Jervé
Oggi parliamo di geo-politica e di libera
informazione in rete.
Tutto ciò che sta accadendo oggi,
tecnicamente (nel senso di “politicamente”) è iniziato il 12 dicembre del 2008. Secondo altri,
invece, sarebbe iniziato nel settembre di quell’anno. Ma ci volevano almeno
quattro anni prima che l’onda d’urto arrivasse in Europa e in Usa.
Forse è meglio cominciare dall’inizio per spiegare gli accadimenti.
Anzi, è meglio cominciare dalla fine.
Con qualche specifica domanda, che –è molto probabile- pochi in Europa si sono posti.
Mi riferisco qui alla questione di Jules Assange,wikileaks, e la Repubblica di Ecuador. Perché il caso esplode, oggi?
Perché, Jules Assange, ha scelto un minuscolo, nonché pacifico, staterello del Sudamerica che conta poco o nulla?
Come mai la corona dell’impero britannico perde la testa e si fa prendere a schiaffi davanti al mondo intero da un certo signor Patino, ministro degli esteri ecuadoregno, per gli euro-atlantici un vero e proprio Signor Nessuno, il quale ha dato una risposta alla super elite planetaria (cioè il Foreign Office di Sua Maestà) tale per cui, cinque anni fa avrebbe prodotto soltanto omeriche risate di pena e disprezzo, mentre oggi li costringe ad abbozzare, ritrattare, scusarsi davanti al mondo intero?
Perché l’Ecuador? Perché, adesso?
Forse è meglio cominciare dall’inizio per spiegare gli accadimenti.
Anzi, è meglio cominciare dalla fine.
Con qualche specifica domanda, che –è molto probabile- pochi in Europa si sono posti.
Mi riferisco qui alla questione di Jules Assange,wikileaks, e la Repubblica di Ecuador. Perché il caso esplode, oggi?
Perché, Jules Assange, ha scelto un minuscolo, nonché pacifico, staterello del Sudamerica che conta poco o nulla?
Come mai la corona dell’impero britannico perde la testa e si fa prendere a schiaffi davanti al mondo intero da un certo signor Patino, ministro degli esteri ecuadoregno, per gli euro-atlantici un vero e proprio Signor Nessuno, il quale ha dato una risposta alla super elite planetaria (cioè il Foreign Office di Sua Maestà) tale per cui, cinque anni fa avrebbe prodotto soltanto omeriche risate di pena e disprezzo, mentre oggi li costringe ad abbozzare, ritrattare, scusarsi davanti al mondo intero?
Perché l’Ecuador? Perché, adesso?
Tutto era più che prevedibile, nonché
scontato.
Intendiamoci: era scontato in tutto il
continente americano, in Australia, Nuova Zelanda, Danimarca, paesi scandinavi.
In Europa e a Washington pensavano che il mondo fosse lo stesso di dieci anni
fa.
Perché l’Europa –e soprattutto l’Italia- è al
100% eurocentrica,
vive sotto un costante bombardamento mediatico semi-dittatoriale, non ha la
minima idea di ciò che accade nel resto del mondo, ma (quel che più conta)
pensa ancora come nel 1812, ovvero: “se crolla l’Europa crolla il mondo intero;
se crolla l’euro e l’Europa si disintegra scompare la civiltà nel mondo” e ragiona ancora in termini coloniali.
Ma il mondo non funziona più così.
In Italia, ad esempio, nessuno è informato
sulla zuffa (che sta già diventando rissa) tra il Brasile e l’Onu, malamente
gestita da Christine Lagarde, la persona che presiede il Fondo Monetario
Internazionale, e che ruota intorno all’applicazione base di un concetto
formale, banale, quasi sciocco, ma che potrebbe avere ripercussioni
psico-simboliche immense: l’Italia è stata ufficialmente retrocessa. Non è più
l’ottava potenza al mondo, bensì la nona. E’ stata superata dal Brasile. Quindi
al prossimo G8 l’Italia non verrà invitata, ma ci andrà il Brasile. Da cui la
scelta di abolire il G8 trasformandolo in G10 standard. Si stanno scannando.
