Il Partito Democratico, Sinistra Ecologia Libertà e il
Partito Socialista Italiano hanno sottoscritto un documento politico che forma
la base della loro coalizione elettorale. La “Carta d’intenti” ruota attorno a
dieci parole chiave: Europa, democrazia, lavoro, uguaglianza, libertà, sapere,
sviluppo sostenibile, beni comuni, diritti e responsabilità
Il PSI
è l'unico partito ad essere rappresentato nella famiglia europea socialista,
anche se con una rappresentanza elettorale minima, ha il ruolo chiave della coalizione.
Di seguito il testo del documento
Noi democratici e
progressisti ci riconosciamo nella Costituzione repubblicana, in un progetto di
società di pace, di libertà, di eguaglianza, di laicità, di giustizia, di
progresso e di solidarietà. Vogliamo contribuire al cambiamento dell’Italia,
alla ricostruzione delle sue istituzioni, alla pienezza sua della vita
democratica. Per questo promuoviamo le elezioni primarie. Per scegliere il
candidato comune dei democratici e dei progressisti alla guida del governo del
nostro Paese.
La prossima legislatura dovrà affrontare tre
compiti decisivi. Guidare l’economia fuori dalla crisi. Ridare autorità,
efficienza e prestigio alle istituzioni e alla politica, ripartendo dai
principi della Costituzione. Rilanciare l’unità e l’integrazione politica
dell’Unione Europea.
Noi non crediamo alle bugie delle promesse
facili, quelle vendute nel decennio disastroso della destra. Crediamo, invece,
in un risveglio della fiducia, a cominciare dai giovani e dalle donne. I
problemi sono enormi e il tempo per aggredirli si accorcia. Le scelte da
compiere non sono semplici né scontate. Ma la speranza che ci muove vive tutta
nella convinzione che si possano combinare cambiamento e affidabilità,
uguaglianza e rigore nelle scelte.
Il nostro posto è in Europa. Noi collocheremo
sempre più saldamente l’Italia nel cuore di un’Europa da ripensare su basi
democratiche.
In “casa” dovremo colmare la faglia che si è
scavata tra cittadini e politica. Qui non bastano le parole. Serviranno i
comportamenti, le azioni, le coerenze. Faremo in modo che buona politica e
riscossa civica procedano affiancate. Il traguardo è ricostruire quel
patrimonio collettivo che la destra e i populismi stanno disgregando: la
qualità della democrazia, la legalità, la cittadinanza, la partecipazione. La
realtà è che mai come oggi nessuno si salva da solo. E nessuno può stare bene
davvero, se gli altri continuano a stare male: è questo il principio a base del
nostro progetto, sia nella sfera morale e civile che in quella economica e
sociale.
Vogliamo che il destino dell’Italia sia
figlio della migliore civiltà europea e vogliamo sentirci vicino a chi nel
mondo si batte per la libertà e l’emancipazione di ogni essere umano. Oggi, in
un mondo in subbuglio, pace, cooperazione, accoglienza devono ispirare di nuovo
l’agire politico. Nella coscienza delle donne e degli uomini come nella
diplomazia degli Stati.
Con questa visione noi, democratici e
progressisti, ci candidiamo alla guida dell’Italia.
Europa
La crisi che scuote il mondo mette a rischio l’Europa e le sue conquiste di civiltà. Ma noi siamo l’Europa, nel senso che da lì viene la sola possibilità di salvare l’Italia: le sorti dell’integrazione politica coincidono largamente col nostro destino. Non c’è futuro per l’Italia se non dentro la ripresa e il rilancio del progetto europeo. La prossima maggioranza dovrà avere ben chiara questa bussola: nulla senza l’Europa.
La crisi che scuote il mondo mette a rischio l’Europa e le sue conquiste di civiltà. Ma noi siamo l’Europa, nel senso che da lì viene la sola possibilità di salvare l’Italia: le sorti dell’integrazione politica coincidono largamente col nostro destino. Non c’è futuro per l’Italia se non dentro la ripresa e il rilancio del progetto europeo. La prossima maggioranza dovrà avere ben chiara questa bussola: nulla senza l’Europa.
