Pensare Globale e Agire Locale

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domenica 16 settembre 2012

RUSSIA - Putin sta con Obama

Perché l'inquilino del Cremlino tifa per Barack.

di Stefano Grazioli

Domenica, 16 Settembre 2012 - I rapporti tra i Russia e Usa - l’ex superpotenza che sta cercando di recuperare il terreno perduto dopo il primo decennio postsovietico e quella che vede la sua posizione egemonica attaccata su più fronti - non sono più quelli della Guerra Fredda. Lo ha confermato il presidente russo Vladimir Putin, che si è schierato a fianco di Barack Obama condannando i “crimini orribili” di Bengasi.  
VICINANZA STRATEGICA. Certo Mosca e Washington non si amano, ma non si odiano neppure, avvicinati per forza di cose da una serie di dossier che il Terzo millennio ha buttato sulla scacchiera internazionale richiedendo soluzione condivise.
Le relazioni - che ovunque assumono, non solo simbolicamente, una personalizzazione sempre maggiore - sono sempre più legate ai nomi e alle azioni dei presidenti.
RAPPORTI ALTALENANTI. Negli ultimi 12 anni, il punto di riferimento in Russia è stato Putin, che - a parte la parentesi degli ultimi quattro anni con la cessione formale del timone a Dmitri Medvedev - si è trovato di fronte per otto anni George W. Bush e per quattro Obama.
Sia con l’uno che con l’altro i rapporti russo-americani hanno avuto alti e bassi.
Partiti con Bush nel segno della collaborazione nella lotta al terrorismo dopo l’11 settembre, si sono deteriorati con la guerra in Iraq e l’offensiva delle rivoluzioni colorate e pilotate in Georgia, Ucraina e Kirghizistan, per culminare con il conflitto nel Caucaso nel 2008 che ha portato all’indipendenza di Abkhazia e Ossezia del sud.
Sotto Obama la questione dello scudo spaziale, visto da Mosca come una minaccia, e i conflitti prima in Libia e poi in Siria hanno accentuato le differenze, oscurando l’unità di intenti su altri problemi, dall’Afganistan all’Iran.
LA GAFFE DI ROMNEY. Putin, in una recente intervista rilasciata alla televisione Russia Today, ha dichiarato in maniera salomonica di essere pronto a lavorare con chiunque vinca nelle elezioni Usa di novembre.
Non è un segreto, però, che tra un repubblicano e un democratico al Cremlino preferirebbero il secondo.
Tanto più che Mitt Romney è uscito poco tempo fa con una battuta dal sapore Anni 80 rievocando l’Impero del male di reaganiana memoria, dicendo che la Russia rimane per gli americani «il nemico geopolitico numero uno».

È sullo scenario del Medio Oriente che si gioca la partita più difficile


Vladimir Vladimirovich ha fatto notare che, se lavorerà in ogni caso con chi sarà votato dal popolo americano, «il risultato di questo lavoro però dipenderà dai nostri partner».
Il riferimento è soprattutto al progetto dello scudo stellare, per il quale Obama ha lasciato spazi di collaborazione, mentre Romney ha assunto posizioni decisamente meno concilianti.
È però sullo scenario del Medio Oriente che si gioca la partita più attuale: dopo l’attacco in Libia e le proteste antiamericane a largo raggio, Putin si è schierato con Obama, avvertendo comunque che tutta la regione rischia di finire «nel caos».
CONFINE PERICOLOSO. La Russia, che già si era astenuta nella cacciata di Gheddafi e si è arroccata ora insieme con la Cina nella difesa di Damasco, avverte in sostanza il futuro inquilino della Casa Bianca che la linea verso il baratro si sta sensibilmente accorciando.
Il pericolo che le soluzioni unilaterali si trasformino in problemi peggiori, come già visto nel passato in Iraq, ora in Libia, in futuro forse in Iran, è per Mosca una realtà che né Obama né Romney potranno ignorare.
Da questo punto di vista, le sparate dello sfidante repubblicano durante la campagna elettorale non promettono nulla di buono nel caso di un ricambio a Washington.
CONQUISTARE L'ELETTORATO. Sicuramente, è la vicinanza delle elezioni che fa salire i toni. E accusare il presidente attuale per la linea morbida da Mosca a Teheran è un modo come un altro per rinserrare le fila del proprio elettorato (lo stesso si è visto con Putin e i toni antiamericani alla vigilia del voto in Russia), ma gli otto anni di presidenza Bush sono stati significativi, proprio al di là dei proclami.
Il fatto che il candidato alla vicepresidenza Paul Ryan non si sia distinto sino a ora nel precisare una strategia in politica estera - lontano dall’esempio del suo predecessore Dick Cheney, membro dell’ormai defunto Project for the New American Century che puntava senza nascondersi troppo alla leadership americana nel mondo - aggiunge qualche incertezza in più nel caso Romney arrivasse alla vittoria, ma non cambia la sostanza, in attesa di vedere chi potrebbe essere il successore di Hillary Clinton.
Alla fine dei conti, quindi, nonostante qualche incomprensione, non c’è da stupirsi se Putin tifa Obama.

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