Martin Adahl 11
luglio 2012 FOKUS Stoccolma
Nel momento più acuto
della crisi dell’euro ho incontrato un alto funzionario della Commissione
europea, che mi ha descritto così la sua situazione professionale: con
l’elezione di François Hollande alla presidenza francese, la Commissione ha
finalmente ritrovato un po’ di potere.
In precedenza
“Merkozy”, la coppia formata dalla cancelliera tedesca Angela Merkel e dal
presidente francese Nicolas Sarkozy, metteva sistematicamente il resto
dell’apparato europeo di fronte al fatto compiuto. Ma con Hollande la Germania
e la Francia non sono più in buoni rapporti, e la Commissione si ritrova a
svolgere il ruolo di mediatore. Ecco come si governa una della tre più
importanti economie mondiali in un periodo di crisi acuta.
Quello che si
definisce diplomaticamente il “deficit democratico” – il fatto che noi,
cittadini europei, non possiamo scegliere le persone che governano l’Unione, e
che questi dirigenti non siano responsabili nei nostri confronti – è oggi così
evidente da provocare imbarazzo.
I grandi paesi europei
– di fatto due – sono ai posti di manovra. Le decisioni sono prese a porte
chiuse e sono i responsabili politici eletti a delle funzioni nazionali che
governano l’insieme dell’Unione. Nessuno di loro è investito di un mandato per
esprimersi in nome dell’Europa.
Ecco perché quella
che finora era solo un’idea inverosimile sta diventando una rivendicazione
popolare e una necessità politica. L’Europa deve essere in grado di scegliere
il suo presidente a suffragio universale diretto. La funzione principale di una
democrazia è probabilmente quella di poter dare attraverso le urne il
benservito al leader che non si vuole più e di eleggerne un altro al suo posto.
Ma gli elettori non
sanno come fare. I cittadini dell’Unione conoscono meglio Romney, Obama,
Clinton e McCain di Barroso e Van Rompuy. Ci appassionano di più le campagne
elettorali che hanno luogo negli Stati Uniti dove non votiamo, delle elezioni
europee.
Si sente spesso che
bisognerebbe conferire più potere al Parlamento europeo. Tuttavia quest’ultimo
manca di legittimità, è una sorta di valvola di sfogo sul quale gli elettori
riversano la loro rabbia fra un’elezione e l’altra. Non esiste infatti alcuna
vera alternativa al Parlamento europeo. I gruppi parlamentari non conducono
delle campagne elettorali comuni e non hanno programmi né linee politiche
chiaramente identificabili.
Un’altra proposta
sarebbe quella di fondere i “veri” parlamenti nazionali e creare delle
commissioni permanenti per gli affari europei i cui membri si incontrerebbero a
Bruxelles. Questo permetterebbe di rafforzare la legittimità, ma non
risolverebbe il problema di fondo: come votare per cambiare la politica
dell’Ue?
Per questo motivo
dobbiamo poter eleggere direttamente i nostri governanti. Solo in questo modo
le idee in tutta Europa potranno prendere forma intorno a dei candidati e ai
loro programmi. Si dovrebbe eleggere il presidente del Consiglio in occasione
di uno scrutinio a due turni, così da arrivare a definire una maggioranza
chiara.
In questo modo le
correnti politiche europee sarebbero obbligate a schierarsi dietro dei
candidati. Colui che sarà eletto e che siederà a fianco di Merkel e di Hollande
avrà i voti di centinaia di milioni di europei. Indipendentemente dalle sue
attribuzioni ufficiali, questo dirigente sarà in grado di esprimersi in nome
dell’Europa.
Spesso si sente dire
che questa elezione equivarrebbe a introdurre più federalismo o a istituire gli
Stati Uniti d’Europa. Ma colui che avrà la fiducia del popolo europeo potrebbe
anche avere il mandato di ridurre il potere dell’Unione e di restituire una
parte del potere decisionale ai paesi membri. L’oggetto della riforma non è
determinare quello che deve o che può essere deciso a livello europeo ma come
queste decisioni devono essere prese.
Un altro errore è
quello di affermare che i tedeschi, i francesi o gli italiani vincerebbero
tutte le elezioni. Ma le grandi nazioni suscitano antipatie e rivalità e quindi
i candidati di piccoli e inoffensivi paesi potrebbero trovarsi avvantaggiati.
Inoltre nei grandi paesi si potrebbe dare fiducia a persone cosmopolite
atipiche come per esempio l’ex ministro degli esteri tedesco, il verde Joschka
Fischer, per occuparsi tanto di Brålanda [piccola località della Svezia
meridionale] che di Berlino.
Questa idea non
dovrebbe prendere forma a partire dall’alto, attraverso infinite trattative a
Bruxelles, o nella testa di grandi dirigenti – come quei dieci ministri degli
esteri che di recente hanno lanciato l’idea di una presidenziale europea nel
quadro del loro progetto di creare un nucleo di super stati. La pressione in
favore di uno scrutinio europeo diretto deve venire dalla base dell’Europa.
Traduzione di Andrea De Ritis
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