Ricordate quei baracconi in cui, con il modico versamento di un soldo, potevi buttare giù una serie di “teste di turco”? Molto bene. Perché oggi quel giuoco un po’ è diventato un appuntamento solenne della democrazia italiana. E si chiama “primarie del Pd”. è un giuoco aperto a tutti, con il modico versamento di un euro. E già vediamo affollarsi ai gazebo milioni di italiani, simpatizzanti e antipatizzanti del Pd, di sinistra e di destra, con la colorita presenza di gruppi organizzati di ogni risma assoldati all’uopo. Con il risultato di portare alla vittoria il candidato contrapposto a quello ufficiale; e con la subordinata di far annullare il tutto sull’ondata di denunce di irregolarità e di contestazioni acrimoniose.
Si sarebbe
dovuto introdurre un minimo di garanzie. Che so quell’albo di “aventi diritto
alla partecipazione” proposto, tra l’altro, anche dal nostro partito. Il
semplice diritto-dovere per chi partecipa di accettare, che dico di rivendicare
la propria appartenenza alla sinistra; e di far registrare la sua scelta a
futura memoria. Ma, secondo il nostro soave avvelenatore di pozzi, leggi Romano
Prodi, questo vincolo di decenza elementare sarebbe un “ostacolo alla
partecipazione democratica dei cittadini”. Amen.
Lo stesso Prodi sottolinea, per altro verso,
che non si possono fare primarie di coalizione, senza coalizione. Osservazione
più che giusta. Ma che, venendo da lui, non è affatto innocente. Perché non
significa “niente primarie perché non c’è una coalizione” ma piuttosto “dovete
fare le primarie ma, per prima cosa, dovete fare la coalizione”.
Ora, “fare
la coalizione” significa costituire preventivamente uno schieramento e un
programma su cui chiedere il consenso degli elettori, per poi governare
insieme. Insomma, l’Unione/Ulivo di cui evidentemente il Nostro sente una
incoercibile nostalgia. Ma il fatto è che oggi il Pd non è in grado di
costruire alcuna coalizione né con Vendola senza Casini, né con Casini senza
Vendola; né con tutti e due.
La terza
ipotesi è impraticabile; le prime due porterebbero ad una spaccatura drammatica
del Pd.
Tutto questo
Bersani lo sa e punta perciò (in questo d’accordo con Berlusconi, anche se per
ragioni del tutto diverse) a cambiare l’attuale legge elettorale (stiamo
parlando del porcellum, per chi non l’avesse capito), a partire
dall’eliminazione del suo aspetto più significativo: il premio alla coalizione.
Il suo
disegno è chiaro e, ad avviso di chi scrive, corretto: presentare un programma
fatto di alcune opzioni di carattere generale (diciamo l’agenda di Monti con
alcune varianti di tipo socialdemocratico); garantire la legittimità della sua
candidatura alla Presidenza con le primarie; infine costruire su questa base
una maggioranza di governo che consenta di mettere insieme il centro e il
grosso della sinistra.
In un paese normale, un disegno più che
ragionevole. Nell’Italia di oggi un disegno destinato ad abortire sul nascere.
Ecco infatti, da destra ma ahimè anche e
soprattutto da sinistra coloro che, sino a ieri, si stracciavano le vesti per
l’infame legge porcata, sabotare scientemente ogni ragionevole tentativo di
cambiarla e con argomenti tanto sguaiati (“accordo uguale inciucio”) quanto
inconsistenti (si invoca il ritorno al mattarellum, ma dove sono i numeri in
Parlamento?). Con il risultato, scontato o di mantenerla in piedi così com’è o
di lasciare al centro-destra la bandiera della riforma.
Beninteso
delle proposte, giuste o sbagliate, di Bersani non se ne occupa nessuno. Forse
perché nessuno, in particolare a sinistra, è in grado di esporsi in modo
credibile su questo terreno.
Resta,
allora, la giostra delle primarie. Con l’assoluta certezza che queste si
concluderanno con il crollo del baraccone. O perché verrà comunque buttato giù
il giostraio (leggi Bersani) o, più probabilmente, perché il gioco verrà
sospeso, ma per affrontare l’ira funesta dei milioni di possibili partecipanti.
Insomma, o la sconfitta di Bersani o la dichiarazione di fallimento del Pd. In
tutta questa vicenda non si riesce francamente a scorgere un disegno.
Non ci sono
vincitori all’orizzonte. C’è solo un grande campo di rovine. Pure, questo
disastro si svolge alla luce del sole. E con la partecipazione convinta della
pubblica opinione. Quella che si stringe sempre più intorno a Renzi non per
quello che dice o si propone di essere, ma semplicemente per quello che
contesta. Quella che vede con ostile e pregiudiziale sospetto la politica e i
politici sino al punto da rifiutare pregiudizialmente la logica degli accordi e
delle mediazioni.
Tutto questo
viene da lontano. È il frutto logico e. inevitabile di una Rivoluzione, quella
di Tangentopoli, mai compiutamente realizzata, ma nemmeno coerentemente
contestata e superata. Oggi questo movimento sta per travolgere il Pd.
In un certo
senso, è una nemesi storica. Sta crollando l’ultimo e più importante ramo di un
albero che gli ex comunisti hanno potentemente contribuito a distruggere.
Dobbiamo compiacercene? Non ne sono così sicuro.
Alberto
Benzoni
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