La prima notizia Vera (per chi vuole ricavare informazioni reali dal mondo reale) è questa: “L’Europa, con l’Inghilterra e Germania in testa, non possono (non vogliono) accettare il trionfo keynesiano del Sudamerica e la loro irruzione nel teatro della Storia come soggetti politici autonomi. Per loro vale il principio per cui “che se ne stiano a casa loro, non rompano, e ringrazino il cielo che li facciamo anche sopravvivere, come facciamo con gli africani. Altrimenti, da quelle parti, uno per uno faranno la fine di Gheddafi”. Il messaggio in sintesi è questo.
Dal Sudamerica negli ultimi quaranta giorni sono arrivati tre potentissimi messaggi in risposta: niente è stato pubblicizzato in Europa. Tanto meno l’ultimo (il più importante) in data 3 agosto, se non altro per il fatto che era in diretta televisiva dalla sede di New York del Fondo Monetario Internazionale. Nessuno lo ha trasmesso in Europa, ad esclusione del Regno di Danimarca. E così, preso atto che esiste una compattezza mediatica planetaria di censura, e avendo preso atto che se non se ne parla la televisione, non c’è in rete e non si trovano notizie su wikipedia, allora vuol dire che non esiste, il Sudamerica ha scelto il palcoscenico mediatico globale più intelligente in assoluto: il cuore della finanza oligarchica planetaria, la city di Londra.
E adesso veniamo ai fatti.
La prima notizia Vera (per chi vuole ricavare informazioni reali dal mondo reale) è questa: “L’Europa, con l’Inghilterra e Germania in testa, non possono (non vogliono) accettare il trionfo keynesiano del Sudamerica e la loro irruzione nel teatro della Storia come soggetti politici autonomi. Per loro vale il principio per cui “che se ne stiano a casa loro, non rompano, e ringrazino il cielo che li facciamo anche sopravvivere, come facciamo con gli africani. Altrimenti, da quelle parti, uno per uno faranno la fine di Gheddafi”. Il messaggio in sintesi è questo.
Dal Sudamerica negli ultimi quaranta giorni sono arrivati tre potentissimi messaggi in risposta: niente è stato pubblicizzato in Europa. Tanto meno l’ultimo (il più importante) in data 3 agosto, se non altro per il fatto che era in diretta televisiva dalla sede di New York del Fondo Monetario Internazionale. Nessuno lo ha trasmesso in Europa, ad esclusione del Regno di Danimarca. E così, preso atto che esiste una compattezza mediatica planetaria di censura, e avendo preso atto che se non se ne parla la televisione, non c’è in rete e non si trovano notizie su wikipedia, allora vuol dire che non esiste, il Sudamerica ha scelto il palcoscenico mediatico globale più intelligente in assoluto: il cuore della finanza oligarchica planetaria, la city di Londra.
E adesso veniamo ai fatti.
Jules Assange, il 15 giugno del 2012
capisce che per lui è finita. Si trova a Londra. Gli agenti inglesi
l’arresteranno la settimana dopo, lo porteranno a Stoccolma, dove
all’aereoporto non verrà prelevato dalle forze di polizia di Sua Maestà la
regina di Svezia, bensì da due ufficiali della Cia, e un diplomatico
statunitense, i quali avvalendosi di specifici accordi formali sanciti tra le
due nazioni farà prevalere il “diritto di opzione militare in caso di conflitto
bellico dichiarato” sostenendo che Jules Assange è “intervenuto attivamente”
all’interno del conflitto Nato-Iraq mentre la guerra era in corso. Lo porteranno direttamente in Usa,
nello Stato del Texas, dove verrà sottoposto a processo penale per attività
terroristiche, chiedendo per lui l’applicazione della pena di morte sulla base
dell’applicazione del Patriot Act Law. Si consulta con il suo
gruppo, fanno la scelta giusta dopo tre giorni di vorticosi scambi di
informazioni in tutto il pianeta. “vai all’ambasciata dell’Ecuador a piedi, con
la metropolitana, stai lì”. Alle
9 del mattino del 19 giugno entra nell’ambasciata dell’Ecuador.
