Bernd Ulrich
22 ottobre 2012 DIE ZEIT Amburgo
L'Europa è l'ultima
ideologia lecita, almeno per i suoi propagandisti più ostinati. L'Europa non si
merita un simile trattamento, e dovrebbe essere protetta dai suoi più zelanti
sostenitori. Perché l'Europa è soprattutto una struttura instabile, venerabile
ma allo stesso tempo fragile e per di più in piena crisi. Con l'Unione europea,
l'Europa ha avvolto la sua storia e il suo futuro in una pelle in continuo
cambiamento. Ma a causa della crisi le sue mute sono un po' più frequenti del
solito – l'ultima risale al vertice anticrisi di Bruxelles. Si tratta ormai di
sostituire alle misure transitorie una struttura più solida. Ma la forma
precisa che dovrà avere è oggetto, come al solito in Europa, di numerose
controversie.
Il problema è che
l'Europa è anche agitata come uno spauracchio da un gran numero di persone
spaventate dalla globalizzazione, da chi non ha alcuna voglia di mettere mano
al portafoglio per altri paesi o regione e da chi cova una rabbia terribile e
fa dell'Unione europea l'oggetto di tutto il proprio odio. Esiste infine una
terza Europa, quella degli "euroforici", cioè quelle persone che
vogliono più Europa e il più presto possibile. Persone che trasformano l'Ue in
una visione del mondo e la strumentalizzano in un'ideologia.
A differenza dei
populisti eurofobi come Umberto Bossi in Italia, Geert Wilders nei Paesi Bassi
o i Veri finlandesi [oggi ribattezzati "I finlandesi"], gli ideologi
dell'Ue non sono affatto marginali, hanno un'influenza notevole e i loro argomenti
appaiono sotto una forma edulcorata nei discorsi di molti responsabili
politici, come il capo dell'Eurogruppo Jean-Claude Juncker o di Wolfgang
Schäuble [ministro delle Finanze tedesco]. Si tratta di schemi di pensiero che
inquinano spesso il dibattito e nel peggiore dei casi favoriscono i movimenti
populisti di destra.
I portavoce di questi
euroforici sono intellettuali famosi come Ulrich Beck,
Robert Menasse o Daniel Cohn-Bendit. Cercando di sfuggire ai demoni del passato
attraverso un'Europa completamente integrata, composta da stati-nazione ridotti
a nulla, e finiscono per ricollegarsi al passato con l'ideologia e con il
"guglieminismo" [desiderio di grandezza nazionale tipico del regno
dell'imperatore Gugliemo II (1888-1918)].
Oggi nel loro
manifesto europeo [Europa, in piedi!, firmato da Cohn-Bendit e Guy Verhofstadt]
descrivono un quadro particolarmente negativo del continente e ci avvertono che
ci attende una situazione ancora peggiore se non avvieremo subito il cantiere
dell'integrazione totale dell'Unione. "L'influenza della nostra civiltà
bimillenaria rischia di essere letteralmente spazzata via". Ma i problemi
non riguardano solo l'Europa. Anche il mondo corre gravi pericoli, e ci
attendono "liti commerciali di grande portata e nuovi conflitti militari
internazionali" .
Come è possibile che
persone così equilibrate siano arrivate a questo punto? L'impresa nella quale
si lanciano oggi gli euroforici è paradossale: nel momento in cui l'Europa è in
preda a difficoltà senza precedenti, questi personaggi vogliono farle compiere
il più grande balzo in avanti della sua storia. Per loro bisogna affrettarsi
proprio perché i tempi sono difficili. Un ragionamento contrario a qualunque forma
di buon senso. Chiunque vi dirà che quando qualcosa va male bisogna usare
prudenza. Ed è proprio per questo motivo che Cohn-Bendit e Verhofstad rendono
il quadro generale ancora più fosco.
Karl Popper, il
grande filosofo della ragione, ha indicato come segno caratteristico delle
ideologie il fatto che non ne possa essere dimostrata la falsità, e quindi la
loro irrefutabilità. Questo vale anche per gli euroforici. Di fronte a
qualunque problema dell'Ue, a qualunque dubbio ragionevole sulla strada intrapresa,
i nostri politici rispondono: per ridurre le debolezze dell'Ue c'è una sola
soluzione, (molta) più Ue! Ma la gente adotta un ragionamento del genere solo
quando non ha altre alternative.