Per riuscirci agiremo in due direzioni. In
primo luogo, rafforzando la piattaforma dei progressisti europei. Se
l’austerità e l’equilibrio dei conti pubblici, pur necessari, diventano un
dogma e un obiettivo in sé – senza alcuna attenzione per occupazione,
investimenti, ricerca e formazione – finiscono per negare se stessi. Adesso c’è
bisogno di correggere la rotta, accelerando l’integrazione politica, economica e
fiscale, vera condizione di una difesa dell’Euro e di una riorganizzazione del
nostro modello sociale. In secondo luogo, bisogna portare a compimento le
promesse tradite della moneta unica e integrare la più grande area economica
del pianeta in un modello di civiltà che nessun’altra nazione o continente è in
grado di elaborare.
Salvare l’Europa nel pieno della crisi
significa condividere il governo dell’emergenza finanziaria secondo proposte
concrete che abbiamo da tempo avanzato assieme ai progressisti europei. Tali
proposte determinano una prospettiva di coordinamento delle politiche
economiche e fiscali. E dunque nuove istituzioni comuni, dotate di una
legittimazione popolare e diretta. A questo fine i progressisti devono
promuovere un patto costituzionale con le principali famiglie politiche
europee. Anche per l’Europa, infatti, la prossima sarà una legislatura
costituente in cui il piano nazionale e quello continentale saranno intrecciati
stabilmente. Una legislatura nella quale l’orizzonte ideale degli Stati Uniti
d’Europa dovrà iniziare ad acquistare concretezza in una nuova architettura
istituzionale dell’eurozona.
Qui vive la ragione più profonda che ci
spinge a cercare un terreno di collaborazione con le forze del centro liberale.
Per questo i democratici e i progressisti s’impegnano a promuovere un accordo
di legislatura con queste forze, sulla base della loro ispirazione
costituzionale ed europeista e di una responsabilità comune di fronte al
passaggio storico, unico ed eccezionale, che l’Italia e l’Europa dovranno
affrontare nei prossimi anni. Collocare il progetto di governo italiano nel
cuore della sfida europea significa costruire un progetto alternativo alle
regressioni nazionaliste, anti-europee e populiste, da sempre incompatibili con
le radici di un’Europa democratica, aperta, inclusiva.
Democrazia
Dobbiamo sconfiggere l’ideologia della fine della politica e delle virtù prodigiose di un uomo solo al comando. E’ una strada che l’Italia ha già percorso, e sempre con esiti disastrosi. Per noi il populismo è il principale avversario di una politica autenticamente popolare. In questi ultimi anni esso è stato alimentato da un liberismo finanziario che ha lasciato i ceti meno abbienti in balia di un mercato senza regole. La destra populista ha promesso una illusoria protezione dagli effetti del liberismo finanziario innalzando barriere culturali, territoriali e a volte xenofobe.
Dobbiamo sconfiggere l’ideologia della fine della politica e delle virtù prodigiose di un uomo solo al comando. E’ una strada che l’Italia ha già percorso, e sempre con esiti disastrosi. Per noi il populismo è il principale avversario di una politica autenticamente popolare. In questi ultimi anni esso è stato alimentato da un liberismo finanziario che ha lasciato i ceti meno abbienti in balia di un mercato senza regole. La destra populista ha promesso una illusoria protezione dagli effetti del liberismo finanziario innalzando barriere culturali, territoriali e a volte xenofobe.
La sola vera risposta al populismo è la
partecipazione democratica. La crisi della democrazia non si combatte con
“meno” ma con “più” democrazia. Più rispetto delle regole, una netta
separazione dei poteri, una vera democrazia paritaria e l’applicazione corretta
e integrale di quella Costituzione che rimane tra le più belle e avanzate del
mondo. Siamo convinti che il suo progetto di trasformazione civile, economica e
sociale sia vitale e per buona parte ancora da mettere in atto.
L’autonomia, la responsabilità e la libertà
femminile sono una leva per la crescita e una risposta alla crisi democratica.
C’è un nesso strettissimo tra il maschilismo e l’offesa alla dignità delle
donne incarnati in questi anni dal berlusconismo e il degrado delle istituzioni
democratiche. Il riconoscimento della soggettività femminile e l’attuazione del
principio della democrazia paritaria sono oggi condizioni essenziali per la
ricostruzione del Paese.