Nessuna notizia, non lo sa nessuno. Il suo gruppo apre una trattativa con gli
agenti inglesi a Londra, con gli svedesi a Stoccolma e con i diplomatici
americani a Rio de Janeiro. Raggiungono un accordo: “evitiamo rischio di
attentati e facciamo passare le olimpiadi, il 13 agosto se ne può andare in
Sudamerica, facciamo tutto in silenzio, basta che non se ne parli”. I suoi
accettano, ma allo stesso tempo non si fidano (giustamente) degli
anglo-americani. Si danno da fare e mettono a segno due favolosi colpi. Il
primo avviene il 3 agosto, il secondo il 4.
Il 3 agosto 2012, con un anticipo rispetto
alla scadenza di 16 mesi, la presidente della Repubblica Argentina, Cristina Kirchner,
si presenta alla sede di Manhattan del Fondo Monetario Internazionale
accompagnata dal suo ministro dell’economia e dal ministro degli esteri
ecuadoregno, Patino, in rappresentanza di “Alba” (acronimo che sta per Alianza
Laburista Bolivariana America”) l’unione economica tra Ecuador, Colombia e
Venezuela. In tale occasione, la Kirchner si fa fotografare e riprendere dalle
televisioni con un gigantesco cartellone che mostra un assegno di 12 miliardi
di euro intestato al Fondo Monetario Internazionale con scadenza 31 dicembre
2013, che il governo argentino ha versato poche ore prima. “Con questa tranche,
la Repubblica Argentina ha dimostrato di essere solvibile, di essere una
nazione responsabile, attendibile e affidabile per chiunque voglia investire i
propri soldi. Nel 2003 andammo in default per 112 miliardi di dollari, ma ci
rifiutammo di chiedere la cancellazione del debito: scegliemmo semplicemente la
dichiarazione ufficiale di bancarotta e chiedemmo dieci anni di tempo per
restituire i soldi a tutti, compresi gli interessi. Per dieci, lunghi anni,
abbiamo vissuto nel limbo. Per dieci, lunghi anni, abbiamo protestato,
contestato e combattuto contro le decisioni del Fondo Monetario Internazionale
che voleva imporci misure restrittive di rigore economico sostenendo che fosse
l’unica strada. Noi abbiamo seguito una strada diversa, opposta: quella del
keynesismo basato sul bilancio sociale, sul benessere equo sostenibile e sugli
investimenti in infrastrutture, ricerca, innovazione, investendo invece di
tagliare. Abbiamo risolto i nostri problemi. Ci siamo ripresi. Non solo. Siamo
oggi in grado di saldare l’ultima tranche con 16 mesi di anticipo. Le idee del
Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale in materia economica sono
idee errate, sbagliate.
Lo erano allora lo sono ancor di più oggi: Chi vuole operare, imprendere, creare
lavoro e ricchezza, è benvenuto in Argentina: siamo una nazione che ha
dimostrato di essere solvibile, quindi pretendiamo rispetto e fedeltà alle
norme e alle regole, da parte di tutti, dato che abbiamo dimostrato, noi per
primi, di rispettare i dispositivi del diritto internazionale……”
ecc.
Subito dopo (cioè 15 minuti dopo) la Kirchner
ha presentato una denuncia formale contro la Gran Bretagna e gli Usa al WTO
(World Trade Organization) la più importante associazione planetaria di scambi
commerciali coinvolgendo il Fondo Monetario Internazionale grazie ai files
messi a disposizione da Wikileaks, cioè Assange.
