Michael
Fabricius 30 luglio
2012 DIE WELT Berlino
L’Europa politica è
sempre più in crisi. E per chi non lo avesse ancora capito, la prova è arrivata
la settimana scorsa. La dichiarazione comune del presidente francese François
Hollande e della cancelliera tedesca Angela Merkel di “fare di tutto per
proteggere [la zona euro]” è stato il classico gesto di disperazione.
Infatti già dalla
terza frase della dichiarazione, era evidente che i paesi membri della zona
euro, comprese Francia e Germania, non avevano più la stessa visione della
crisi. Gli stati, “ognuno secondo le proprie prerogative, dovranno adempiere ai
propri obblighi”. Una frase che può essere interpretata come una capitolazione:
che ognuno se la sbrighi da solo.
Assistiamo agli
ultimi sussulti della diplomazia comune nella zona euro. Il consenso è solo di
facciata, in profondità sono all’opera forze centrifughe che stanno diventando
sempre più forti. Qualche giorno fa il responsabile della Banca centrale
europea (Bce), Mario Draghi, ha lasciato intravedere nuovi aiuti in favore
degli stati in crisi; il giorno dopo è stato smentito dal ministro delle
finanze [tedesco] Wolfgang Schäuble. Nel frattempo la Grecia chiede altro
tempo, mentre giorno dopo giorno ci arrivano nuovi comunicati sulle mancanze
del governo di Atene e diversi responsabili politici tedeschi chiedono
apertamente l’allontanamento del paese dalla zona euro.
Invece di parlare dei
problemi del suo paese, il ministro degli affari europei spagnolo preferisce
chiedere un rafforzamento degli aiuti provenienti dalla Germania. Per quanto
riguarda invece le soluzioni da adottare – acquisto diretto o indiretto di
obbligazioni, salvataggio delle banche, programmi di rigore – nessuno è
d’accordo.
In fin dei conti il
governo tedesco è in posizione di minoranza solo nel Consiglio della Bce. Ma se
si includono gli stati membri dell’Europa orientale, la situazione è già
diversa. Un profondo divario separa il nord dal sud. E prima o poi saremo
costretti a guardarci negli occhi e a confessare che le cose non vanno.
In undici anni di
esistenza dell’euro le zone economiche dell’Europa del nord e del sud invece di
avvicinarsi si sono allontanate. In queste condizioni una moneta comune non ha
senso.
(Traduzione
di Andrea De Ritis)
“Lo scenario peggiore si sta
realizzando”
“Siamo
già alla fine dell’eurozona?”, si domanda Rzeczpospolita dopo che il ministro delle
finanze tedesco Wolfgang Schäuble ha rifiutato l’idea di un bailout da 300
miliardi per Madrid da parte di Berlino. Il quotidiano conservatore sottolinea
che “l’eurozona non ha soldi da parte per salvare la Spagna”, e comunque il
costo dell’operazione supererebbe i 300 miliardi. Secondo gli esperti del think
tank londinese Open Europa, la cifra finale si aggirerebbe infatti tra i
450 e i 650 miliardi.
Secondo Rzeczpospolita “l’Ue non può permettersi di salvare la
Spagna. Diversamente da Grecia, Portogallo o Irlanda, la Spagna è semplicemente
troppo grande”. Dunque l’unica speranza è che
il piano di Madrid
per un bailout da 300 miliardi sia solo una posizione da negoziato, e gli
spagnoli si accontentino dei 100 miliardi [già stanziati per salvare le banche
del paese]. Se invece la situazione della Spagna si dimostrerà davvero così
grave, l’esistenza stessa dell’eurozona potrebbe essere a rischio.
Secondo il quotidiano
l’attuale crisi mostra quanto “fosse utopica l’idea di una confederazione di
stati con una moneta comune ma diversi sistemi politici, sociali ed economici”.
E aggiunge: “stiamo osservando l’inizio della fine dell’attuale modello di
unione monetaria”. Allo stato attuale il problema del bailout spagnolo sarà
probabilmente risolto
con l’emissione
moneta vuota da parte della Bce. Ma questo non metterà fine alla farsa […]
Presto o tardi
qualche [paese] collasserà e la piramide di mutui prestiti crollerà. Dunque a
meno che l’eurozona cambi radicalmente non c’è motivo di continuare a spendere
denaro per rinviare la sua morte.
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