Vogliamo dare segnali netti all’Italia onesta
che cerca nelle istituzioni un alleato contro i violenti, i corruttori e
chiunque si appropri di risorse comuni mettendo a repentaglio il futuro degli
altri. Per noi ciò equivarrà alla difesa intransigente del principio di
legalità, a una lotta decisa all’evasione fiscale, al contrasto severo dei
reati contro l’ambiente, al rafforzamento della normativa contro la corruzione
e a un sostegno più concreto agli organi inquirenti e agli amministratori
impegnati contro mafie e criminalità, vero piombo nelle ali per l’intero Paese.
Vogliamo contrastare tutte le mafie, reprimendone sia l’azione criminale che
l’immensa forza economica. La presenza dei capitali mafiosi, a maggior ragione
in un momento di crisi, è un elemento devastante per ogni prospettiva di
rilancio del paese. Va reciso ogni legame o sospetto di complicità di alcuni
rappresentanti politici. La rigorosa applicazione del codice etico approvato
dalla Commissione antimafia è per noi inderogabile per le candidature a tutti i
livelli.
Sulla riforma dell’assetto istituzionale,
siamo favorevoli a un sistema parlamentare semplificato e rafforzato, con un
ruolo incisivo del governo e la tutela della funzione di equilibrio assegnata
al Presidente della Repubblica. Riformuleremo un federalismo responsabile e
bene ordinato che faccia delle autonomie un punto di forza dell’assetto
democratico e unitario del Paese. Sono poi essenziali norme stringenti in
materia di conflitto d’interessi, legislazione antitrust e libertà
dell’informazione. Daremo vita a un percorso riformatore che assicuri
concretezza e certezza di tempi alla funzione costituente della prossima
legislatura.
Infine, ma non è l’ultima delle priorità, la
politica deve recuperare autorevolezza, promuovere il rinnovamento, ridurre i
suoi costi e la sua invadenza in ambiti che non le competono. Serve una
politica sobria perché se gli italiani devono risparmiare, chi li governa deve
farlo di più. A ogni livello istituzionale non sono accettabili emolumenti
superiori alla media europea. Ma anche questo non basta. Va approvata una
riforma dei partiti, che alla riduzione del finanziamento pubblico affianchi
una legge di attuazione dell’articolo 49 della Costituzione, che assicuri la
democrazia dei e nei partiti, che devono riformarsi per essere strumento dei
cittadini e non luogo opaco di interessi particolari.
Bisogna agire per la semplificazione e
l’alleggerimento del sistema istituzionale e amministrativo. Occorrono piani
industriali per ogni singola amministrazione pubblica al fine di produrre
efficienza e risparmio. Riconoscere il limite della politica e dei partiti
significa anche aprire il campo alle richieste d’impegno e mobilitazione che
maturano nella società ed alle competenze che si affermano. Tutto ciò dovrà
essere messo in atto a cominciare dalle nomine in enti, società pubbliche e
autorità di sorveglianza e da rinnovati criteri di selezione nelle funzioni di
governo.
Lavoro
La nostra visione assume il lavoro come parametro di tutte le politiche. Cuore del nostro progetto è la dignità del lavoratore da rimettere al centro della democrazia, in Italia e in Europa. Questa è anche la premessa per riconoscere la nuova natura del conflitto sociale. Fulcro di quel conflitto non è più solo l’antagonismo classico tra impresa e operai, ma il mondo complesso dei produttori, cioè delle persone che pensano, lavorano e fanno impresa. E questo perché anche lì, in quella dimensione più ampia, si stanno creando forme nuove di sfruttamento. Il tutto, ancora una volta, per garantire guadagni e lussi alla rendita finanziaria. Bisogna perciò costruire alleanze più vaste. La battaglia per la dignità e l’autonomia del lavoro, infatti, riguarda oggi la lavoratrice precaria come l’operaio sindacalizzato, il piccolo imprenditore o artigiano non meno dell’impiegato pubblico, il giovane professionista sottopagato al pari dell’insegnante o della ricercatrice universitaria.