L’Argentina ha saldato i debiti, ma adesso
vuole i danni. Con gli interessi composti. “Volevano questo, bene, l’hanno
ottenuto. Adesso che paghino”. E’ una lotta tra la Kirchner e la Lagarde. Le
due Cristine duellano da un anno impietosamente. Grazie (o per colpa) di
Assange, dato che il suo gruppo ha tutte le trascrizioni di diverse
conversazioni in diverse cancellerie del globo, che coinvolgono gli Usa, la
Gran Bretagna, la Francia, l’Italia, la Germania, il Vaticano, dove l’economia
la fa da padrone: Osama Bin Laden è stato mandato in soffitta e sostituito da
John Maynard Keynes, lui è diventato il nemico pubblico numero uno delle grandi
potenze; in queste lunghe conversazioni si parla di come mettere in ginocchio
le economie sudamericane, come portar via le loro risorse energetiche, come
impedir loro di riprendersi e crescere, come fare per impedire ai loro governi
di far passare i piani economici keynesiani applicando invece i dettami del
Fondo Monetario Internazionale il cui unico scopo consiste nel praticare una
politica neo-colonialista a vantaggio soprattutto di Spagna, Italia e Germania,
con capitali inglesi. Gran parte dei file già resi pubblici su internet. Gran
parte dei file, gentilmente offerti da Assange all’ambasciatore in Gran
Bretagna dell’Ecuador, il quale -siamo sempre il 3 agosto a New York- ricorda
chi rappresenta e che cosa ha fatto l’Ecuador, ovvero la prima nazione del
continente americano, e unica nazione nel mondo occidentale dal 1948, ad aver
applicato il concetto di “debito immorale” ovvero “il rifiuto politico e
tecnico di saldare alla comunità internazionale i debiti consolidati dello
Stato perché ottenuti dai precedenti governi attraverso la corruzione, la
violazione dello Stato di Dirirtto, la violazione di norme costituzionali”. Il
12 dicembre del 2008, infatti, il neo presidente del governo dell’Ecuador
Rafael Correa (pil intorno ai 50 miliardi di euro, pari a 30 volte di meno
dell’Italia) dichiara ufficialmente in diretta televisiva in tutto il
continente americano (l’Europa non ha mai trasmesso neppure un fotogramma e
difficilmente si trova nella rete europea materiale visivo) di “aver deciso di
cancellare il debito nazionale considerandolo immondo, perché immorale; hanno
alterato la costituzione per opprimere il popolo raccontando il falso. Hanno
fatto credere che ciò chè è Legge, cioè legittimo, è giusto. Non è così: da
oggi in terra d’Ecuador vale il nuovo principio costituzionale per cui ciò che
è giusto per la collettività allora diventa legittimo”.
Cifra del debito: 11 miliardi di euro. Il
Fondo Monetario Internazionale fa cancellare l’Ecuador dal nòvero delle nazioni
civili: non avrà mai più aiuti di nessun genere da nessuno “Il paese va
isolato” dichiara Dominique Strauss Kahn, allora segretario del Fondo
Monetario.. Il paese è in ginocchio. Il giorno dopo, Hugo Chavez annuncia ufficialmente
che darà il proprio contributo dando petrolio e gas gratis all’Ecuador per
dieci anni. Quattro ore più tardi, il presidente Lula annuncia in televisione
che darà gratis 100 tonnellate al giorno di grano, riso, soya e frutta per
nutrire la popolazione, finchè la nazione non si sarà ripresa. La sera,
l’Argentina annuncia che darà il 3% della propria produzione di carne bovina di
prima scelta gratis all’Ecuador per garantire la quantità di proteine per la
popolazione. Il mattino dopo, in Bolivia, Evo Morales annuncia di aver
legalizzato la cocaina considerandola produzione nazionale e bene collettivo.
Tassa i produttori di foglie di coca e offre all’Ecuador un prestito di 5
miliardi di euro a tasso zero restituibile in dieci anni in 120 rate. Due giorni
dopo, l’Ecuador denuncia la United Fruit Company e la Del Monte &
Associates per “schiavismo e crimini contro l’umanità”, nazionalizza
l’industria agricola delle banane (l’Ecuador è il primo produttore al mondi di
banane) e lancia un piano nazionale di investimento di agricoltura biologica
ecologica pura. Dieci giorni dopo, i verdi bavaresi, i verdi dello Schleswig
Holstein, in Italia la Conad, e in Danimarca la Haagen Daaz, si dichiarano
disponibili a firmare subito dei contratti decennali di acquisto della
produzione di banane attraverso regolari tratte finanziarie pagate in euro che
possono essere scontate subito alla borsa delle merci di Chicago. Il 20
dicembre del 2008, facendosi carico della protesta della United Fruit Company,
il presidente George Bush (già deposto ma in carica formale fino al 17 gennaio
2009) dichiara “nulla e criminale la decisione dell’Ecuador” annunciando la
richiesta di espulsione del paese dall’Onu: “siamo pronti anche a una opzione
militare per salvaguardare gli interessi statunitensi”. Il mattino dopo, il
potente studio legale di New York Goldberg & Goldberg presenta una memoria
difensiva sostenendo che c’è un precedente legale. Sei ore dopo, gli Usa si
arrendono e impongono alla comunità internazionale l’accettazione e la legittimità
del concetto di “debito immorale”. La United Fruit company viene provata come
“multinazionale che pratica sistematicamente la corruzione politica” e
condannata a pagare danni per 6 miliardi di euro.
