Reinier Bijman & Yasha
Lange 23 luglio 2012 DE GROENE AMSTERDAMMER Amsterdam
La questione non è
tanto sapere se Bruxelles ospita numerosi lobbisti, perché – molto
semplicemente – già sappiamo che è così. La maggior parte degli esperti
concorda sul fatto che a Bruxelles siano al lavoro dai 15mila ai 20mila
lobbisti. Un bel numero davvero.
Eppure si sente
spesso la stessa reazione: all’Aja (sede del governo olandese) ce ne sono
altrettanti, solo che restano nell’ombra, sono meno visibili. A Bruxelles,
invece, si danno un gran da fare senza nemmeno nascondersi. Lobbisti e gruppi
di interesse sono invitati a partecipare alle discussioni sulle leggi in una
fase precoce in qualità di esperti. I disegni di legge, quindi, sono resi noti
in tempi brevi e sottomessi all’approvazione di tutti. Tale iter ha di che far
preoccupare, ma presenta anche alcuni vantaggi.
La Commissione
europea non può essere allo stesso tempo una piccola struttura efficace e fare
ogni cosa da sé. In altri termini, conoscere il settore e i convenuti esterni è
indispensabile. Senza contare che la Commissione europea si garantisce così un
solido appoggio, una chiamata generale alle armi. La partecipazione dei diversi
gruppi di interesse è dunque positiva. Così la pensano i suoi sostenitori.
Ci si può tuttavia
chiedere se le regole del gioco sono uguali per tutti e se questi gruppi
diversi sono nella posizione di godere di un medesimo trattamento: una piccola
organizzazione senza risorse può esercitare la medesima influenza di
un’industria importante con molti mezzi? Assolutamente no, secondo i detrattori
delle lobby. “Otto volte su dieci ha la meglio chi ha più fortuna” afferma Erik
Wesselius, dell’Osservatorio europeo delle imprese. “Esistono moltissimi esempi
di rapporti che a forza di essere emendati non valgono più niente e ai quali
gli autori finiscono col rinunciare”. Tra gli esempi riportati, Wesselius cita
una proposta di legge per etichettare i prodotti alimentari con simboli: verde
per quelli che fanno bene alla salute, rosso per quelli nocivi. Pur trattandosi
di una idea facile e chiara per i consumatori, non è stata approvata. “E
soltanto a causa della forte resistenza dell’industria agro-alimentare”, spiega
Erik Wesselius.
In alcuni settori
l’assenza di equilibrio è palese. “Citigroup ha 40 persone dislocate a
Bruxelles”, fa notare l’ex lobbista Pim van Ballekom, mentre il settore della
finanza conta pochissimi “agenti” per fare da contrappeso. Altrettanto avviene
nell’ambito della grande distribuzione, della logistica o nel settore
agro-alimentare: i rapporti di forza sono sbilanciati. Invece, in altri campi
come l’ambiente e i diritti dell’uomo, le ong sono rappresentate molto bene.
Quanto a internet, i piccoli gruppi di attivisti sono molto efficaci, lo si è
potuto constatare di recente con il trattato contro la pirateria [Acta], quando
le grandi industrie (cinema e musica) si sono ritrovate a mordere la polvere.
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