Katrin Bennhold 7 agosto
2012 INTERNATIONAL HERALD TRIBUNE Paris
Ogni giorno Konrad scambia eurobond
per un valore che arriva a tre miliardi di sterline, o 4,7 miliardi di dollari,
per conto della Royal Bank of Scotland. Le sommesse sono incerte, in entrambi i
settori, ma le somme di denaro delle poste sono sicuramente più ingenti nel suo
attuale lavoro. Al punto da stupirlo quasi: “Come far capire a qualcuno che hai
realizzato delle transazioni per un valore di un miliardo? È facile perdersi
negli zeri di un miliardo”, dice Konrad.
Il mercato delle obbligazioni emerge
come un protagonista di primo piano della crisi economica europea, giacché
rappresenta uno spostamento di potere di grande rilievo dai politici agli
investitori e a una coorte relativamente oscura di banchieri. Nel complesso, la
loro opinione che cambia di giorno in giorno può rovesciare governi e custodire
la chiave per la sopravvivenza dell’euro.
Se quel mercato può sembrare a chi
non ne fa parte come un incommensurabile Golia, nelle interviste i trader
stessi ammettono di avere timore e di sentirsi confusi. Stando a quanto afferma
la Banca centrale europea, ormai sono alle prese con livelli incredibilmente
alti di rischio e di ricchezza per gli investitori – qualcosa come 6.700
miliardi di euro di debito dei governi della zona euro. La principale paura
economica che alcuni paesi europei siano troppo indebitati è un cruciale
fattore che orienta i mercati. Molti investitori temono il rischio a medio e
lungo termine legato al mantenimento dell’indebitamento dei governi europei, e
hanno preso quella che considerano la decisione razionale di ridurre i loro
beni o addirittura procedere a un bailout. E mentre i leader europei continuano
a sostenere che la valuta comune, l’euro, sopravvivrà alla crisi, non tutti gli
economisti ne sono altrettanto sicuri.
Alcuni trader sono apertamente
preoccupati che troppi dei loro colleghi siano privi delle qualità necessarie a
decifrare i segnali contrastanti in arrivo dai leader europei in un settore che
dipende sempre più dalle intuizioni e dalla perspicacia politica. Le
fluttuazioni a breve termine dei tassi delle obbligazioni – ammettono – non
sempre riflettono in maniera accurata il valore e il rischio reali. Eppure
spesso i trader sono considerati alla stregua dell’ultima parola dei politici
su tutta una molteplicità di politiche governative e spesso sono fraintesi. I
trader sono i primi ad ammettere che l’esito delle loro decisioni non è
necessariamente coerente o razionale o chiaro nel messaggio che invia. Eppure
di rado hanno tenuto in mano così a lungo la falciatrice.
“Eravamo soliti misurare qualsiasi
cosa nel minimo dettaglio”, dice Tim Skeet, managing director del reddito fisso
alla Royal Bank of Scotland. “Di questi tempi, invece, niente è misurabile.
Ormai non si tratta neanche più di masticare cifre, ma di appellarsi
all’oracolo di Delfi”.
Gli economisti hanno la propensione
a trattare il mercato obbligazionario alla stregua di un giocatore razionale
che impone la disciplina di budget ai politici. Questi a loro volta lo
considerano guidato dalla consapevolezza della folla, accusando i “vigilantes
dei bond” di compromettere la ripresa dell’Europa e il suo beneamato welfare
state. Ma la realtà è molto più sfumata.
Quella paura che circola tra i
trader e i loro nervosi investitori contribuisce a spiegare perché i tassi si
sono impennati per i paesi nei guai come l’Italia e la Spagna e perché i tassi
di interesse si sono indirizzati in territorio negativo per i più affidabili
bond tedeschi: gli investitori sono terrorizzati al punto da pagare davvero
Berlino per il privilegio di prestare loro soldi.
Nel rischio, però, c’è sempre anche
il profitto – altissimo – e ci sono pure le perdite. Le cifre ora in gioco nel
mercato obbligazionario lo rendono vulnerabile a quei tipi di speculazione,
volubilità e riprese più tipicamente associati al mercato azionario.
Mentre l’indebitamento dei governi
in tutta l’Unione Europea ha raggiunto l’88 per cento del prodotto interno
lordo – e ancora di più in parecchi paesi – secondo Eurostat alcuni fondi di
debiti sovrani hanno portato al 9 per cento i guadagni annuali degli
investitori. Naturalmente gli investitori che possedevano bond statali greci
sono quelli che hanno subito le perdite maggiori.