Da notare che il “precedente legale” (tuttora
ignoto a gran parte degli europei) è datato 4 gennaio 2003 a firma George Bush.
Eh già. E’ accaduto in Iraq, che in quel momento risultava “tecnicamente”
possedimento americano in quanto occupato dai marines con governo provvisorio
non ancora riconosciuto dall’Onu. Saddam Hussein aveva lasciato debiti per 250
miliardi di euro (di cui 40 miliardi di euro nei confronti dell’Italia grazie
alle manovre di Taraq Aziz, vice di Hussein e uomo dell’opus dei fedele al
vaticano) che gli Usa cancellano applicando il concetto di “debito immorale” e
quindi aprendo la strada a un precedente storico recente. Gli avvocati
newyorchesi dell’Ecuador offrono al governo americano una scelta: o accettano e
stanno zitti oppure se si annulla la decisione dell’Ecuador allora si annulla
anche quella dell’Iraq e quindi il tesoro Usa deve pagare subito i 250 miliardi
di euro a tutti compresi gli interessi composti per quattro anni. Obama, non
ancora insediato ma già eletto, impone a Bush di gettare la spugna. La solida
parcella degli avvocati newyorchesi viene pagata dal governo brasiliano.
Nasce allora il Sudamerica moderno.
E cresce e si diffonde il mito di Rafael Correa, presidente eletto dell’Ecuador. Non un contadino indio come Morales, un sindacalista come Lula, un operaio degli altiforni come Chavez. Tutt’altra pasta. Proveniente da una famiglia dell’alta borghesia caraibica, è un intellettuale cattolico. Laureato in economia e pianificazione economica a Harvard, cattolico credente e molto osservante, si auto-definisce “cristiano-socialista come Gesù Cristo, sempre schierato dalla parte di chi ha bisogno e soffre”. Il suo primo atto ufficiale consiste nel congelare tutti i conti correnti dello Ior nella banche cattoliche di Quito e tale cifra viene dirottata in un programma di welfare sociale per i ceti più disagiati. Fa arrestare l’intera classe politica del precedente governo che viene sottoposta a regolare processo. Finiscono tutti in carcere, media di dieci anni a testa con il massimo rigore. Beni confiscati, proprietà nazionalizzate e ridistribuite in cooperative agricole ecologiche. Invia una lettera a papa Ratzinger dove si dichiara “sempre umile servo di Sua Illuminata Santità” dove chiede ufficialmente che il vaticano invii in Ecuador soltanto “religiosi dotati di profonda spiritualità e desiderosi di confortare i bisognosi evitando gli affaristi che finirebbero sotto il rigore della Legge degli uomini”.
Tutto ciò lo si può raccontare oggi, grazie alla bella pensata del Foreign Office, andati nel pallone. In tutto il pianeta Terra, oggi, si parla di Rafael Correa, dell’Ecuador, del debito immorale, del nuovo Sudamerica che ha detto no al colonialismo e alla servitù alle multinazionali europee e statunitensi.
In Italia lo faccio io sperando di essere soltanto uno dei tanti.
Questo, per spiegare “perché l’Ecuador”.
E’ un chiaro segnale che il gruppo di Assange sta dando a chi vuol capire e comprendere che TINA è un Falso. Non è vero che non esiste alternativa. Per 400 anni, da quando gli europei scoprirono le banane ricche di potassio, gli ecuadoregni hanno vissuto nella povertà, nello sfruttamento, nell’indigenza, mentre per centinaia di anni un gruppo di efferati oligarchi si arricchiva alle loro spalle. Non è più così. E non lo sarà mai più. A meno che non finiscano per vincere Mitt Romney, Mario Draghi, Mario Monti, David Cameron e l’oligarchia finanziaria. L’esempio dell’Ecuador è vivo, può essere replicato in ogni nazione africana o asiatica del mondo.
Anche in Europa.
Per questo Jules Assange ha scelto l’Ecuador.
Ma non basta.