La nostra visione assume il lavoro come parametro di tutte le politiche. Cuore del nostro progetto è la dignità del lavoratore da rimettere al centro della democrazia, in Italia e in Europa. Questa è anche la premessa per riconoscere la nuova natura del conflitto sociale. Fulcro di quel conflitto non è più solo l’antagonismo classico tra impresa e operai, ma il mondo complesso dei produttori, cioè delle persone che pensano, lavorano e fanno impresa. E questo perché anche lì, in quella dimensione più ampia, si stanno creando forme nuove di sfruttamento. Il tutto, ancora una volta, per garantire guadagni e lussi alla rendita finanziaria. Bisogna perciò costruire alleanze più vaste. La battaglia per la dignità e l’autonomia del lavoro, infatti, riguarda oggi la lavoratrice precaria come l’operaio sindacalizzato, il piccolo imprenditore o artigiano non meno dell’impiegato pubblico, il giovane professionista sottopagato al pari dell’insegnante o della ricercatrice universitaria.
Il primo passo da compiere è un ridisegno
profondo del sistema fiscale che alleggerisca il peso sul lavoro e
sull’impresa, attingendo alla rendita dei grandi patrimoni finanziari e
immobiliari. Quello successivo è contrastare la precarietà, rovesciando le
scelte della destra nell’ultimo decennio e in particolare l’idea di una
competitività al ribasso del nostro apparato produttivo, quasi che, rimasti
orfani della vecchia pratica che svalutava la moneta, la risposta potesse stare
nella svalutazione e svalorizzazione del lavoro. Il terzo passo è spezzare la
spirale perversa tra bassa produttività e compressione dei salari e dei
diritti, aiutando le produzioni a competere sul lato della qualità e
dell’innovazione, punti storicamente vulnerabili del nostro sistema. Quarto
passo è mettere in campo politiche fiscali a sostegno dell’occupazione
femminile, ancora adesso uno dei differenziali più negativi per la nostra
economia, in particolare al Sud. Serve un grande piano per aumentare e
migliorare l’occupazione femminile, contrastare la disparità nei redditi e
nelle carriere, sradicare i pregiudizi sulla presenza delle donne nel mondo del
lavoro e delle professioni. A tale scopo è indispensabile alleggerire la
distribuzione del carico di lavoro e di cura nella famiglia, sostenendo una
riforma del welfare, politiche di conciliazione e condivisione e varando un
programma straordinario per la diffusione degli asili nido. Anche grazie a
politiche di questo tipo sarà possibile sostenere concretamente le famiglie e
favorire una ripresa della natalità. Insomma sul punto non servono altre parole:
bisogna fare del tasso di occupazione femminile e giovanile il misuratore primo
dell’efficacia di tutte le nostre strategie.
Infine, il lavoro è oggi per l’Italia lo
snodo tra questione sociale e questione democratica. Fondare sul lavoro e su
una più ampia democrazia nel lavoro la ricostruzione del Paese non è solo una
scelta economica, ma l’investimento decisivo sulla qualità della nostra
democrazia. Occorre una legge sulla rappresentanza che consenta l’esercizio
effettivo della democrazia per chi lavora. Non possiamo consentire né che si
continui con l’arbitrio della condotta di aziende che discriminano i
lavoratori, né che ci sia una rappresentanza sindacale che prescinda dal voto
dei lavoratori sui contratti.
Uguaglianza
L’Italia è divenuta negli anni uno dei Paesi più diseguali del mondo occidentale. La crisi stessa trova origine – negli Stati Uniti come in Europa – da un aumento senza precedenti delle disuguaglianze. E dunque esiste, da tempo oramai, un problema enorme di redistribuzione che investe il rapporto tra rendita e lavoro, mettendo a rischio i fondamenti del welfare.
L’Italia è divenuta negli anni uno dei Paesi più diseguali del mondo occidentale. La crisi stessa trova origine – negli Stati Uniti come in Europa – da un aumento senza precedenti delle disuguaglianze. E dunque esiste, da tempo oramai, un problema enorme di redistribuzione che investe il rapporto tra rendita e lavoro, mettendo a rischio i fondamenti del welfare.
