11 ottobre 2012 LE MONDE Parigi
Lo spettacolo è assai
poco avvincente. Soltanto gli iniziati possono seguirlo, tenuto conto di come
l’Europa si sta costruendo, di questi tempi, in mezzo a sofferenze e
complicazioni. Di fatto, ciò che abbiamo sotto gli occhi – e che avviene
dolorosamente, per effetto della crisi – è la lenta trasformazione della zona
euro in un’autentica unione monetaria. Un’evoluzione necessaria e positiva.
I diciassette paesi
membri della moneta unica si stanno avviando verso l’armonizzazione di
bilancio, senza la quale un’unione monetaria non può funzionare. Martedì 9
ottobre a Parigi l’Assemblea nazionale ha ratificato
il trattato europeo per la stabilità, il coordinamento e la governance
(soltanto l’Europa può amare così follemente queste poetiche denominazioni).
Mercoledì i deputati hanno adottato il progetto di
legge organica con cui si adotta la “regola aurea”.
Tradotto in
linguaggio corrente, si tratta del patto per ripianare il bilancio che impone
ai firmatari di tenere le proprie finanze pubbliche in ordine e tendere al
pareggio. Con un’altra definizione barbara, quella di deficit strutturale, il
trattato fiscale introduce un po’ di elasticità nel perseguimento di questo
obiettivo.
All’inizio della
settimana la zona euro ha visto entrare in
vigore l'Esm, il meccanismo europeo di stabilità. Con la possibilità
di mobilitare fino a 700 miliardi di euro, il Mes è una specie di fondo
monetario europeo, che interviene in aiuto dei paesi che stentano a finanziare
il proprio debito sui mercati o che devono ricapitalizzare il proprio settore
bancario. Infine, gli europei si stanno avviando verso una supervisione comune
dei rispettivi settori bancari.
Armonizzazione delle
politiche di bilancio, solidarietà finanziaria e unione bancaria: tutto ciò sta
andando avanti, seppur faticosamente. L’impatto sociale è notevole, quanto meno
sul breve periodo, come ha potuto constatare direttamente Angela Merkel durante
la sua visita ad
Atene. Gli spagnoli, orgogliosi senza motivo, esitano a chiedere
l’intervento del Mes. I tedeschi non vogliono che l’Europa “sorvegli” le loro
banche. I francesi sono geneticamente restii all’idea stessa di un pareggio di
bilancio. E così via.
Cameron
saluta
In realtà, era
proprio l’ora. Se vogliamo tenerci l’euro, occorre assolutamente perfezionare
ciò che i suoi padri fondatori avevano soltanto abbozzato: un sistema sbilenco,
che al primo turbamento asimmetrico è esploso. Non può esserci un’unione
monetaria senza unione di bilancio, senza unione bancaria e senza solidarietà
finanziaria. Si dovrà in seguito aggiungere l’indispensabile complemento
democratico: in un modo o in un altro la gestione di questo trittico dovrà
avvenire sotto il controllo dei rappresentanti eletti tra i diciassette.
È perfettamente
rispettabile rifiutare questo balzo in avanti nell’armonizzazione economica, ma
a quel punto occorre saper dire no all’euro. Il primo ministro britannico dice
la verità quando fa notare, come domenica sulla Bbc, che l’Europa non può più
andare avanti con un solo budget. Ce ne sarà uno soltanto per la zona euro,
dotato di dispositivi avanzati per i trasferimenti, e ce ne sarà un altro, più
limitato, per tutta l’Unione. David Cameron vorrebbe approfittarne per rinegoziare,
in modo molto più elastico, l’appartenenza del suo paese all’Unione.
Senza dubbio, era
inevitabile che accadesse: quanto più va prendendo forma l’unione monetaria,
tanto più si smantella un’altra Europa. Ci saranno un club molto più ristretto,
la zona euro, e un altro più largo e meno rigido. E a Bruxelles si
continueranno a fare le ore piccole. (Traduzione di Anna Bissanti)
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