Il colpo decisivo al sistema viene dato da una notizia esplosiva resa pubblica (non a caso) il 4 agosto del 2012. “Jules Assange ha firmato il contratto di delega con il magistrato spagnolo Garzòn che ne rappresenta i diritti legali a tutti gli effetti e in ogni nazione del globo”.
Ma chi è Garzòn?
E’ il nemico pubblico numero uno della criminalità organizzata.
E’ il nemico pubblico numero uno dell’opus dei.
E’ il più feroce nemico di Silvio Berlusconi.
E’ in assoluto il nemico più pericoloso per il sistema bancario mondiale.
Nasce allora il Sudamerica moderno.
E cresce e si diffonde il mito di Rafael Correa, presidente eletto dell’Ecuador. Non un contadino indio come Morales, un sindacalista come Lula, un operaio degli altiforni come Chavez. Tutt’altra pasta. Proveniente da una famiglia dell’alta borghesia caraibica, è un intellettuale cattolico. Laureato in economia e pianificazione economica a Harvard, cattolico credente e molto osservante, si auto-definisce “cristiano-socialista come Gesù Cristo, sempre schierato dalla parte di chi ha bisogno e soffre”. Il suo primo atto ufficiale consiste nel congelare tutti i conti correnti dello Ior nella banche cattoliche di Quito e tale cifra viene dirottata in un programma di welfare sociale per i ceti più disagiati. Fa arrestare l’intera classe politica del precedente governo che viene sottoposta a regolare processo. Finiscono tutti in carcere, media di dieci anni a testa con il massimo rigore. Beni confiscati, proprietà nazionalizzate e ridistribuite in cooperative agricole ecologiche. Invia una lettera a papa Ratzinger dove si dichiara “sempre umile servo di Sua Illuminata Santità” dove chiede ufficialmente che il vaticano invii in Ecuador soltanto “religiosi dotati di profonda spiritualità e desiderosi di confortare i bisognosi evitando gli affaristi che finirebbero sotto il rigore della Legge degli uomini”.
Tutto ciò lo si può raccontare oggi, grazie alla bella pensata del Foreign Office, andati nel pallone. In tutto il pianeta Terra, oggi, si parla di Rafael Correa, dell’Ecuador, del debito immorale, del nuovo Sudamerica che ha detto no al colonialismo e alla servitù alle multinazionali europee e statunitensi.
In Italia lo faccio io sperando di essere soltanto uno dei tanti.
Questo, per spiegare “perché l’Ecuador”.
E’ un chiaro segnale che il gruppo di Assange sta dando a chi vuol capire e comprendere che TINA è un Falso. Non è vero che non esiste alternativa. Per 400 anni, da quando gli europei scoprirono le banane ricche di potassio, gli ecuadoregni hanno vissuto nella povertà, nello sfruttamento, nell’indigenza, mentre per centinaia di anni un gruppo di efferati oligarchi si arricchiva alle loro spalle. Non è più così. E non lo sarà mai più. A meno che non finiscano per vincere Mitt Romney, Mario Draghi, Mario Monti, David Cameron e l’oligarchia finanziaria. L’esempio dell’Ecuador è vivo, può essere replicato in ogni nazione africana o asiatica del mondo.
Anche in Europa.
Per questo Jules Assange ha scelto l’Ecuador.
Ma non basta.
Il colpo decisivo al sistema viene dato da una notizia esplosiva resa pubblica (non a caso) il 4 agosto del 2012. “Jules Assange ha firmato il contratto di delega con il magistrato spagnolo Garzòn che ne rappresenta i diritti legali a tutti gli effetti e in ogni nazione del globo”.
Ma chi è Garzòn?
E’ il nemico pubblico numero uno della criminalità organizzata.
E’ il nemico pubblico numero uno dell’opus dei.
E’ il più feroce nemico di Silvio Berlusconi.
E’ in assoluto il nemico più pericoloso per il sistema bancario mondiale.
