(Danilo Dolci, messaggio al Presidente della Repubblica)
Io ricordo la storia di Mariarca
Terracciano, pur non avendola mai conosciuta.
È una di quelle storie distanti che racchiudono una forza in grado di
attaccarsi sotto la pelle. E una volta che finiscono lì non le togli tanto
facilmente.
Mariarca era un’infermiera della Asl 1 di Napoli. Un giorno decide di
protestare perché gli stipendi non sono più pagati. Sapete come funziona, no?
La crisi, il debito pubblico, i soldi non ci sono, o forse ci sono ma la
burocrazia è un grovigliaccio e allora ci vuole tempo… Però intanto è meglio
lavorare sperando che i soldi tornino, sennò si perde il lavoro in un paese
dove il lavoro non c’è, anche se i lavoratori non mancano. Ma se lavori e non
percepisci salario, alla fatica che fai non corrisponde la garanzia di un
sostentamento, e dunque la possibilità di sopravvivere. Perciò se lavori e non
percepisci salario, intimamente convivi con un terrore difficile da spiegare. È
il terrore di chi lavora partecipando al proprio potenziale omicidio, e non sa
come sottrarsi alla trappola. È come essere costretti a giocare alla roulette
russa. Vuoi fare l’infermiera? Va bene, però devi giocare alla roulette russa,
mentre lavori. E qui i sacerdoti del merito di solito sono intorno a dire che
“il posto di lavoro te lo devi meritare”, quindi la roulette russa è solo un
banco di prova, e non un terrore ingiusto e assurdo.
Mariarca Terracciano sceglie di ribellarsi nell’unico modo che forse rimane
agli onesti quando i diritti sono negati o ignorati. Mette sul piatto della
bilancia l’unica cosa che ha: la vita. Inizia uno sciopero della fame e inizia
a togliersi 100 ml di sangue al giorno. Una forma di lotta nonviolenta in cui
Mariarca accoglie su di sé, per mostrarne la follia, quella violenza sociale
che subisce quotidianamente nel lavoro. Una lotta che è al tempo stesso
testimonianza di verità e scandalo, in un mondo politico dove la chiacchiera
sembra l’unità di misura del rapporto con i cittadini.
Mariarca è morta durante quella protesta. E di lei non ricordo solo la
morte.
Ricordo i discorsi sul fatto che, alla fine, non è morta certo per quei
salassi. Probabilmente, hanno detto e scritto, è morta perché già stava male. Come se essere logorati dalla partecipazione
quotidiana al proprio potenziale omicidio ricada per intero su chi è costretto
a scegliere la trappola, lasciando fuori chi la trappola la impone, la
giustifica o la teorizza. Come se la scelta di mettere la propria vita sul
piatto della bilancia abbia avuto meno valore, perché alla fine Mariarca è
morta per un altro motivo, e la vita è caduta fuori dal piatto proprio
all’ultimo. Ma è comprensibile: quando il saggio, per indicare la luna, mette
in gioco la propria vita, per lo stolto è fondamentale dimostrare che il
saggio, morendo, ha indicato la terra.
Quella di Mariarca è una storia che si ripete. È un coro da cui prima o poi
una figura si discosta per recitare l’ingrato ruolo dell’eroe. L’eroe si dà in
pasto perché tutti gli altri vedano qualcosa che, altrimenti, resterebbe
nascosto, o impossibile da comprendere. L’eroe, a ogni replica di questa
tragedia, dice «Se ci sono i lavoratori, come fa a non esserci lavoro? E se non
c’è lavoro perché non ci sono i soldi, dove sono finiti i soldi? ».
Celebrare l’eroe, in questi casi, ho imparato essere un astuto inganno: la
più nobile tra le scuse per non ascoltare l’eroe, e dunque la più ipocrita.
Perché mentre celebri il dito stai ben distante dalla luna, dalle sue
implicazioni. Sbrighi in automatico le pratiche sui tavoli della memoria e
della coscienza, e poi via: sei pronto per la tua roulette russa quotidiana.
Tanto gli altri hanno meno possibilità di farcela, hai calcolato, quindi se un
po’ meno in trappola di loro.
Questa è una storia che si ripete anche quando in apparenza cambia forma, e
si ripete così spesso che nella mia piccola testa non riesco a tenere il conto.
Si ripete a Taranto con l’Ilva, si ripete in Sardegna con i minatori del
Sulcis. E si ripete ogni giorno in una città come l’Aquila, da quel 6 aprile
2009. E sono sicuro che, nella vita di ognuno, questa storia vada in scena più
spesso di quanto lascino intendere gli status su Facebook o gli aggiornamenti
dei blog personali.
Questa storia si ripete quando il corpo diventa testimonianza per colmare
un vuoto prima creato e poi mantenuto, e per colmare le conseguenze di quel
vuoto troppo a lungo ignorate. Nella testimonianza si rivela la vaporosità
delle parole di circostanza, il dire “sto con gli oppressi” come se si
trattasse di scegliere quale coccarda abbinare al vestito buono. Si rivela
l’inconsistenza di chi giustifica la propria distanza di sicurezza dal problema. Nella testimonianza trova
senso un moto di rivolta interiore di fronte ai corpi sceneggiati di ministri
che camminano in spiaggia sorridenti, accanto a moglie e figli. Corpi che
appaiono sorridenti grazie al fotografo che li ha immortalati molte volte,
prima di trovare lo scatto più falsamente vero.
Se uno spazio alle folli maree dell’assurdo si riesce ancora a strappare,
forse è perché da qualche parte, sotto la pelle, non si riescono a dimenticare
storie come quella di Mariarca neanche volendo. Allora, per convivere con la
stretta allo stomaco, si impara a riconoscere quella storia nelle diverse forme
che incarna. Riconoscendola, appare per quello che è tutto il frastuono
ingannevole delle voci che dicono «no, ma vedi lo spread?», «oh, occhio, questa
è la settimana decisiva per l’euro». Voci che tutto sommato vorrebbero essere
ringraziate, perché spiegano l’economia del «rigore» ai poveri cristi imbecilli
e ignoranti. Ma, come scriveva Borges, «l’umanità dimentica che si tratta d’un
rigore di scacchisti, non di angeli», mentre abdica da se stessa.
O forse ricordare storie come quella di Mariarca, tenerle sotto la pelle, è
un modo per stare lontani da un atroce domanda: di fronte alla bilancia, cosa
mettiamo sul piatto tra la nostra vita e la nostra dignità?
E anche questo, in effetti, provoca un moto interiore di rivolta. (Matteo
Pascoletti)
http://www.valigiablu.it/doc/895/storie-di-corpi-costretti-a-scegliere-tra-la-vita-e-la-dignit.htm
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