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giovedì 12 luglio 2012

CRISI - Europa, le trame di Merkel

La Germania nei posti chiave dell'Ue.
Era tra i favoriti per succedere al francese Jean-Claude Trichet alla presidenza della Banca centrale europea (Bce). Ma, in fondo, considerate le vicissitudini dell'Eurozona, anche il posto di potente capo del Fondo salva-Stati permanente (Ems) per Klaus Regling non è affatto male. Anche da lì, il tedesco potrà trattare da pari a pari con l'ex rivale Mario Draghi, che gli ha soffiato la poltrona dell'Eurotower.
L'ex consigliere della cancelliera Angela Merkel, dal luglio 2010 già a capo del Fondo salva-Stati provvisorio (Efsf), secondo le indiscrezioni trapelate nell'ultima riunione dell'Eurogruppo, è destinato a diventare l'amministratore anche del nuovo meccanismo Esm, che entro la fine dell'anno, disporrà di un nutrito organico di 75 funzionari.
PIÙ PAGATO DI ANGELA MERKEL. Oltre a guadagnare 324 mila euro lordi (extra esclusi) all'anno - Merkel arriva a 290 mila, tra rimborsi spese e indennità parlamentari - Regling avrà in mano la delicata cassa dei crediti europei, per gestire la crisi.
Potrà chiedere alla Bce di acquistare sui mercati obbligazionari secondari in nome e per conto del Fondo salva-Stati. E, come previsto dalle linee guida dell'Efsf-Esm, in futuro potrà anche intervenire direttamente sul mercato primario dei Bond.
REGLING E GLI ALTRI. Con un budget di 500 miliardi di euro, la sua capacità di prestito sarà però limitata. Ma, in compenso, Regling avrà un margine d'intervento ampio a Bruxelles. E Berlino avrà un uomo fidato a tirare i cordoni della borsa di un organismo che finora, per egoismo nazionale, aveva stentato a far decollare.
Un dettaglio non di poco conto, considerato che, oltre a lui, sono molti i tedeschi piazzati nei gangli comunitari del potere, che fanno forte la Germania in Europa.

In Bce un duo tedesco vigila sui Paesi Ue


Tralasciando l'influente ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble - in stand by fino al 2013 per la poltrona di leader dell'Eurogruppo - oltre che su Regling, Merkel può contare su due tedeschi a Francoforte.
Certo, le dimissioni dell' ex capo- economista della Bce Jurgen Stark, , nel settembre 2011, sono state uno schiaffo anche per il governo di Berlino che, se non proprio di manica larga come Trichet, per il falco tedesco si era dimostrato troppo morbido con i Paesi indebitati dell'Eurozona.
Poi, però, nel board della Bce, nel 2012 ha fatto ingresso il più accondiscendente Jorge Asmussen, socialdemocratico ed ex viceministro delle Finanze tedesche nel governo Merkel.
ASMUSSEN SEGUE I DOSSIER. Il banchiere 46enne non è stato nominato capo-economista come Stark, al cui posto è andato (casualità) il falco Peter Praet, nato in Germania da madre belga e padre tedesco, di certo non sgradito a Berlino.
Tuttavia, ad Asmussen è stato assegnato il compito specifico - tutt'altro che secondario - di seguire i dossier dei Paesi europei nel comitato esecutivo della Bce. Carte alla mano, tra l'altro, l'economista tedesco ha già incalzato l'Italia, dichiarando: «Può farcela da sola. Ma solo proseguendo, senza indugi, sulla via delle riforme e affrontando seriamente il problema della crescita».
WEIDMANN FA IL CANE DA GUARDIA. Quando poi, in Bce, la Germania vuole battere sul rigore, a puntare i piedi nel Consiglio direttivo c'è sempre il presidente della Bundesbank Jens Weidmann, che, è noto, non le manda di certo a dire.
Ex consigliere, anche lui, di Merkel, promosso addirittura suo 'sherpa' personale ai G20, a giugno il banchiere di Francoforte ha dichiarato che «il summit dell'Unione europea non ha fatto abbastanza chiarezza sull'unione fiscale». Tentando poi di rallentare l'approvazione dell'Ems alla Corte costituzionale tedesca.

Da Oettinger al finlandese Rehn: la Commissione parla tedesco


Poi ci sono tutti gli uomini di Merkel nella Commissione europea, tedeschi o filo-tedeschi che siano.
Suo compagno di partito (Cdu), ed ex discusso governatore del Baden-Württemberg, per esempio, dal 2010 Günther Oettinger è insediato a Bruxelles come commissario all'Energia. Una poltrona dalla quale, oltre a tutelare le lobby del nucleare europee e insieme promuovere le fonti rinnovabili, a settembre 2011 si è spinto inopportunamente a invitare i Paesi europei indebitati a far sventolare a mezz'asta la loro bandiera, fuori dagli edifici di Strasburgo e Bruxelles.
Pecora nera per Oettinger, ovviamente, è la Grecia, che a detta del politico tedesco, anziché essere salvata, avrebbe dovuto essere commissariata, con l'invio di funzionari stranieri, da sostituire al pigro personale ellenico.
REHN, COMMISSARIO FILO-TEDESCO. Ma non solo. In seno alla Commissione europea non bisogna tralasciare l'importanza per la Germania di un centrista liberale come Olli Rehn, piazzato nel ruolo chiave di commissario agli Affari monetari. Finlandese di nazionalità, in realtà Rehn è di idee che più tedesche non si può.
Tanto da essere la testa d'ariete di Berlino per chiedere, ai Paesi a rischio default, rigide garanzie in cambio di prestiti centellinati. Del resto Helsinki è ormai da mesi fautrice della linea dura. E il commissario europeo in trincea per l'euro non fa che avallare, nei suoi interventi, la dottrina del rigore tedesca.
SCHÄUBLE ASPETTA IL 2013. Da sistemare, nello scacchiere della cancelliera, ormai resta solo Schäuble, che ha cautamente aperto agli eurobond. E che il capo dimissionario dell'Eurogruppo Jean-Claude Juncker ha addirittura investito come successore.
In mancanza di una maggioranza schiacciante, il cristiano-democratico Schäuble era pronto a capeggiare i 17 Paesi dell'euro, anche in tandem con il collega francese Pierre Moscovici. Ma il ministro d'Oltralpe, insofferente all'inciucio, si è opposto.
In attesa delle dimissioni «irrevocabili» di Juncker, posticipate dal premier lussemburghese almeno sino a fine anno, anche senza una casa fissa a Bruxelles, ora Schäuble resta il sottile deus ex machina di un'Europa sempre più unita. Ma sotto il vessillo tedesco.

Barbara Ciolli

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