Pensare Globale e Agire Locale

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lunedì 24 settembre 2012

ITALIA - Non ancora morti: storie di una generazione che prova a resistere

Molti li danno per spacciati. Stritolati tra l'inettitudine della politica e la crisi economica, i giovani tra i 30 e i 40 anni riescono comunque ad affrontare la vita al meglio

La generazione di chi attualmente ha fra i trenta e i quarant'anni è stata definita in molti modi nel corso degli anni. Spesso viene chiamata "la generazione perduta", stritolata dai sessantenni che non vogliono lasciare i posti di potere e le nuove generazioni che saranno spietate nel tagliarla fuori.
A noi piace pensarla come la generazione "non ancora morta" che tra l'inettitudine della politica italiana e i tagli dei tecnici sta comunque affrontando la vita al meglio delle sue possibilità.
Come capirla questa generazione? Ci proviamo raccontando qualche storia, senza la pretesa di far sociologia ne', tanto meno, un'indagine statistica ma solo con la volontà di far conoscere le testimonianze delle persone che abbiamo incontrato.
Si dovrebbero esaminare tanti dati per dare un senso a queste storie: la disoccupazione giovanile al 35%, il reddito medio di un operaio italiano confrontato a quello del resto d'Europa, il nostro sistema del welfare e quant'altro. Speriamo che qualcuno prima o poi lo faccia e dia una risposta sul perché nel nostro paese (a differenza degli altri) una intera generazione è stata dimenticata.

Dato che il settore della ricerca è quello che nei paesi civilizzati rappresenta il motore della nazione, cominciamo con la storia di Roberto, classe '77, laureato in Biologia con il massimo dei voti.
Dicono che un ricercatore italiano non prenda molto meno dei suoi colleghi europei, ma dipende dai punti di vista. Di certo i 1700-1800 euro di un neo ricercatore del Cnr non sarebbero pochi, anche se vanno comunque confrontati con i 3000 euro dei paesi scandinavi o del Regno Unito.
Ma quanti sono i ricercatori che "entrano" con il posto fisso al Cnr? Più o meno la metà del totale a quanto ci risulta, gli altri sono dottorandi, borsisti e assegnisti di ricerca. Le tre fasi del purgatorio.
Roberto, dopo la tanta agognata laurea (vecchio ordinamento, quando ancora la farsa del 3+2 non era legge) arrivata con quasi tre anni di tesi di ricerca per i quali, ovviamente, non ha preso un euro, ottiene il posto per il dottorato, due anni di contratti con più o meno 1050 euro al mese. E poi? E poi arrivederci e grazie visto che di concorsi per entrare neanche a parlarne. Allora per non perdere il contatto con l'ambiente scende di livello e fa una domanda per una borsa di studio da 990 euro al mese per semplici laureati, sperando che nel frattempo esca qualche bando per un assegno di ricerca leggermente più cospicuo. E intanto gli anni passano, e qualcuno vuole chiedergli perché ancora non si è sposato.

Della trafila per diventare ricercatore ne sa qualcosa Paolo, classe '72, laurea in Chimica farmaceutica con 110/110; una di quelle lauree che erano considerate un assegno circolare.
A lui piace la carriera accademica e ci prova, due anni di borsa di studio, quattro di dottorato e poi di nuovo due con un'altra borsa di studio. Ma i posti fissi sono per pochi eletti, e allora prende l'aereo e va nel Regno Unito.
Dopo tre anni da "scientific investigator" gli viene offerto il posto in "permanent position", oltre duemila sterline al mese, forse potrebbe anche tornare in Italia e occupare qualche posto atipico, ma perché dovrebbe fare lo stesso lavoro per prendere la metà? Sulla Treccani alla voce "fuga dei cervelli" dovrebbe esserci messa la sua foto.