Con così tanto potere di leva a sua
disposizione, i giudizi del mercato obbligazionario possono avere un potere
profetico: in altri termini possono auto realizzarsi, influenzare gli eventi
nel momento stesso in cui i trader li valutano in sede di contrattazione.
Se gli investitori e i trader
giudicano rischiosi i bond spagnoli perché il governo di Madrid potrebbe fare
default, contribuiscono di fatto a rendere più verosimile questa ipotesi,
aumentando i costi dei prestiti. Non ha certo giovato, naturalmente, che per
mesi il governo spagnolo abbia smentito o travisato di proposito che
esistessero enormi problemi nelle sue banche. Né che prima che la Spagna
scivolasse nei guai, chi era proprietario del debito greco avesse già subito
ingenti perdite. E tenuto conto dei profondi problemi economici della Spagna,
alcuni credono che possa rendersi necessario un bailout.
Se i politici si aspettavano che il
mercato obbligazionario parlasse con una voce sola, sono soliti lamentarsi i
trader, avrebbe giovato che anche i politici l’avessero fatto. In verità, per
molti aspetti la crisi dell’Europa è diventata una specie di corsa tra le frenetiche
domande dei trader e i valzer dei leader europei che si appigliano alla
costruzione delle istituzioni per proteggere la loro unione valutaria. È una
gara snervante.
Olivier de Larouzière ricorda di
aver convocato una riunione di emergenza negli uffici della Natixis Asset
Management sulla Rive Gauche a Parigi durante una fase di svolta radicale
vissuta a giugno. Quel giorno de Larouzière, che in qualità di responsabile dei
titoli in euro a reddito fisso della Natixis gestisce qualcosa come 18 miliardi
di euro di debiti, ha visto il rendimento dei bond spagnoli decennali superare
il 7 per cento mentre la cancelliera tedesca Angela Merkel e le sue controparti
europee facevano il possibile per persuadere i mercati che un bailout per la
Spagna non era necessario.
La percezione negativa del debito
sovrano dell’Ue – stimolata almeno in parte dalle legittime preoccupazioni per
il fatto che i leader europei non concordano su che cosa fare in proposito –
può essere contagiosa, in particolare quando abbinata a dati economici reali
che si sono fatti sempre più inquietanti.
Una
questione di paura
Oggi Olivier de Larouzière ritiene
che “i rendimenti dei bond italiani non dovrebbero essere dove sono”,
intendendo con ciò che crede che i progressi fatti dal paese con la spending
review siano di gran lunga migliori di quelli di cui gli si dà merito. Ma egli
continua a vendere il debito italiano, temendo che il pessimismo collettivo
renderà più difficile per Roma mettere insieme i cento miliardi di euro di cui
ha bisogno quest’anno.
“Qui non è tanto una questione di
principi economici, quanto di fondamentali emozioni umane: la paura” ha detto.
Naturalmente gli scettici ribatteranno che malgrado tutti i progressi politici
che l’Italia ha fatto, i prezzi dei suoi bond riflettono il timore che il suo
livello di indebitamento rimanga eccessivamente e scomodamente alto.
Queste preoccupazioni sono nuove per
la maggioranza dei trader cresciuta quando buona parte dell’Europa aveva un
rating creditizio da tripla A. Il quadro è cambiato ora così repentinamente che
Konrad – sebbene non abbia neppure 30 anni – ha già attraversato a grandi passi
entrambe queste epoche. Oggi la sua laurea in storia gli torna utile: per
raggiungere le oltre 600 quotazioni di prezzo al giorno che mette insieme per i
suoi bond – circa una al minuto – la valutazione da parte sua dei risultati
elettorali di un dato paese è per molti aspetti tanto importante quanto il suo
rapporto sul Pil.
Avendo studiato letteratura tedesca
e francese, il suo collega Skeet teme che i mercati moderni non siano preparati
per questo nuovo mondo. “Alcune persone si affidano troppo ai modelli senza
porsi domande. Dovremmo invece passare da un approccio estremamente tecnico,
basato sui dati e sensibile a essi, a un approccio maggiormente intuitivo e
qualitativo”.
Konrad è uno dei pochi alla
scrivania con una laurea in scienze umanistiche. Gli altri quattro hanno lauree
in matematica o in materie scientifiche, come la maggioranza dei trader.
Se Konrad trascorre parte del suo
tempo a cercare di valutare le correnti politiche in fluttuazione, i suoi
colleghi di formazione più matematica conformano i loro pensieri a scopi
commerciali. Konrad ammette che non sempre il risultato è coerente e dice: “Nel
mercato ci sono alcune cose irrazionali”. (Traduzione di Anna Bissanti)
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