle ricchezze?
Risvegliando
la voglia di ideologie, il nuovo presidente ha involontariamente messo il dito
su quello che mancava all’Europa: la libertà di scelta, la polarizzazione, il
dibattito democratico – e quindi la passione, quella che spinge la gente a
impegnarsi in politica. L’istinto di Hollande ha mostrato che la passione
permette di vincere le elezioni.
Ma
ci vuole prudenza. L’Europa non è abbastanza forte per assorbire questo
scontro. Non ancora. Nel club dei potenti Hollande non ci metterà molto a
rendersi conto che i grandi problemi ai quali è confrontato il continente
europeo necessitano di grandi coalizioni. Così questo realista diventerà ben
presto un maestro del consenso, a fianco di Angela Merkel. Ma l’idealista che è
in lui non dovrebbe abbandonare la sua fibra ideologica. L’Europa e le sue
istituzioni, se saranno abbastanza forti, dovrebbero essere capaci di
sopportare la forza della politica.
L’avvertimento di Zeus
“La
coppia franco-tedesca si mette d’accordo sulla Grecia”, titola Le Monde all’indomani del primo
incontro tra François Hollande e Angela Merkel. Il nuovo presidente francese si
è recato a Berlino a pochi giorni dall’investitura “non soltanto per
sottolineare l’importanza del tandem franco-tedesco in Europa, ma perché c’è un
senso d’urgenza”, scrive il quotidiano:
La
Grecia sta colando a picco. Il grande malato dei 17 dell’eurozona soffre un
nuovo accesso di febbre. Non ha un governo e dovrà ritornare alle urne. Non
riesce a scegliere se restare nell’unione monetaria. […] E non c'è da stupirsi
se i fulmini hanno sfiorato l’aereo di Hollande: Zeus ha voluto segnalare a
modo suo la gravità della situazione.
Nessun commento:
Posta un commento