Lorella, classe '76, è laureata in Scienze politiche con il massimo dei voti.
Una specializzazione in Cooperazione internazionale e poi la svolta della vita, un'esperienza di vita e di lavoro nel Darfur a collaborare con le ambasciate. Quattro anni lunghi e intensi poi la scelta di tornare a casa, perché anche se è un brutto periodo per l'Italia possibile che non si trovi nulla per chi ha tanti titoli alle spalle? Possibile. Infatti oltre un anno passa senza trovare niente, poi alla fine accetta un contratto a partita iva con la Regione a fare tutt'altro... e bisogna anche dirsi fortunati, o no?
«I miei colleghi quando sono tornati a casa sono stati accolti a braccia aperte dalle amministrazioni e dai governi, non solo in Francia e Germania ma anche in Spagna che in teoria dovrebbe stare peggio di noi. Qui nessuno mi ha preso in considerazione»

E cosa dire di Katiuscia? Classe '72, una laurea in Lettere in una prestigiosa università italiana, peccato che per accontentare il professore e migliorare la sua tesi perda per pochi mesi l'ultimo concorso per entrare in ruolo come insegnante. È il 1999, e come se una beffa non bastasse proprio in quegli anni cambiano le normative per insegnare alle elementari. La laurea in Lettere non è più sufficiente, ci vuole Scienze della formazione primaria, in compenso però possono insegnare i diplomati dell'Istituto magistrale! Misteri d'Italia.
Per Katiuscia, dopo anni di cooperative a gestire musei di provincia, il lieto fine si materializza in un concorso pubblico al Comune, proprio pochi mesi prima di prendere la seconda laurea per l'insegnamento. A volte il destino è beffardo.

Ma c'è chi il lieto fine lo sta aspettando da un po'. È per esempio il caso di Valentina, classe '77, una vita di lavori temporanei dopo il diploma di ragioniera appeso al muro, operaia tessile, operaia casearia, segretaria e chi più ne ha più ne metta.
Poi di colpo l'agenzia interinale decide di darle la grande possibilità: impiegata classe C in un ente pubblico; colpo grosso perché come dice la segretaria dell'agenzia interinale «chi entra lì non ne esce più». Difatti c'è gente che per quella via prosegue anche per dieci anni con i contratti atipici. Ma non potrebbero rinnovare il contratto massimo tre volte? Così dicono ma... "who watch the watchmen?" C'è da cambiare città, è un prezzo che si può pagare.
Però alla fine qualcuno si accorge che gli interinali costano più degli impiegati assunti regolarmente (ma va?) e da quel momento in poi nella Pubblica amministrazione, dicono, si entra solo per concorso. Ma la crisi nel 2010 è già esplosa e ai concorsi pubblici partecipano anche i laureati in Ingegneria aerospaziale che puntualmente passano avanti a molti ex precari.
E così si ricomincia da zero, con la differenza che adesso "c'è la crisi", che hai diversi anni in più e che magari la tua vita la pensavi diversa dopo quindici anni di lavoro. E invece ti tocca correre ancora dietro le ordinazioni al ristorante.

C'è invece chi il lieto fine prova invece a costruirselo, dopo dieci anni di lavoro come operaio specializzato in una multinazionale del polipropilene. E' il caso di Matteo, classe '72.
La direzione decide di chiudere lo stabilimento non perché è in perdita (l'anno precedente aveva realizzato un utile di oltre cento milioni di euro) ma perché ormai le multinazionali non rispondono neanche alla logica capitalistica ma solo a quella della speculazione. Il prezzo del polipropilene deve salire, ergo la produzione deve scendere, ergo lo stabilimento nel centro Italia va chiuso.
Matteo e altri centonovanta come lui fanno le barricate, scrivono al sindaco, al vescovo, al presidente della Repubblica, ma non si smuove una paglia. Lo stabilimento chiude. Cassa integrazione, solite trafile di disoccupazione ma alla fine c'è l'idea. Con le competenza acquisite nelle materie plastiche apre un azienda di riciclo. Raccoglie il Pet e lo rivende a chi lo riutilizza. Se prima lavorava otto ore con i turni adesso ne lavora dodici al giorno senza conoscere pause, però sbarca il lunario, è già qualcosa.

A questa generazione è stato detto: "studiate, che poi trovate lavoro"; ha studiato e si è sentita dire: "però era meglio se aveste imparato un mestiere"; il mestiere l'ha imparato e le hanno detto: "però ora c'è la crisi, se vuoi lavorare non avrai diritti ne pensione". E questa generazione ha cercato di lavorare, spesso senza diritti e senza neanche l'idea di una possibile pensione; poi ha visto che all'estero ci trattano meglio e qualcuno ha cominciato ad espatriare. "Ma no restate qua!" hanno gridato gli alti papaveri delle istituzioni. Ma chi resta continua sempre a chiedersi chi glielo fa fare.

Alessandro Chiometti

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