Andrea
Pantazopoulos 5 settembre
2012 TO VIMA Atene
La recente comparsa di un pericoloso
movimento di estrema destra (se non nazista a tutti gli effetti) è una
circostanza nuova nella scena pubblica. Le cause di questa emergenza sono
attribuite alla profonda crisi economica, il che è comprensibile. Ma se analizziamo
più in profondità questi fenomeni di estrema destra – sia la violenza delle
loro azioni, sia il consenso di una società passiva che sembra quasi
rallegrarsene – ci sentiamo obbligati a interrogarci più a fondo sulle cause.
Un fenomeno di questa portata non
esiste in nessun altro paese europeo, perché altrove i grandi partiti di
estrema destra continuano a negare la loro discendenza fascista. Alba dorata
non appartiene a questa categoria.
Prima di tutto, l’irruzione della violenza
filo-nazista è dovuta alla sua stessa natura. Per Alba dorata la
lotta contro quelli che ritiene nemici non è una questione di natura o di
comportamenti, ma di sangue. Per questo motivo è ingenuo credere che sarà
possibile integrare poco alla volta i suoi membri nel sistema politico
democratico. Queste pratiche violente “legittime” sono diffuse e si stanno
propagando un po’ ovunque.
Questa cultura della violenza è
frutto di una proficua conflittualità: il divario che dal ritorno della
democrazia, avvenuto 38 anni fa, si va allargando tra la società e i suoi
simboli (crisi della rappresentanza politica, mancato rispetto delle regole
sociali, perdita di legittimità dello stato) da una parte, e l’attuale
demagogia delle “sfide” internazionali e delle minacce esterne (per esempio
l’immigrazione) dall’altra.
Questo modello, finché riusciva a
prosperare e ad assicurare un certo prestigio, aveva la possibilità di
controllare la volontà politica dei soggetti. Ma nelle condizioni di declino
sociale in cui ci troviamo, questi ultimi possono prenderne le distanze.
Di conseguenza, paventare la
violenza filo-nazista e percepirla in modo generico non può risolversi in una
semplice teoria di base. E nemmeno con le abituali forme di denuncia. Di per sé
questo genere di pratiche, benché utili, non risponde alla complessità dei
fattori che generano e accrescono la violenza. La paura del nazismo esige una
presa di coscienza politica da parte dello stato, della classe politica e delle
istituzioni, che oggi hanno perso valore.
Prima di tutto occorre che la legge
si sappia imporre quando è sotto assedio. Occorre che lo stato abbia la
capacità, in nome del suo potere politico, di intervenire e di regolamentare,
quando possibile e in maniera democratica, il flusso migratorio. In pratica,
ciò significa varare una vera politica migratoria nazionale. È in questo ambito
che l’azione riprende tutto il suo pieno significato, tanto svelando le facce
del filo-nazismo che rimettendo in ordine le istituzioni che le combattono.
Borghesia
egocentrica
Tuttavia un tale percorso politico
dovrà presto affrontare i suoi stessi limiti se non si accompagnerà a una lotta
ideologica contro la provocazione filo-nazista. La lotta contro l’estremismo di
destra è in effetti il fronte più difficile di questa battaglia, perché in
buona parte il suo programma compendia le idee di base dell’attuale cultura
politica antiliberista e antioccidentale. Si basa sul fatto che siamo una nazione
minacciata da ogni dove, abbiamo il dovere di opporre resistenza al “nuovo
ordine delle cose”, la globalizzazione è una farsa il cui unico scopo è
l’egemonia mondiale del “sionismo”, l’élite ci tradisce, e così via.
In un contesto di crisi economica nel
quale la mobilità non è più quella che era, l’odio per lo straniero, l’universo
cospiratorio, il mix di anticapitalismo e antiplutocratismo, si accompagnano
spesso a una raffica di critiche egocentriche provenienti dalla piccola
borghesia, che tendono ad assumere un carattere di resistenza generalizzata.
Le cause di questo fenomeno si
ritrovano anche in altri paesi europei. Le ricerche su questo argomento hanno
portato alla seguente ipotesi: i fattori che portano ad atteggiamenti politici
e sociali estremi, a cominciare dal voto antisistemico di estrema destra, non
si limitano alla parte finanziaria della crisi, ma al suo sovrapporsi con
variabili culturali come la paura nei confronti dell’immigrazione,
l’alterazione degli stili di vita e la scomparsa delle frontiere nazionali.
Da tutto ciò deriva una percezione
di “insicurezza culturale” nei soggetti sociali che vivono la crisi o se ne
sentono minacciati. Coloro che cercano una nuova sicurezza nella propria
identità, quasi in risposta alle minacce incombenti. Il caso greco sembra un
esempio perfetto di questa crisi di identità.
Traduzione di Anna Bissanti
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