Sull’altro fronte, la ricchezza finanziaria e
immobiliare è diventata sempre più inafferrabile, capace com’è di sfuggire a
ogni vincolo fiscale e solidale. Non si esce dalla crisi se chi ha di più non è
chiamato a dare di più. È la crisi stessa a insegnarci che la giustizia sociale
non è pensabile come derivata della crescita economica, ma ne costituisce il
presupposto. Ciò significa che la ripresa economica richiede politiche di
contrasto alla povertà, anche in un Paese come il nostro dove il fenomeno sta
assumendo caratteri nuovi e dimensioni angoscianti. I “nuovi poveri”, per
altro, continuano ad assistere allo scandalo di rendite o emolumenti cresciuti
a livelli indecenti, a ricchezze e proprietà smodate che si sottraggono a
qualunque vincolo di solidarietà. A tutto questo bisogna finalmente mettere un
argine.
Per noi parlare di uguaglianza significa
guardare la società con gli occhi degli “ultimi”. Di coloro che per vivere
faticano il doppio: perché sono partiti da più indietro o da più lontano o
perché sono persone con disabilità. Se poi guardiamo alle generazioni più
giovani, il tema dell’uguaglianza si presenta prima di tutto come possibilità
di scelta e parità delle condizioni di accesso alla formazione, al lavoro, a
un’affermazione piena e libera della loro personalità. Superare le
disuguaglianze di genere è indispensabile per ricostruire il Paese su basi
moderne e giuste. Non a caso, ancora una volta, il simbolo più forte di una
riscossa civica e morale è venuto dal movimento delle donne. Su questo piano la
politica, il Parlamento e il governo devono assumere la democrazia paritaria
come traguardo della democrazia tout court.
Nessun discorso sull’uguaglianza sta in piedi
se non si rimette il Mezzogiorno al centro dell’agenda. L’Italia è cresciuta
quando Sud e Nord hanno scelto di avanzare assieme. Viceversa quando la forbice
si è allargata, l’Italia tutta si è distanziata dall’Europa. Sostenere, come la
destra ha fatto per anni, che il Nord poteva farcela da solo si è rivelato un
grave errore, che ha impoverito il Sud e il Nord insieme. Tutt’altra cosa è
combattere sprechi e inefficienze con una nuova strategia nazionale
d’intervento. Il punto è farlo assieme al senso di responsabilità di tante
amministrazioni e movimenti meridionali, per correggere le storture di vecchi
regionalismi e localismi clientelari e per promuovere legalità, civismo e
lavoro.
Infine, al capitolo dell’uguaglianza è legata
a filo doppio la questione di una giustizia civile e penale al servizio del
cittadino. Su questo piano è superfluo ricordare che gli anni della destra al
governo hanno sprangato ogni spiraglio a un intervento riformatore. Diciamo che
si sono occupati pochissimo dello stato di diritto e molto del diritto di uno
soltanto che si riteneva proprietario dello Stato. Ma così a pagare due volte
sono stati i cittadini più deboli: quelli che hanno davvero bisogno di una
giustizia civile e penale rapida, imparziale, efficiente. Nella prossima legislatura
il tema dovrà essere affrontato dal punto di vista della dignità e dei diritti
di tutti e non più dei potenti alla ricerca d’impunità.
Libertà
Per noi libertà è anzitutto la possibilità concreta per le giovani generazioni di costruire il proprio progetto di vita e realizzare le proprie vocazioni. Il nostro progetto non sarà retoricamente per i giovani, ma dovrà essere soprattutto di giovani. Quegli stessi che oggi, pur ricchi di talento ed energie, trovano le strade sbarrate e sono sistematicamente esclusi.
Per noi libertà è anzitutto la possibilità concreta per le giovani generazioni di costruire il proprio progetto di vita e realizzare le proprie vocazioni. Il nostro progetto non sarà retoricamente per i giovani, ma dovrà essere soprattutto di giovani. Quegli stessi che oggi, pur ricchi di talento ed energie, trovano le strade sbarrate e sono sistematicamente esclusi.
Il tema del merito non può essere
contrapposto a quello dell’eguaglianza delle opportunità. Libertà dei progetti
di vita e valorizzazione del merito sono i presupposti di una società più
aperta ed eguale. Attraverso l’introduzione di misure più incisive, ciò deve
valere nel campo delle professioni, della scuola e dell’università,
dell’amministrazione pubblica e dell’impresa privata. Negli anni del
berlusconismo l’appello alla libertà è stato utilizzato a difesa di privilegi e
vantaggi privati. Noi vogliamo liberare le energie della creatività e del
merito individuale contro le chiusure corporative e familistiche della società
italiana.
