Akram Belkaid 20 giugno 2012 SLATE AFRIQUE PARIGI
I paesi del Maghreb guardano con
curiosità, ironia e una certa preoccupazione le evoluzioni della crisi europea.
Ad Algeri, a Tunisi o a Rabat, l’uomo della strada confessa di non capire bene
le sottigliezze delle battaglie diplomatiche che si svolgono a Bruxelles sul
rigore, ma un elemento ritorna sempre in tutte le discussioni. Si tratta del
quasi fallimento della Grecia, una situazione di cui i media maghrebini parlano
con regolarità, mettendo in guardia i loro lettori sui rischi di un contagio di
altri paesi europei fra cui la Spagna, il Portogallo o addirittura l’Italia e
la stessa Francia.
Per Ali Chafiq, un tabaccaio di
Algeri, “i paesi europei trattano la Grecia come un paese del terzo mondo. In
Maghreb una cosa del genere deve far riflettere. Credevo che l’Europa fosse
sinonimo di solidarietà indipendentemente dalla situazione”. Per lui come per
molti maghrebini le maschere sono cadute e il vecchio continente appare ormai
nudo, cioè come una regione attraversata da una linea di divisione fra i paesi
ricchi (ed egoisti) del nord e i paesi poveri del sud.
Ma più della sorte della Grecia è la
possibile divisione della zona euro e quindi il rischio di una scomparsa della
moneta unica, che torna in tutte le conversazioni. E a ragione, visto che nei
tre paesi del Maghreb molti possiedono la valuta europea in contanti o
depositata in banche europee. “Diverse decine di milioni di euro in liquido
circolano nel Maghreb, in particolare nel settore informale. Tutti hanno paura
della scomparsa dell’euro perché per farsi rimborsare si dovrà giustificare
l’origine di questi fondi’, confessa un banchiere marocchino a Casablanca.
Il problema è particolarmente
sentito in Algeria, dove esiste da 40 anni un florido mercato parallelo delle
valute. “La gente che cambia i suoi dinari al nero ha sempre meno fiducia
nell’euro, e preferisce il franco svizzero o il dollaro americano”, spiega un
cambiavalute, che ricorda come in questi anni la valuta europea si era imposta
come valore rifugio, quanto meno perché gli algerini sono convinti che sia meno
falsificabile del biglietto verde. Ovviamente anche i possessori di beni
all’estero sono preoccupati.
“I nostri clienti maghrebini che
posseggono conti all’estero ci pongono delle domande, e vogliono soprattutto
sapere cosa succederà concretamente in caso di divisione della zona euro. Ma
per ora assistiamo solo a dei ritiri massicci o dei bonifici verso altre piazze
finanziarie come Londra, Dubai o Singapore”, spiega un banchiere parigino che
si occupa dei grandi conti esteri e che preferisce mantenere l’anonimato.
Rischio di
implosione
Ma al di là del futuro dell’euro la
crisi europea è anche l’occasione per molte personalità politiche ed economiche
maghrebine per criticare l’Europa. Come per esempio questo diplomatico
marocchino, che insiste sul fatto che nelle relazioni con il sud del
Mediterraneo il suo paese, come i suoi vicini, “si è sempre preoccupato di privilegiare
le relazioni bilaterali con le capitali europee, anziché credere alla favola di
un’Europa unita e solidale”.
Così l’apparente debolezza
istituzionale di un’Europa i cui contorni non sono mai stati compresi con
esattezza dal Maghreb, sembra dare ragione a chi ha sempre dubitato della
validità di un dialogo regionale fra il nord e il sud del Mediterraneo. “Quando
l’Europa va male, si chiude in se stessa e ci fa capire in modo evidente di non
avere i mezzi per condurre una vera politica regionale. Oggi chi parla più
dell’Unione per il Mediterraneo?”, affermano i collaboratori del primo ministro
algerino Ahmed Ouyahia.
Già criticata dai paesi del sud e
dell’est del Mediterraneo, e accusata di favoritismo nei confronti dell’Europa
dell’est, l’Unione europea è oggi vista come un insieme che rischia di
implodere. Nel frattempo i discorsi in favore di una “diversificazione” delle
collaborazioni economiche e politiche diventano sempre più insistenti. Ennahda,
il partito al potere in Tunisia, e il suo equivalente marocchino Partito della
giustizia e dello sviluppo (Pjd) evocano la necessità di guardare ad “altri
poli di crescita” come la Cina, i paesi del Golfo persico e il Brasile.
Un discorso pronunciato in nome del
realismo politico e dell’efficienza economica, ma che per molti militanti
democratici nasconde anche un altro obiettivo. Quello di sbarazzarsi di
un’ingombrante tutela nel campo dei diritti umani e della democrazia.
“Nonostante i suoi difetti e il suo egoismo nei confronti del sud del Mediterraneo,
l’Europa si è sempre battuta per la promozione della democrazia, dello stato di
diritto e dei valori positivi. La grave crisi che attraversa oggi serva a
screditare il suo messaggio umanista”, si rammarica un dirigente dell’Unione
generale dei lavoratori tunisini (Ugtt, principale sindacato del paese). (Traduzione
di Andrea De Ritis)
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