José Manuel
Pureza 2 ottobre 2012
Per la quinta volta
nella sua storia la Catalogna vede la possibilità di ottenere l'indipendenza.
Questa svolta verso l'emancipazione da Madrid ha delle motivazioni di fondo e
congiunturali. Lo stato spagnolo è una creazione politica che si basa su una complessa
serie di accordi che garantiscono la perpetuazione di un dominio economico e
sociale e che si sovrappongono a una pluralità di nazioni con una loro
specifica identità e una lunga storia alle spalle. Ma questa costruzione ha
mostrato tutta la sua fragilità nel 1978, in occasione di una transizione
costituzionale a cavallo fra nazionalismi e centralismo.
Le autonomie
regionali sono state il risultato di questo compromesso. In realtà però
l'accordo era un altro: apertura dei rubinetti finanziari per le comunità
autonome, grandi lavori pubblici, modernizzazione e futuro. Finché c'è stato
del denaro da iniettare in investimenti che consolidavano il tranquillo dominio
delle élite locali, questo accordo ha funzionato. La destra nazionale e locale
ha saputo bene sintetizzare questo spirito: quando José María Aznar [primo
ministro dal 1996 al 2004] proclamava dal palazzo della Moncloa "La Spagna
va bene", Jordi Pujol [presidente del governo catalano dal 1980 al 2003]
gli rispondeva dal palazzo della Generalitat "E la Catalogna ancora
meglio".
Ma è a questo punto
che entrano in gioco i fattori congiunturali. Il governo catalano di
Convergencia i Unió [conservatore] deve scontare 822mila disoccupati e 22 mesi
di dure misure sociali. A tutto questo si è aggiunto (con un effetto esplosivo)
il blocco dei finanziamenti delle regioni autonome, deciso dal governo centrale
in base alla revisione della Costituzione spagnola realizzata in tutta fretta
su ordine di Berlino e di Bruxelles. Ordine come sempre eseguito con obbedienza
dagli zelanti interpreti locali, rappresentati dal Partito popolare (Pp) e dal
Partito socialista (Psoe) – gli stessi che adesso parlano dell'inviolabilità
della costituzione quando si tratta di autorizzare il popolo catalano a
esprimersi per referendum sul suo diritto all'autodeterminazione.
Al centro di questa
revisione costituzionale c'è il nuovo patto di bilancio fra Madrid e le regioni
autonome caratterizzato dall'ossessione per il rigore, come un vero e proprio
monumento alla mancanza di buon senso politico. Questo rifiuto di considerare
le conseguenze esplosive che questi tagli alle finanze pubbliche avranno nelle
relazioni fra lo stato centrale e le regioni denota una totale irresponsabilità
politica. In Spagna, come in Portogallo o in Grecia, il piromane berlinese e i
suoi agenti locali hanno dato fuoco agli equilibri sociali, e poco importa loro
se l'incendio libererà i suoi demoni più terribili. Tutto deve essere immolato
sull'altare del dio rigore.
E il governo catalano
sa benissimo sfruttare questa irresponsabilità politica. Di fronte ai
catastrofici risultati economici e sociali del suo mandato, caratterizzato da
una strategia di smantellamento dei servizi pubblici e dei diritti sociali, il
presidente della Generalitat Arturo Mas accusa Madrid di limitarsi a prendere
il denaro dei catalani e di non impegnarsi attivamente nei progetti pubblici
della regione. Ma in realtà la causa indipendentista sbandierata dalla
Generalitat è soprattutto un comodo strumento per sviare l'attenzione dal degrado
sociale ed economico provocato dalle proprie politiche.
Oggi la Spagna
rappresenta – più del Portogallo e della Grecia – un modello su scala ridotta
dell'implosione europea. I rimedi della troika producono nel nostro vicino uno
smantellamento del sistema sociale, politico e territoriale. Eppure la tragedia
dei Balcani avrebbe dovuto insegnarci qualcosa. Ma è difficile sperare di
trovare negli uomini della troika le tracce di una coscienza storica, dato che
si battono proprio contro questa coscienza.
Da
Barcellona
Il treno è partito
La corsa verso
l'indipendenza della Catalogna potrebbe aver già superato il punto di non
ritorno, avverte Fernando
Ónega sul quotidiano di Barcellona La Vanguardia:
Quando un parlamento
si solleva e reclama una consultazione per avviare la transizione nazionale e
il governo dello stato centrale annuncia la sua intenzione di impedirlo, si
pongono le basi di un conflitto. E aggiungo: quando i giornali in Catalogna
parlano di diritto democratico e quelli indignati di Madrid parlano di
“comportamento folle [del governatore della Catalogna Artur] Mas”, il conflitto
non si limita più alla politica, ma sconfina nella società.
A questo punto si
tratta di condurre la transizione sforzandosi di evitare lo scontro frontale
tra due treni. […] Con questa idea, Mas si impegna a effettuare la
consultazione anche se [il primo ministro Mariano] Rajoy non intende
autorizzarla e in questo momento l’esercizio della democrazia si sta
trasformando in una prova di forza. Nessuno s’illuda a Madrid: fare marcia
indietro è impossibile, o quantomeno molto difficile. […] Non so se è troppo
tardi. Il treno catalano va troppo forte per poterlo fermare.
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