Consideriamo essenziali il rispetto della
libertà e della responsabilità delle donne. Occorre superare gli aspetti
giuridicamente insostenibili della legge 40 in materia di procreazione
assistita e garantire piena applicazione alla legge 194 sull’interruzione
volontaria di gravidanza.
Su temi che riguardano la vita e morte delle
persone, la politica deve coltivare il senso del proprio limite e il
legislatore deve intervenire sempre sulla base di un principio di cautela e di
laicità del diritto. Per evitare i guasti di un pericoloso “bipolarismo etico”
che la destra ha perseguito in questi anni, è necessario assumere come riferimento
i principi scolpiti nella prima parte della nostra Costituzione e, a partire da
quelli, procedere alla ricerca di punti di equilibrio condivisi, fatte salve la
libertà di coscienza e l’inviolabilità della persona nella sua dignità.
Sapere
La dignità del lavoro e la lotta alle disuguaglianze s’incrociano nel primato delle politiche per l’istruzione e la ricerca. Non c’è futuro per l’Italia senza un contrasto alla caduta drammatica della domanda d’istruzione registrata negli ultimi anni. È qualcosa che trova espressione nell’abbandono scolastico, nella flessione delle iscrizioni alle nostre università, nella sfiducia dei ricercatori e nella demotivazione di un corpo insegnante sottopagato e sempre meno riconosciuto nella sua funzione sociale e culturale.
La dignità del lavoro e la lotta alle disuguaglianze s’incrociano nel primato delle politiche per l’istruzione e la ricerca. Non c’è futuro per l’Italia senza un contrasto alla caduta drammatica della domanda d’istruzione registrata negli ultimi anni. È qualcosa che trova espressione nell’abbandono scolastico, nella flessione delle iscrizioni alle nostre università, nella sfiducia dei ricercatori e nella demotivazione di un corpo insegnante sottopagato e sempre meno riconosciuto nella sua funzione sociale e culturale.
In questo caso più che dalle tante
indicazioni programmatiche, conviene partire da un principio: nei prossimi
anni, se vi è un settore per il quale è giusto che altri ambiti rinuncino a
qualcosa, è quello della ricerca e della formazione. Dalla scuola dell’infanzia
e dell’obbligo alla secondaria e all’università: la sfida è avviare il tempo di
una società della formazione lunga e permanente che non abbandoni nessuno lungo
la via della crescita, dell’aggiornamento, di possibili esigenze di mobilità.
Solo così, del resto, si formano classi dirigenti all’altezza, e solo così il
sapere riacquista la sua fondamentale carica di emancipazione e realizzazione
di sé.
A fronte di questo impegno, garantiremo
processi di riqualificazione e di rigore della spesa, avendo come riferimento
il grado di preparazione degli studenti e il raggiungimento degli obiettivi
formativi. La scuola e l’università italiane, già fiaccate da un quindicennio
di riforme inconcludenti e contraddittorie, hanno ricevuto nell’ultima stagione
un colpo quasi letale. Ora si tratta di avviare un’opera di ricostruzione vera
e propria. Nella prossima legislatura partiremo da un piano straordinario
contro la dispersione scolastica, soprattutto nelle zone a più forte
infiltrazione criminale, dal varo di misure operative per il diritto allo
studio, da un investimento sulla ricerca avanzata nei settori trainanti e a più
alto contenuto d’innovazione. Tutto ciò nel quadro del valore universalistico
della formazione, della promozione della ricerca scientifica e della ricerca di
base in ambito umanistico.
Sviluppo sostenibile
Sviluppo sostenibile per noi vuol dire valorizzare la carta più importante che possiamo giocare nella globalizzazione, quella del saper fare italiano. Se una chance abbiamo, è quella di una Italia che sappia fare l’Italia. Da sempre la nostra forza è stata quella di trasformare con il gusto, la duttilità, la tecnica e la creatività, materie prime spesso acquistate all’estero.
Sviluppo sostenibile per noi vuol dire valorizzare la carta più importante che possiamo giocare nella globalizzazione, quella del saper fare italiano. Se una chance abbiamo, è quella di una Italia che sappia fare l’Italia. Da sempre la nostra forza è stata quella di trasformare con il gusto, la duttilità, la tecnica e la creatività, materie prime spesso acquistate all’estero.
