Giovedì, 02 Agosto
2012 14:59
Una vera e propria
valanga di dichiarazioni è uscita dalla bocca dell’ex dittatore Jorge Videla
durante gli ultimi interrogatori. Le informazioni ricavate hanno
messo fine ad un lungo dibattito sui modelli di transizione dal regime alla
democrazia in Argentina, durante l'ultimo periodo della dittatura militare.
In molti nello Stato
del Sud America criticavano la riapertura dei processi per crimini contro
l’umanità, sostenendo che l’obiettivo di giungere ad una condanna penale
rischiava di ostacolare il raggiungimento della verità. Gli stessi esaltavano,
invece, il modello sudafricano consistente nell’ottenere informazioni in cambio
dell’impunità.
Ciononostante, in Argentina,
sono già state pronunciate oltre 250 sentenze di condanna al termine di
processi che hanno garantito tutti i diritti alla difesa tanto che vi sono
state anche due dozzine di sentenze di assoluzione. Il flusso di informazioni,
però, non solo non si è arrestato, ma è addirittura aumentato, portando a galla
molte testimonianze e verità storiche.
Le successive
confessioni del condannato Videla a diversi giornalisti che lo hanno
intervistato in carcere hanno fatto luce sulla complicità con il regime dei
grandi imprenditori, dei principali partiti politici e perfino della Chiesa
Cattolica. Nell’ultima intervista, l'ex dittatore ha sostenuto che il nunzio
apostolico Pio Laghi, l’ex presidente della Conferenza Episcopale Raul Primatesta e
altri vescovi, hanno fornito al suo governo consigli su come gestire la
situazione dei detenuti “desaparecidos”. Secondo quanto rivelato da Videla, la
Chiesa si spinse addirittura ad “offrire i suoi buoni uffici” affinché il
governo informasse della morte dei figli tutte le famiglie che si fossero
impegnate a non rendere pubblica la notizia e smettere di protestare. Questo
dimostra che la Chiesa, non solo era a conoscenza dei crimini della dittatura
militare, ma ne era addirittura complice; come risulta dai documenti segreti
pubblicati in libri e articoli e la cui autenticità l’Episcopato è stato
costretto a riconoscere dinanzi alla giustizia.
La prova di un
coinvolgimento attivo dell’Episcopato per garantire il silenzio dei familiari
delle vittime sembra ormai accertato. Lo stesso silenzio che la Chiesa aveva
adottato sul caso desaparecidos. Videla ha dichiarato che, dal regime, non
vennero fornite informazioni sui desaparecidos affinché nessuna madre si
chiedesse “dove è sepolto mio figlio per portargli un fiore? Chi l’ha ucciso?
Perché? Come l’hanno ucciso? A nessuna di queste domande fu data risposta”.
Il ragionamento fu lo
stesso che Videla fece il 10 aprile 1978, nel corso di un cordiale pranzo alla
presenza della commissione esecutiva dell’Episcopato. Secondo la nota
informativa inviata dai vescovi al Vaticano, Videla aveva detto loro che
“sarebbe ovvio” affermare che nessuno è desaparecido, che “sono morti”, ma che
una tale affermazione avrebbe “alimentato una serie di domande sul luogo della
sepoltura. Era forse una fossa comune? E in tal caso: chi li ha messi in questa
fossa? Insomma una serie di domande alle quali il governo non poteva rispondere
sinceramente per le conseguenze a carico di alcune persone”, vale a dire per
proteggere i sequestratori e gli assassini.
“Il primo ufficiale
che ha confessato la partecipazione personale al massacro, il capitano della
Marina Adolfo
Scilingo, mi raccontò che quando il comandante delle Operazioni
Navali lo aveva informato che i prigionieri sarebbero stati gettati in mare
dagli aerei, gli aveva anche detto che si erano consultati con le autorità
ecclesiastiche per trovare la soluzione più cristiana e meno violenta. Quando
tornò turbato dal primo volo e si rivolse al cappellano della sua unità
militare, il sacerdote lo tranquillizzò raccontandogli alcune parabole bibliche.
Disse che era una morte cristiana perché non avevano sofferto.” dichiara il
giornalista Jacobo Timerman.
Nel corso del primo
processo contro esponenti della giunta militare, lo stesso Timerman raccontò
che quando aveva chiesto per quale ragione non avevano applicato apertamente la
pena di morte, uno degli ufficiali più alti in grado della Marina gli aveva
risposto: “In questo caso sarebbe intervenuto il Papa e sarebbe stato difficile
fucilare i detenuti se il Pontefice avesse fatto pressione”. Il generale Ramon
Diaz Bessone diede la medesima spiegazione alla giornalista francese Marie-Monique Robin:
“Pensate alle pesanti critiche rivolte dal Papa a Franco nel 1975 per la
fucilazione di appena tre persone. A noi ci sarebbe saltato addosso tutto il
mondo. Non sarebbe stato possibile fucilare 7000 persone”.
Questo spiega perché,
fino ad oggi, la Chiesa non ha scomunicato Videla e nessuno degli altri
condannati, tra i quali il sacerdote cattolico Christian Von Wernich.
Nessun commento:
Posta un commento