Da anni, infatti,
Marchionne prende metodicamente in giro l’Italia e in particolare i lavoratori
impiegati nelle sue aziende. Moltiplica i dividendi degli azionisti a spese
dello Stato italiano. Adopera una inesistente, offensiva e calunniosa
“improduttività” degli operai italiani come alibi per i suoi insuccessi sul
mercato. Ottiene aiuti dall’Italia promettendo investimenti fantasma mentre
investe sul serio non in Italia ma nei Paesi in cui può contare su larghissime
sovvenzioni di Stato. Si prepara a lasciare questo Paese nell’inerzia totale e
colpevole delle istituzioni. Chiude uno stabilimento via l’altro senza assolvere
ai propri doveri nei confronti dei lavoratori che condanna alla disoccupazione.
Considera l’azienda che dirige al di sopra delle leggi e si avvale del più
bieco inganno per non pagare le tasse: la cittadinanza svizzera. Queste
domande, che interessano l’economia del Paese e riguardano la perdita di uno
dei nostri principali asset italiani, dovrebbe farle prima di tutti Mario
Monti. Invece si è dimostrato ancora più servile di Berlusconi: tutto quello
che è riuscito a balbettare è che la Fiat ha il diritto di fare ciò che vuole.
Invece dovrebbe
chiedere, prima di tutto: 1.
Dove sono finiti i 20 miliardi promessi 3 anni fa per gli investimenti in
Italia? E 2.
Quanti soldi lo Stato italiano ha versato alla Fiat dal 2008 tra incentivi,
formazione, cassa integrazione e mobilità? Non sono domande indiscrete. In
cambio degli investimenti promessi la Fiat ha ricevuto dall’Italia
sovvenzionamenti cospicui. Peccato che, una volta intascato il malloppo, dei 20
miliardi di quegli investimenti Marchionne abbia smesso anche solo di parlare e
a chi gliene chiede conto risponde che non può rispondere. Senza che nessuno
osi insistere.
Per gli stessi
motivi, il governo della Repubblica dovrebbe anche pretendere riposte su: 3. Quanti soldi le
banche italiane, con le spalle coperte dallo Stato, hanno prestato agli
azionisti Fiat? Il governo e in particolare la brillante ministra del Lavoro
Elsa Fornero dovrebbero quindi imporre delucidazioni su alcune questioni che
rischiano travolgere le vite dei dipendenti della Fiat, e non solo loro.
L’impatto sull’indotto e quindi sull’intero territorio delle chiusura di quegli
stabilimenti andrebbe infatti molto oltre la dimensione, già drammatica, dei
dipendenti Fiat: per ogni posto di lavoro perso nelle fabbriche della Fiat ne
verrebbero cancellati altri 3 in quella stessa area. A maggior ragione sarebbe
fondamentale sapere subito: 4.
Qual è l’alternativa industriale alla chiusura di Termini Imerese? 5. Qual è
l’alternativa industriale alla chiusura di Irisbus di Avellino? 6. Qual è il nuovo
stabilimento italiano che Fiat vuol chiudere?
Prima di chiudere gli
stabilimenti, Marchionne avrebbe dovuto infatti prefigurare un’alternativa
industriale. Non lo ha fatto oppure, come nel caso di Termini Imerese, lo ha
fatto per finta, fingendo di aver individuato un’alternativa solo per aggirare
i propri obblighi. Allo stesso tempo, l’ad del Lingotto si sta preparando a
chiudere un altro stabilimento: vorremmo sapere con trasparenza e onestà quali
sono i sono i suoi progetti, dal momento che ne andranno di mezzo migliaia di
lavoratori. Ancora una volta, per giustificare la chiusura e la
delocalizzazione, Marchionne tenterà di addossare le colpe ai lavoratori
italiani che lavorerebbero poco e guadagnerebbero molto. Sarà bene specificare
che la realtà è opposta. Se si guarda al solo indicatore valido, la velocità
con i pezzi scorrono sulla catena di montaggio, si scopre che gli operai
italiani sono tra i più produttivi al mondo. Quanto ai guadagni, tenendo conto
dei frequenti ricorsi alla cassa integrazione, incassano in media mille euro al
mese: molto meno che nel resto dell’Europa. La verità è che Marchionne
preferisce trasferire gli stabilimenti nei Paesi dell’est perché lì può contare
su massicce sovvenzioni di Stato, naturalmente facendosi finanziare il
trasferimento dal cornuto e mazziato Stato italiano. La verità, purtroppo, è
anche che la Fiat ha da lungo tempo abbandonato ogni ambizione di costruire auto
innovative, ben disegnate, adeguare alla compatibilità ambientale: automobili
che si possano vendere.
Per questo vorremmo
sapere: 7.
Quali investimenti sono stati fatti in Polonia, Serbia, Russia e con quali
aiuti di Stato? 8.
Quali modelli alternativi sono previsti per gli stabilimenti italiani e dove
sono allocati? Infine siccome, da liberali, siamo abituati a pensare che la
legge debba essere uguale per tutti e che pagare le tasse non possa essere un
obbligo solo dei poveracci e dei lavoratori dipendenti, riteniamo necessario
anche sapere: 9.
Perché Fiat non applica le sentenze della magistratura favorevoli ai lavoratori
dei tribunali di Roma, Bolzano, Torino, Bologna Napoli, Bari, Termoli,
Lanciano, Verona, Modena, Milano, Trento? 10. Perché Marchionne non paga le tasse
in Italia?
Restiamo in attesa di
cortese riscontro, se non da parte di Marchionne che ha tutto l’interesse a
restarsene zitto e muto, almeno da parte del governo italiano che, al
contrario, avrebbe non solo il dovere ma anche tutto l’interesse a ottenere
queste risposte e poi a procedere di conseguenza.
Maurizio
Zipponi
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