L'obiettivo è proprio
quello di far credere che non vi siano altre vie di uscita. "Essere o non
essere", oppure "Adesso o mai più e solo noi potremo farlo".
Ecco cosa dicevano tutte le guide ideologiche del secolo scorso. Per
Cohn-Bendit e Verhofstadt, i nostri due esaltati della scena politica europea,
questo porta a un atteggiamento singolare, quasi rivoluzionario. E chiedono
energicamente ai loro immaginari compagni europeisti: "Per facilità,
vigliaccheria e mancanza di lungimiranza, troppi capi di stato e di governo
preferiscono non vedere quello che è in gioco. Destiamoli dal loro sonno,
mettiamoli sotto pressione".
L'uso del termine
"vigliaccheria" è interessante perché lascia intendere che se Angela
Merkel o François Hollande non vogliono fare questo grande balzo in avanti è
solo per paura di non essere rieletti. In realtà il problema è che in Europa
queste idee non sono maggioritarie, perché la gente non ha ancora abbastanza
paura o perché non vuole lasciarsi ingannare.
Anche Robert Menasse
ci dà un un'idea della sua discrezione facendo ricorso a toni molto duri:
"Sul medio periodo si potranno anche sopprimere i parlamenti nazionali.
Questo ci eviterà di essere confrontati ad alcune assurdità come il blocco
della politica di bilancio comune da parte di David Cameron per proteggere gli
speculatori della sua City, mentre il Regno Unito non fa neanche parte
dell'Unione monetaria europea". In altre parole l'idea è la seguente:
Menasse ritiene di poter mettere a tacere i cittadini (e sopprimere i loro
interessi) semplicemente togliendo loro la possibilità di esprimersi per via
parlamentare.
Invidia
dello stato
Anche
l'antiriformismo è presente in questa ideologia europea. Allo stesso modo che
sotto la Repubblica di Weimar i socialdemocratici si vedevano accusare di
riformismo dai comunisti, le masse rivoluzionarie europee sono oggi pregate da
Cohn-Bendit e Verhofstadt di non lasciarsi addormentare dal sistema: "Si
impone una rivoluzione radicale. Una rivoluzione europea di grande portata.
Rifiutate le riforme troppo timide".
L'argomento che parla
di un'unica integrazione che permetterà all'Europa di affermarsi in un mondo
cambiato, di fronte alle grandi potenze come gli Stati Uniti, l'India, il
Brasile, la Russia e la Cina, non è privo di fondamento. Ma questa affermazione
è solo una giustificazione pragmatica che ricorda il guglielminismo. L'Europa
vuole avere un posto al sole. Si tratta di un'ambizione legittima, ma non
dovrebbe dare troppa risonanza a questo progetto. Tanto più che gli stati con i
quali l'Europa avrà a che fare in futuro sono soprattutto degli stati-nazione.
Il problema non
sarebbe quindi nazione o non nazione, ma quale dovrebbe essere la sua
dimensione e la sua potenza. Si ha quasi l'impressione che in Europa lo
stato-nazione metta gli euroforici a disagio o addirittura che lo ammirino. A
questo complesso di inferiorità – che purtroppo ricorda sempre quello di
Guglielmo II – si aggiunge un pizzico di megalomania.
Se l'Europa non
dovesse unirsi, rischiamo nuove guerre mondiali. Senza l'Europa, affermano i
Verdi, non potremo impedire uno stravolgimento climatico. Non sarebbe forse
meglio dire che l'Europa, come gli altri, sta semplicemente cercando la sua
strada e poi si vedrà? È curioso sentire delle persone, peraltro sensate,
lasciarsi strumentalizzare dall'ideologia e in particolare a proposito dell'Europa,
il nostro povero continente, che deve quel po' di saggezza proprio ai numerosi
disastri che si è inflitta. In Europa si può parlare di tutto e di qualunque
riforma, ma non con questi toni. (Traduzione di Andrea De Ritis)
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