Il decennio appena trascorso è stato
particolarmente pesante per il nostro sistema produttivo. L’ingresso nell’euro
e la fine della svalutazione competitiva hanno prodotto, con la concorrenza
della rendita finanziaria, una caduta degli investimenti in innovazione
tecnologica e nella capitalizzazione delle imprese, con l’aumento
dell’esportazione di capitali. Anche in questo caso è tempo di cambiare
spartito e ridare centralità alla produzione. Una politica industriale
“integralmente ecologica” è la prima e più rilevante di queste scelte.
Noi immaginiamo un progetto-Paese che
individui grandi aree d’investimento, di ricerca, di innovazione verso le quali
orientare il sistema delle imprese, nell’industria, nell’agricoltura e nei
servizi. La qualità e le tipicità, mobilità sostenibile, risparmio ed
efficienza energetica, le tecnologie legate alla salute, alla cultura,
all’arte, ai beni di valore storico e alla nostra tradizione, l’agenda
digitale. Bisogna inoltre dare più forza e prospettiva alle nostre piccole e
medie imprese aiutandole a collegarsi fra loro, a capitalizzarsi, ad accedere
alla ricerca e alla internazionalizzazione.
Beni comuni
Per noi salute, istruzione, sicurezza, ambiente, sono campi dove, in via di principio, non deve esserci il povero né il ricco. Perché sono beni indisponibili alla pura logica del mercato e dei profitti. Sono beni comuni – di tutti e di ciascuno – e definiscono il grado di civiltà e democrazia del Paese.
Per noi salute, istruzione, sicurezza, ambiente, sono campi dove, in via di principio, non deve esserci il povero né il ricco. Perché sono beni indisponibili alla pura logica del mercato e dei profitti. Sono beni comuni – di tutti e di ciascuno – e definiscono il grado di civiltà e democrazia del Paese.
I referendum del 2011 hanno affermato il
principio dell’acqua come bene non privatizzabile. L’energia, il patrimonio
culturale e del paesaggio, le infrastrutture dello sviluppo sostenibile, la
rete dei servizi di welfare e formazione, sono beni che devono vivere in un
quadro di programmazione, regolazione e controllo sulla qualità delle
prestazioni.
Per tutto questo, introdurremo normative che
definiscano i parametri della gestione pubblica o, in alternativa, i compiti
delle autorità di controllo a tutela delle finalità pubbliche dei servizi. In
ogni caso non può venir meno una responsabilità pubblica dei cicli e dei
processi, che garantisca l’universalità di accesso e la sostenibilità nel lungo
periodo.
La difesa dei beni comuni è la risposta che
la politica deve a un bisogno di comunità che è tornato a manifestarsi anche
tra noi. I referendum della primavera del 2011 ne sono stati un’espressione
fondamentale. È tramontata l’idea che la privatizzazione e l’assenza di regole
siano sempre e comunque la ricetta giusta. Non si tratta per questo di tornare
al vecchio statalismo o a una diffidenza preventiva verso un mercato regolato.
Il punto è affermare l’idea che questi beni riguardano il futuro dei nostri
figli e chiedono pertanto una presa in carico da parte della comunità.
In questo disegno la maggiore razionalità e
la valorizzazione del tessuto degli enti locali sono essenziali, non solo per
la funzione regolativa che sono chiamati a svolgere, ma perché il presidio di
democrazia, partecipazione e servizi che assicurano è in sé uno dei beni più
preziosi per i cittadini. Superare le duplicazioni, riqualificare la spesa,
devono perciò accompagnarsi ad un nuovo e rigoroso investimento sul valore
dell’autogoverno locale che, soprattutto nella crisi, non va visto, così come
ha fatto la destra, come una specie di malattia, ma piuttosto come una
possibile medicina. A sua volta l’autogoverno locale deve offrire spazi e
occasioni alla sussidiarietà, alle forme di partecipazione civica, ai
protagonisti del privato sociale e del volontariato.
Diritti
Il principio della dignità inviolabile della persona e il rispetto dei diritti umani fondamentali sono la cornice generale entro cui trovano posto tutte le nostre scelte di programma.
Il principio della dignità inviolabile della persona e il rispetto dei diritti umani fondamentali sono la cornice generale entro cui trovano posto tutte le nostre scelte di programma.