Magistrato spagnolo con 35 anni di attività
ed esperienza alle spalle, responsabile della procura reale di Madrid, ha avuto
tra le mani i più importanti processi spagnoli degli ultimi 25 anni. Esperto in
“media & finanza” e soprattutto grande esperto in incroci azionari e
finanziari, salì alla ribalta internazionale nel 1993 perché presentò
all’interpol una denuncia contro Silvio Berlusconi e Fedele Confalonieri
(chiedendone l’arresto) relativa a Telecinco, Pentafilm, Fininvest, reteitalia
e Le cinq da cui veniva fuori che la Pentafilm (Berlusconi e Cecchi Gori soci,
cioè Pd e PDL insieme) acquistava a 100 $ i diritti di un film alla Columbia
Pictures che rivendeva a 500$ alla telecinco che li rivendeva a 1000$ a rete
Italia che poi in ultima istanza vendeva a 2000$ alla Rai, in ben 142 casi tre
volte: li ha venduti sia a Rai1 che a Ra2 che a Rai3. Lo stesso film. Cioè la
Rai (ovvero noi) ha pagato i diritti di un film 20 volte il valore di mercato e
l’ha acquistato tre volte, così tutti i partiti erano presenti alla pari.
Quando si arrivò al nocciolo definitivo della faccenda, Berlusconi era
presidente del consiglio, quindi Garzòn venne fermato dall’Unione Europea.
Ottenne una mezza vittoria. Chiuse la telecinco e finirono in galera i manager
spagnoli. Ma Berlusconi rientrò dalla finestra nel 2003 come Mediaset. Si
riaprì la battaglia, Garzòn stava sempre lì. Nel 2006 pensava di avercela fatta
ma il governo italiano di allora (Prodi & co.) aiutò Berlusconi a uscirne.
Nel 2004 aprì un incartamento contro papa Woytila e contro il managament dello
Ior in Spagna e in Argentina, in relazione al finanziamento e sostegno da parte
del vaticano delle giunte militari di Pinochet e Videla in Sudamerica. Nel 2010
Garzòn si dimise andando in pensione ma aprì uno studio di diritto
internazionale dedicato esclusivamente a “media & finanza” con sede all’Aja
in Olanda. E’ il magistrato che è andato a mettere il naso negli affari più
scottanti, in campo mediatico, dell’Europa, degli ultimi venti anni. In quanto
legale ufficiale di Assange, il giudice Garzòn ha l’accesso ai 145.000 file
ancora in possesso di Jules Assange che non sono stati resi pubblici. Ha già
fatto sapere che il suo studio è pronto a denunciare diversi capi di stato
occidentali al tribunale dei diritti civili con sede all’Aja. L’accusa sarà
“crimini contro l’umanità, crimini contro la dignità della persona”.
La battaglia è dunque aperta.
E sarà decisiva soprattutto per il futuro della libertà in rete.
In Usa non fanno mistero del fatto che lo vogliono morto. Anche gli inglesi.
Ma hanno non pochi guai perché, nel frattempo, nonostante sia abbastanza paranoico (e ne ha ben donde) Assange ha provveduto a tirar su un gruppo planetario che si occupa di contro-informazione (vera non quella italiana). I suoi esponenti sono anonimi. Nessuno sa chi siano. Non hanno un sito identificato. Semplicemente immettono in rete dati, notizie, informazioni, eventi. Poi, chi vuole sapere sa dove cercare e chi vuole capire capisce.
Quando la temperatura si alza, va da sé, il tutto viene in superficie.
E allora si balla tutti.
In Sudamerica, oggi, la chiamano “British dance”.
Speriamo soltanto che non abbia seguiti dolorosi o sanguinosi.
Per questo Assange sta dentro l’ambasciata dell’Ecuador.
Per questo Garzòn lo difende.
Per questo, questa storia relativa al Sudamerica, va raccontata.
Per questo l’Impero Britannico ha perso la testa e lo vuole far fuori.
Perché Assange ha accesso a materiale di fonte diretta.
E il solo fatto di dirlo, e divulgarlo, scopre le carte a chi governa, e ricorda alla gente che siamo dentro una Guerra Invisibile Mediatica.
Non sanno come fare a fermare la diffusione di informazioni su ciò che accade nel mondo.
Finora gli è andata bene, rimbecillendo e addormentando l’umanità.
Ma nel caso ci si risvegliasse, per il potere sarebbero dolori davvero imbarazzanti.
Wikileaks non va letto come gossip.
Non lo è.
C’è gente che per immettere una informazione da un anonimo internet point a Canberra, Bogotà o Saint Tropez, rischia anche la pelle.
Questi anonimi meritano il nostro rispetto.
E ci ricordano anche che non potremo più dire, domani “ma noi non sapevamo”.
