Jordi Vaquer 12 settembre 2012
EL PAIS Madrid
Il premier italiano
Mario Monti e il presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy hanno
lanciato l'8 settembre l'idea di un vertice straordinario a Roma. In questa
occasione si parlerà del futuro dell'idea europea e si rifletterà sui mezzi per
combattere il populismo e l'euroscetticismo.
Una questione molto
importante nel momento in cui i partiti populisti di ogni genere, non contenti
di ottenere sempre più potere, hanno una crescente capacità di influenzare
l'opinione pubblica. Il loro cavallo di battaglia è il no all'integrazione
europea in nome del popolo e della sua sovranità. Ma questa iniziativa proviene
da due dirigenti con una scarsa legittimità democratica e potrebbe rivelarsi
controproducente se dovesse mettere sullo stesso piano i diversi populismi e la
critica indispensabile degli attuali metodi dell'Ue.
Se la questione non
fosse così importante, il paradosso potrebbe far sorridere: i due soli leader
che fanno parte del Consiglio senza aver dovuto affrontare il verdetto delle
urne propongono un vertice per contrastare l'euroscetticismo che ha conquistato
l'opinione pubblica. Una proposta che arriva dopo la loro partecipazione al Forum
Ambrosetti, incontro che riunisce ogni anno i più importanti
politici e uomini d'affari italiani e internazionali in un lussuoso albergo
sulle rive del lago di Como. Un evento che, sull'esempio di Davos,
riunisce le élite politiche ed economiche per parlare degli affari del mondo
lontano dai rompiscatole delle classi popolari.
E qual è la proposta
di Monti e di Van Rompuy: organizzare un altro vertice straordinario! Voler
proporre l’ennesimo vertice per illudere i cittadini nel momento in cui
l'Europa soffre di "verticite" acuta ed è stanca di riunioni ai più
alti livelli, la dice lunga sull'abisso che separa questi dirigenti non eletti
da gran parte dell'opinione pubblica.
Van Rompuy e Monti
rappresentano due varianti dell'Europa tecnocratica che molti cittadini, non
solo populisti, vogliono lasciarsi alle spalle. Van Rompuy è stato nominato a
sorpresa durante una cena informale dei presidenti e dei capi di governo che
cercavano un nome senza particolari problemi per un posto che non offre alcuna
ruolo di rilievo nelle decisioni politiche interne, e ancora meno un rapporto
diretto con i cittadini. Van Rompuy concentra tutte le contraddizioni di una
struttura istituzionale complicata, creata dal Trattato di Lisbona per
rispondere alla volontà degli stati di eliminare qualunque figura carismatica
che avrebbe potuto far loro da contrappeso.
Monti incarna un nuovo
tipo di potere tecnocratico, che spinge al limite i meccanismi politici degli
stati membri destinati a sostituire dei politici eletti quando questi non sono
in grado di assicurare la credibilità del governo per fare riforme e tagliare
le spese nei tempi decisi dai centri di decisione europei – Bruxelles,
Francoforte (sede della Banca centrale europea) e Berlino.
Monnet
addio
La crisi della moneta
unica rimette in discussione il metodo Monnet, che risale a 60 anni fa e
consisteva in un'integrazione graduale e senza particolare rumore, attraverso
una politica di piccoli passi, fino a rendere inevitabile la cessione della
sovranità. Ma al di là del metodo in ballo c'è la legittimità di alcuni
dirigenti che prendono decisioni di un'importanza capitale per i cittadini
degli stati membri senza sottomettersi al suffragio universale. Monti e Van
Rompuy, nati negli anni quaranta, non incarnano il futuro e sono gli ultimi
rappresentanti di un gruppo che ha voluto governare per il bene degli europei
in nome della pace, senza rendersi conto della necessità di rafforzare le basi
democratiche del progetto.
Si deve comunque
ammettere che i due presidenti hanno ragione almeno sul contenuto: è importante
parlare di politica e difendere il progetto di integrazione non solo contro gli
attacchi dei mercati, ma anche contro la disaffezione dei cittadini. Ma come
colmare il vuoto di legittimità che spiana la strada al populismo? La loro
iniziativa può rivelarsi pericolosa se si limiterà a combattere delle posizioni
politiche perfettamente democratiche, mentre loro stessi hanno una legittimità
fragile e indiretta.
Lo scetticismo, che
era finora il nemico principale dei sostenitori di un'Europa unita, si rivela
essere una componente importante del dibattito europeo: se gli fosse stato
accordato uno spazio maggiore nei dibattiti fondamentali degli ultimi venti
anni si sarebbero potuti correggere alcuni errori di concezione del progetto di
integrazione, risparmiandoci una parte dei problemi attuali.
Invece di criticare i
populisti e gli euroscettici, i responsabili dell'Ue dovrebbero sforzarsi di
far tacere le critiche migliorando la qualità democratica del sistema. Sul
lungo periodo sarebbe triste se i democratici ci dovessero obbligare a
scegliere fra populisti eletti e tecnocrati europeisti.
(Traduzione
di Andrea De Ritis)
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