In particolare, noi ci sentiamo al fianco
della lotta di popoli interi per la difesa dei diritti umani, a iniziare da
quelli delle donne. Crediamo sia compito dei democratici e dei progressisti
affermare l’indivisibilità dei diritti – politici, civili e sociali – e di
farlo valorizzando il principio costituzionale della laicità dello Stato.
Nel nostro caso questo significa l’impegno a
perseguire il contrasto verso ogni violenza contro le donne, un fenomeno che
affonda le sue radici in modelli inaccettabili del rapporto tra i generi e che
costituisce una vera e propria violazione dei diritti umani.
Sul piano dei diritti di cittadinanza
l’Italia attende da troppo tempo una legge semplice ma irrinunciabile: un
bambino, figlio d’immigrati, nato e cresciuto in Italia, è un cittadino
italiano. L’approvazione di questa norma sarà simbolicamente il primo atto che
ci proponiamo di compiere nella prossima legislatura.
Daremo sostanza normativa al principio
riconosciuto dalla Corte costituzionale, per il quale una coppia omosessuale ha
diritto a vivere la propria unione ottenendone il riconoscimento giuridico.
È inoltre urgente una legge contro
l’omofobia.
Siamo per il rispetto della vita umana e
quindi vogliamo che la condizione dei detenuti sia rispettosa della
Costituzione.
Responsabilità
L’Italia ha bisogno di un governo e di una maggioranza stabili e coesi. Di conseguenza l’imperativo che democratici e progressisti hanno di fronte è quello dell’affidabilità e della responsabilità. Per questa ragione, nel momento stesso in cui chiamiamo a stringere un patto di governo movimenti, associazioni, liste civiche, singole personalità e cittadini che condividono le linee di questo progetto, vogliamo assumere insieme, dinanzi al Paese, alcuni impegni espliciti e vincolanti.
L’Italia ha bisogno di un governo e di una maggioranza stabili e coesi. Di conseguenza l’imperativo che democratici e progressisti hanno di fronte è quello dell’affidabilità e della responsabilità. Per questa ragione, nel momento stesso in cui chiamiamo a stringere un patto di governo movimenti, associazioni, liste civiche, singole personalità e cittadini che condividono le linee di questo progetto, vogliamo assumere insieme, dinanzi al Paese, alcuni impegni espliciti e vincolanti.
Le forze della coalizione, in un quadro di
lealtà e civiltà dei rapporti, si dovranno impegnare a:
- sostenere in modo leale e per l’intero arco
della legislatura l’azione del premier scelto con le primarie;
- affidare a chi avrà l’onere e l’onore di guidare la maggioranza, la responsabilità di una composizione del governo snella, sottratta a logiche di spartizione e ispirata a criteri di competenza, rinnovamento e credibilità interna e internazionale;
- vincolare la risoluzione di controversie relative a singoli atti o provvedimenti rilevanti a una votazione a maggioranza qualificata dei gruppi parlamentari convocati in seduta congiunta;
- assicurare la lealtà istituzionale agli impegni internazionali e ai trattati sottoscritti dal nostro Paese, fino alla verifica operativa e all’eventuale rinegoziazione degli stessi in accordo con gli altri governi;
- appoggiare l’esecutivo in tutte le misure di ordine economico e istituzionale che nei prossimi anni si renderanno necessarie per difendere la moneta unica e procedere verso un governo politico-economico federale dell’eurozona.
- affidare a chi avrà l’onere e l’onore di guidare la maggioranza, la responsabilità di una composizione del governo snella, sottratta a logiche di spartizione e ispirata a criteri di competenza, rinnovamento e credibilità interna e internazionale;
- vincolare la risoluzione di controversie relative a singoli atti o provvedimenti rilevanti a una votazione a maggioranza qualificata dei gruppi parlamentari convocati in seduta congiunta;
- assicurare la lealtà istituzionale agli impegni internazionali e ai trattati sottoscritti dal nostro Paese, fino alla verifica operativa e all’eventuale rinegoziazione degli stessi in accordo con gli altri governi;
- appoggiare l’esecutivo in tutte le misure di ordine economico e istituzionale che nei prossimi anni si renderanno necessarie per difendere la moneta unica e procedere verso un governo politico-economico federale dell’eurozona.
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