Pensare Globale e Agire Locale

PENSARE GLOBALE E AGIRE LOCALE


giovedì 17 maggio 2012

UE: Tiro al bersaglio sull'Europa

Stati Uniti, Gran Bretagna e Cina all'attacco di Bruxelles: l'Ue considerata la responsabile della crisi economica mondiale.
Giovedì, 17 Maggio 2012 - Adesso salire in cattedra è facile. Con la Grecia alla disperata ricerca di un governo, aggrappata all’euro sul ciglio del burrone. Con l'asse franco tedesco spaccato fra crescita ed austerity, la Spagna che trema, l'Italia che annaspa e il timore che i risparmiatori, presi dal panico, svuotino le banche: adesso puntare il dito contro Bruxelles è fin troppo facile.
Dalla Federal Reserve (fed) al premier britannico David Cameron, passando per gli economisti cinesi, i grilli parlanti dispensatori di consigli si sono moltiplicati.
LA CINA TEME L'EUROZONA. Sul China Daily, il primo quotidiano cinese in lingua inglese, un editoriale ha ammonito il governo: bisogna difendersi dall'Eurozona.
La banca Usa, la stessa che ha permesso la crisi dei subprime e poi ha predicato il salvataggio degli istituti di credito e la ricetta del debito, ha puntato il dito: sono necessari ancora «considerevoli aggiustamenti sia a livello pubblico sia a livello del settore bancario».
L'UE DEVE RISOLVERE LA CRISI. La Gran Bretagna, che non ha mai voluto aderire alla moneta unica, per bocca di Cameron, ha avvertito i leader dell'Unione europea: «Devono inventarsi qualcosa».
L'Europa, vista dall'esterno, è diventata l'untore della crisi, un rischio globale. E su una cosa hanno ragione:Bruxelles non ha preso decisioni chiare e quello è il suo peccato originale. Ma in questo caso, a dispensare i buoni consigli, è chi ha dato il cattivo esempio.

Gli Usa dimenticano che il caos è nato Oltreoceano

La Fed, forte di un sistema in cui è facile battere moneta (al contrario che in Europa) ha tirato le orecchie all'Ue per non aver fatto abbastanza. Ma sembra dimenticare che parte della crisi attuale è frutto di politiche di spesa poco controllate che proprio in Usa sono cominciate, portando al grande crac di Lehman Brothers.
LE POLITICHE DI DEREGULATION. Negli Anni 90 la Casa Bianca e la Fed hanno stimolato l'indebitamento privato e la deregulation del settore bancario, con il doppio intento di dare ai cittadini meno abbienti più chance di salire la scala sociale e di ampliare la clientela e le operazioni del settore creditizio.
Le banche europee hanno seguito l'esempio e si sono ingoiate i mutui subprime e le cartolarizzazioni come hamburger grassi e farciti.
LA CRISI DEL 2008. Poi quando i colossi del credito americano hanno rischiato il fallimento, la Fed ha iniettato quasi 8 mila miliardi di dollari per salvarli. Mentre l'amministrazione di Barack Obama ha stimolato la ripresa con massicci investimenti pubblici che hanno provocato il lungo braccio di ferro con i repubblicani, costato agli Stati Uniti la perdita della tripla A.
DISOCCUPAZIONE E INDEBITAMENTO. Ma nonostante l'indebitamento cresciuto non è che gli Usa abbiano eliminato i rischi, anzi:  alcuni Stati sono vicini al default, nel primo trimestre del 2012 il Prodotto interno lordo è cresciuto dello 0,5% e soprattutto su fronte del lavoro la ripresa ancora non si vede.

Cameron bacchetta l'Eurozona, dimenticando il passato

Ma gli Usa non sono i soli a sparare contro l'Ue. Il 17 maggio Cameron è salito sul pulpito e ha dichiarato: «L'Eurozona è a un bivio. E solo creando un'unione fiscale, bancaria e politica stabile e di successo fra i Paesi che fanno parte dell'euro si può risolvere una situazione che oggi comporta rischi per tutti». Un buon consiglio che lui stesso si è sempre ben guardato dal seguire. La Gran Bretagna, che adesso chiede più integrazione politica ed economica, ha infatti voltato le spalle al progetto dell'euro e tutelato sopra ogni cosa gli interessi della City di Londra. Anche a discapito del proprio tessuto industriale.
LO STRAPPO SUL FISCAL COMPACT. Cameron, la cui autorevolezza in patria è indebolita dagli scandali,  ha strappato con l'Ue sulla Tobin Tax e ha rifiutato di firmare il Fiscal compact  il patto sul rientro del deficit considerato la principale strategia europea contro la crisi.
Eppure la sua non è stata una protesta contro la linea dell'austerity, di cui anzi in casa è stato uno dei più spietati esecutori.  
Il suo governo ha tagliato 103 miliardi di spesa pubblica, il 10% del welfare e l'economia inglese, senza ossigeno, si è presto infilata nelle volute della doppia recesione.  

Pechino rifiutò gli aiuti a Bruxelles

Anche la Cina teme la crisi europea. Gli economisti hanno iniziato a suggerire al governo la grande fuga dal Vecchio Continente, rimpiazzando l'impegno in asset europei con investimenti in Bond tedeschi: il modo migliore per acuire gli squilibri interni all'Europa.
La preoccupazione è comprensibile: gli interessi nell'Eurozona rappresentano tra il 10 e il 20% del portafoglio cinese, pari a circa 3 mila miliardi di dollari. Inoltre, nel primo trimestre del 2011, il tasso di crescita del Celeste impero si è attestato all'8,1%, il dato più basso dal 2009.
NIENTE FONDI PER IL SALVA STATI. Ora la Cina vuole tutelarsi, ma ha poco da recriminare: nell'autunno 2011 Bruxelles si era presentata per chiedere un contributo per il Fondo salva-Stati, ma Pechino ha declinato l'invito.
Anche oggi, del resto, mentre ufficialmente i cinesi si uniscono al coro di preoccupazioni, nei corridoi del Politburo e delle grandi multinazionali c'è chi si sfrega le mani per aver pazientemente atteso.
«Le imprese cinesi», calcolano gli economisti, «avranno ancora più mano libera».
(Giovanna Faggionato)

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