Non lo capiscono molti del PD – anche di quello “fassiniano” come Gualtieri – i quali come il baffetto di ferro, si arrampicano sugli specchi sul tema del socialismo rivendicando la sua confluenza in un generico ed indeterminato progressismo figlio di nessuno.
Sappiamo che il PD si è fondato su una traballante intesa tra i democristian-prodiani e i postcomunisti che vivono un complesso di colpa verso il socialismo. Non che tutti i compagni provenienti dal PCI vivessero questo complesso di colpa.
Di certo non lo
vivevano gli ex sindacalisti come il grande Bruno Trentin (“voglio morire
socialista”) o compagni serissimi come Gavino Angius, un ex berlingueriano
convinto assertore della identità socialista della sinistra ed oppositore del
concetto vuoto di “sinistra senza aggettivi”. Faccio due esempi eminenti, ma vi
sono molti compagni provenienti dal PCI che la pensano allo stesso modo.
E’ piuttosto quel corpo centrale dell’apparato (berlingueriano, poi occhettiamo e poi ancora o dalemiano o veltroniano) che ha visto nel rapporto con i post-dc piuttosto che con i socialisti l’asse centrale della loro politica. L’Ulivo è frutto di quell’atteggiamento ed anche il PD.
Fatto è che molti ex PCI , dopo il 1989, hanno guardato agli Stati Uniti piuttosto che all’Europa (erano profondamente ignoranti in tema di socialdemocrazia). E questo fu il tratto d’unione con Prodi che vagheggiava un Ulivo mondiale guidato da Clinton il più grande deregolatore dei mercati finanziari (dei suoi meriti scopatori non possiamo parlarne qui) che ha spalancato porte e finestre al mercato delle vacche dei derivati. Con l’aiuto di Tony Blair. Il suo consigliere Giddens parlava di morte del socialismo non solo quello reale ma anche di quello democratico (alla Bad Godesberg). Questa tesi della morte del socialismo andava a pennello per D’Alema e Veltroni, e chiaramente per i democristiani dell’Ulivo. Peccato che quella si è rivelata essere la parte più degenerata del socialismo europeo. Al quale si possono imputare parecchie cose.
E’ piuttosto quel corpo centrale dell’apparato (berlingueriano, poi occhettiamo e poi ancora o dalemiano o veltroniano) che ha visto nel rapporto con i post-dc piuttosto che con i socialisti l’asse centrale della loro politica. L’Ulivo è frutto di quell’atteggiamento ed anche il PD.
Fatto è che molti ex PCI , dopo il 1989, hanno guardato agli Stati Uniti piuttosto che all’Europa (erano profondamente ignoranti in tema di socialdemocrazia). E questo fu il tratto d’unione con Prodi che vagheggiava un Ulivo mondiale guidato da Clinton il più grande deregolatore dei mercati finanziari (dei suoi meriti scopatori non possiamo parlarne qui) che ha spalancato porte e finestre al mercato delle vacche dei derivati. Con l’aiuto di Tony Blair. Il suo consigliere Giddens parlava di morte del socialismo non solo quello reale ma anche di quello democratico (alla Bad Godesberg). Questa tesi della morte del socialismo andava a pennello per D’Alema e Veltroni, e chiaramente per i democristiani dell’Ulivo. Peccato che quella si è rivelata essere la parte più degenerata del socialismo europeo. Al quale si possono imputare parecchie cose.
Ma non certo quello
di essere stato coerentemente socialista. Anzi se c’è un torto del PSE (o
meglio di una parte di esso) è proprio la incoerenza tra le politiche fatte e
la tradizione socialista. Leggevo una intervista ad un leader storico del
socialismo europeo e spagnolo, Felipe Gonzales, in cui c’è una critica dura a
Zapatero per non aver modificato il meccanismo economico messo in piedi da
Aznar (e che si è fondato su bolle speculative immobiliari e indebitamento
privato) e che è alla base della crisi che oggi vive la Spagna. Un altro grande
leader, il portoghese Mario Soares, disse che Tony Blair era una Thatcher
Mascherata. Insomma da parte di quelli che furono leader socialisti negli anni
80, c’è una aspra critica al PSE degli anni 90 e 2000. Non a tutto: Jospin era
cosa radicalmente diversa da Blair. Così i socialdemocratici svedesi o la
sinistra della SPD. ED oggi c’è un profondo ripensamento in corso in seguito
alla crisi. C’è pure nel PD in gente come Fassina, ma sempre con la prudenza di
non pronunciare mai il nome socialismo. Sui contenuti più autentici del
socialismo democratico mi sono soffermato più volte. Posso solo dire che esso
non si riduce certo al Welfare, ma punta a trasformare profondamente ed in modo
democratico (e nella libertà) i rapporti di potere nella economia e nella
società capitalistica.
Come diceva il
compagno Paolo Bagnoli, il socialismo democratico è socializzazione del potere
come percorso di emancipazione sociale e di liberazione umana. Il welfare è un
pezzo di esso, come lo è l’economia mista, la programmazione, la democrazia
economica. Tutte insieme svolgono quella funzione emancipatrice. E qui sta la
differenza tra socialismo e altre forme spurie di progressismo. Queste ultime –
liberal-sociali o democristiane (cosa diversa dai cristiani-socialisti come
Delors o Carniti) , vedono nei concetti di giustizia e solidarietà (lo metteva
bene in evidenza Massimo Salvadori) non un movimento emancipatorio dal basso
tramite un lotta di classe concepita e praticata in forme democratiche, civili
e razionali (lotta di classe non confinata ai lavoratori manuali ovviamente)
per modificare assetti strutturali di potere, ma un movimento dall’alto verso
il basso – la solidarietà per garantire la governabilità sociale senza
intaccare i meccanismi strutturali che provocano ingiustizia ed esclusione.
Di qui l’impossibilità di costruire un progressismo vago e senza bussola.
Insomma senza una chiara scelta socialista non c’è sinistra che tenga. Naturalmente questo ragionamento vale anche per quei partiti socialisti che hanno preso sbandate neoliberali, ma vale soprattutto per il PD.
Di qui l’impossibilità di costruire un progressismo vago e senza bussola.
Insomma senza una chiara scelta socialista non c’è sinistra che tenga. Naturalmente questo ragionamento vale anche per quei partiti socialisti che hanno preso sbandate neoliberali, ma vale soprattutto per il PD.
Peppe Giudice
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