Chi vuole sapere, oggi, è ben servito. Basta cercare.
Se poi, con questo Sapere un internauta non ne fa nulla, è una sua scelta.
Tradotto vuol dire: finchè non mandiamo a casa l’immonda classe politica che mal ci rappresenta, le chiacchiere rimarranno a zero. Perché ormai sappiamo tutti come stanno le cose.
Altrimenti, non ci si può lamentare o sorprendersi che in Italia nessuno abbia mai parlato prima dell’Ecuador, di Rafael Correa, di ciò che accade in Sudamerica, dello scontro furibondo in atto tra la presidente argentina e brasiliana da una parte e Christine Lagarde e la Merkel dall’altra.
Perché stupirsi, quindi, che gli inglesi vogliano invadere un’ambasciata straniera?
Non era mai accaduto neppure nei momenti più bollenti della cosiddetta Guerra Fredda.
Come dicono in Sudamerica quando si chiede “ma che fanno in Europa, che succede lì?”
Ormai si risponde dovunque “In Europa dormono. Non sanno che la vita esiste”.
E sarà decisiva soprattutto per il futuro della libertà in rete.
In Usa non fanno mistero del fatto che lo vogliono morto. Anche gli inglesi.
Ma hanno non pochi guai perché, nel frattempo, nonostante sia abbastanza paranoico (e ne ha ben donde) Assange ha provveduto a tirar su un gruppo planetario che si occupa di contro-informazione (vera non quella italiana). I suoi esponenti sono anonimi. Nessuno sa chi siano. Non hanno un sito identificato. Semplicemente immettono in rete dati, notizie, informazioni, eventi. Poi, chi vuole sapere sa dove cercare e chi vuole capire capisce.
Quando la temperatura si alza, va da sé, il tutto viene in superficie.
E allora si balla tutti.
In Sudamerica, oggi, la chiamano “British dance”.
Speriamo soltanto che non abbia seguiti dolorosi o sanguinosi.
Per questo Assange sta dentro l’ambasciata dell’Ecuador.
Per questo Garzòn lo difende.
Per questo, questa storia relativa al Sudamerica, va raccontata.
Per questo l’Impero Britannico ha perso la testa e lo vuole far fuori.
Perché Assange ha accesso a materiale di fonte diretta.
E il solo fatto di dirlo, e divulgarlo, scopre le carte a chi governa, e ricorda alla gente che siamo dentro una Guerra Invisibile Mediatica.
Non sanno come fare a fermare la diffusione di informazioni su ciò che accade nel mondo.
Finora gli è andata bene, rimbecillendo e addormentando l’umanità.
Ma nel caso ci si risvegliasse, per il potere sarebbero dolori davvero imbarazzanti.
Wikileaks non va letto come gossip.
Non lo è.
C’è gente che per immettere una informazione da un anonimo internet point a Canberra, Bogotà o Saint Tropez, rischia anche la pelle.
Questi anonimi meritano il nostro rispetto.
E ci ricordano anche che non potremo più dire, domani “ma noi non sapevamo”.
Chi vuole sapere, oggi, è ben servito. Basta cercare.
Se poi, con questo Sapere un internauta non ne fa nulla, è una sua scelta.
Tradotto vuol dire: finchè non mandiamo a casa l’immonda classe politica che mal ci rappresenta, le chiacchiere rimarranno a zero. Perché ormai sappiamo tutti come stanno le cose.
Altrimenti, non ci si può lamentare o sorprendersi che in Italia nessuno abbia mai parlato prima dell’Ecuador, di Rafael Correa, di ciò che accade in Sudamerica, dello scontro furibondo in atto tra la presidente argentina e brasiliana da una parte e Christine Lagarde e la Merkel dall’altra.
Perché stupirsi, quindi, che gli inglesi vogliano invadere un’ambasciata straniera?
Non era mai accaduto neppure nei momenti più bollenti della cosiddetta Guerra Fredda.
Come dicono in Sudamerica quando si chiede “ma che fanno in Europa, che succede lì?”
Ormai si risponde dovunque “In Europa dormono. Non sanno che la vita esiste”.
19 agosto 2012 Autore: Nicoletta Forcheri
attraverso:
http://www.stampalibera.com/?p=50829
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