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mercoledì 10 ottobre 2012

ITALIA - Aborto: scende il numero di casi. Nonostante tutto

Dalla Relazione annuale sull'attuazione della legge 194 emerge un trend in calo per le interruzioni di gravidanza. Allarmanti i dati sull'obiezione di coscienza e sull'aborto

Il ministro della Salute Balduzzi, con un ritardo di quasi otto mesi, ha presentato ieri in parlamento la Relazione annuale sull'attuazione della legge 194 sull'interruzione volontaria di gravidanza (igv) contenente i dati definitivi del 2010 e quelli provvisori del 2011. Questa la sintesi che lo stesso ministro ha fatto nella sua presentazione: «Nel 2011 sono state effettuate 109.538 ivg (dato provvisorio), con un decremento del 5,6% rispetto al dato definitivo del 2010 (115.981 casi) e un decremento del 53,3% rispetto al 1982, anno in cui si è registrato il più alto ricorso all'ivg (234.801 casi). Il tasso di abortività (numero delle ivg per 1.000 donne in età feconda tra 15-49 anni), l'indicatore più accurato per una corretta valutazione della tendenza al ricorso all'ivg, nel 2011 è risultato pari a 7,8 per 1.000, con un decremento del 5,3% rispetto al 2010 (8,3 per 1.000) e un decremento del 54,7% rispetto al 1982 (17,2 per 1.000). Il valore italiano è tra i più bassi di quelli osservati nei paesi industrializzati».
I dati vanno però interpretati dividendo le donne che ricorrono all'aborto in due fasce: le italiane e le straniere. L'aumento del numero di aborti tra le seconde, che ha raggiunto nel 2010 il 34 per cento del totale, contrasta la diminuzione tra le prime rallentando quindi il decremento nazionale di ricorso all'ivg.

Sembrerebbero, di primo acchito, buone notizie: una riduzione del cinque per cento dei casi da un anno all'altro può essere un punto di partenza per sperare che il ricorso all'ivg sia sempre più una extrema ratio. Non altrettanto buone, invece, le rilevazioni sul fronte dell'obiezione di coscienza, che paralizza l'applicazione della legge in intere regioni italiane, e sull'aborto chimico.

I dati sull'obiezione di coscienza riportati nella Relazione parlano di una stabilizzazione del fenomeno dopo la crescita costante degli ultimi anni. Ma tra i soli ginecologi si registrano percentuali superiori all'80 per cento, soprattutto nelle regioni del sud (85,2 in Basilicata, 83,9 in Campania, 85,7 in Molise, 80,6 in Sicilia, 81 a Bolzano) con un valore medio nazionale del 69,3 per cento nel 2010. Non molto diversi i numeri e la localizzazione geografica per gli anestesisti e il personale non medico.
Anche per quanto riguarda l'aborto chimico con mifepristone (Ru486), legale in Italia dal 2009, i numeri sono imbarazzanti: nel 2010 questo metodo è stato utilizzato solo nel 3,3 per cento del totale delle ivg e ha registrato la totale assenza delle regioni Abruzzo e Campania.

Fin qui i dati riportati dal ministro. Il quale, pur tacendo sul fallimento dell'aborto chimico - i cui motivi sono nella sostanza cattopolitici -, fa alcune considerazioni di merito sull'obiezione di coscienza riportando il parere del Comitato nazionale di bioetica (il quale raccomanda che la legge preveda «misure adeguate a garantire l'erogazione dei servizi» e forme di mobilità del personale per equilibrare il numero degli obiettori e dei non obiettori) e il suo personale, che è quello di valutare «attentamente l'opportunità di un coinvolgimento del personale obiettore di coscienza in attività di prevenzione dell'aborto, in maniera coerente con le convinzioni di coscienza manifestate». Il che significherebbe probabilmente inserire il personale obiettore nei consultori per dissuadere le donne ad abortire. Cosa possa succedere "dopo", ossia quando una donna che non vuole un figlio accetta obtorto collo di tenerlo, non è affare che riguardi la legge 194.

Ma ciò che stupisce di più è il costante appello del ministro al potenziamento dei consultori come efficaci mezzi di informazione e prevenzione dell'aborto (non è lui a capo della Sanità?) nonché il richiamo alle Regioni che rendono, attraverso il massiccio ricorso all'obiezione di coscienza, impossibile l'applicazione stessa della legge (di nuovo: non è lui a capo della Sanità?).
Provoca poi un amaro sorriso la menzione della «promozione della procreazione responsabile» attraverso «programmi di informazione ed educazione sessuale tra gli/le adolescenti nelle scuole e nei conseguenti "spazi giovani" presso le sedi consultoriali». Soprattutto se si è avuta notizia di un'altra indagine, i cui risultati sono stati presentati a ridosso della Relazione ministeriale, sull'uso dei contraccettivi da parte delle donne tra i 20 e i 30 anni. La ricerca è stata effettuata da Gsk Eurisko e riporta che 45 donne su 100 di questa fascia di età non usano contraccettivi. Il motivo? Lo spiega Rossella Nappi, professore associato della Clinica ostetrica e ginecologica dell'università di Pavia: «I ragazzi italiani sanno veramente poco di contraccezione e questo è senza dubbio un ostacolo importante all'utilizzo di metodi efficaci». Secondo Nappi, i giovani non usano contraccettivi per due ragioni fondamentali: «La non conoscenza della contraccezione e la paura che le ragazze hanno nei confronti della contraccezione ormonale. Ma anche in questo caso c'entra la disinformazione».

Alla luce di tutto ciò, sembra che il tasso di aborti in Italia regredisca spontaneamente e senza alcun sostegno da parte dei governi che si sono succeduti nel tempo: l'ostracismo a programmi di sensibilizzazione e prevenzione nelle scuole, gli unici in grado di coinvolgere tutti gli italiani e gli stranieri portandoli ad essere adulti sessualmente consapevoli, le battaglie ideologiche e politiche sulla pillola dei cinque giorni dopo che l'hanno resa praticamente non fruibile, l'assenza di campagne di distribuzione di profilattici gratuiti per i giovani (quando è dimostrato che portano all'abbattimento consistente delle gravidanze indesiderate) ci fanno chiedere come mai il numero di aborti decresca nel tempo nonostante tutto. E il sospetto che uno zampino in tutto ciò ce l'abbiano l'aberrante fenomeno dell'obiezione di coscienza, che paralizza intere strutture ospedaliere, e la demonizzazione tutta cattolica di cui ancora sono oggetto le donne che scelgono l'interruzione di gravidanza si fa sempre più consistente.

L'unico modo per contrastare efficacemente l'interruzione di gravidanza è la diffusione dell'uso della contraccezione. È lecito chiedersi di quanto diminuirebbe ancora il numero di aborti se una seria politica in questo senso non restasse solo lettera morta per abbellire le relazioni ministeriali.

Cecilia M. Calamani

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