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giovedì 11 ottobre 2012

PAKISTAN - No alle spose bambine, svolta in Pakistan?

L'appello dei leader delle comunità islamiche e cristiane, rivolto a Islamabad: collaborazione con l'Onu per una reale tutela dei diritti umani

Il governo pakistano deve rafforzare la collaborazione con gli organismi internazionali, e le Nazioni Unite in particolare, per raggiungere l'obiettivo di una migliore tutela dei diritti umani. È quanto auspicano un gruppo di leader cristiani e musulmani, riuniti a Lahore per una conferenza promossa dalla Commissione nazionale di Giustizia e pace della Chiesa cattolica (Ncjp). In concomitanza con la prima Giornata internazionale delle bambine, indetta dall'Onu e che si celebra in tutto il mondo l'11 ottobre, il forum interreligioso chiede a Islamabad di tutelare con forza «i diritti dei minori e delle donne» da attentati, stupri e violenze. Un appello che cade a poche ore dall'attacco alla 14enne attivista pakistana Malala Yousafzai, che ha sollevato ira e indignazione nel Paese e nel mondo intero. Oggi si celebra la prima giornata dedicata dalle Nazioni Unite alle ragazze bambine. Tema - e proposito - di questa edizione 2012 la lotta contro la pratica delle spose bambine, che tocca diverse nazioni al mondo fra cui Pakistan e Afghanistan. Esso impedisce alle minori di studiare, privandole di un diritto fondamentale che preclude la possibilità di crescita e uno sviluppo completo della persona. Fra le cause della pratica, vi sono discriminazioni di genere, povertà e motivazioni di carattere religioso o sociale.

Come riporta Asia news, a Lahore, su iniziativa di un gruppo di attivisti musulmani e cristiani e sotto l'egida di Ncjp, si è tenuta una conferenza che ha analizzato proprio il rispetto dei diritti umani, con una particolare attenzione alle violazioni contro donne e bambine. I promotori chiedono al governo pakistano di avviare una seria collaborazione con gli organismi internazionali e sfruttare le opportunità, per «superare gli ostacoli nel solco di un reale miglioramento della situazione in materia di diritti umani». Finora Islamabad ha dato prova «di non essere un membro serio e affidabile», perché non ha saputo tutelare gli elementi deboli della società, fra cui «bambini, donne, lavoratori [sfruttati] e minoranze» etniche e religiose. Per migliorare la realtà del Paese e raggiungere gli obiettivi prefissati, i leader islamo-cristiani rivolgono al governo alcune "raccomandazioni", riassumibili in quattro punti chiave: applicare i trattati internazionali già ratificati e accordare le leggi nazionali ai diritti umani universali; prendere misure concrete, invece di sbandierare slogan su presunti - e fasulli - progressi; creare istituzioni o organismi indipendenti per vigilare sul rispetto dei diritti umani, a livello nazionale e locale; più collaborazione con la comunità internazionale e le istituzioni, favorendo in particolare l'ingresso e il lavoro dei membri Onu.

Intanto in Pakistan continua l'ondata di indignazione popolare per l'attentato talebano ai danni di Malala Yousafzai, 14enne attivista per l'istruzione delle ragazze in Pakistan, colpita con due colpi di pistola e dichiarata dai medici fuori pericolo dopo un delicato intervento chirurgico. Il presidente Asif Ali Zardari conferma il proposito dell'esecutivo di difendere il diritto delle bambine e delle giovani allo studio. In una rara dichiarazione alla stampa, il potente capo dell'esercito gen. Ashfaq Kayani definisce Malala una "icona" che infonde "coraggio e speranza" e bolla come "ambizione crudele" quella dei talebani che vogliono imporre la loro "ideologia deviata". Funzionari governativi hanno infine promesso premi per circa 100mila dollari a chi fornisce informazioni valide per la cattura degli autori dell'attentato.

La terribile vicenda di Malala Yousafzai è solo uno dei moltissimi casi di violazione ai diritti di donne e bambine in Pakistan, soprattutto fra le minoranze religiose. Fra i tanti esempi, ricordiamo Rimsha Masih, la 14enne cristiana con problemi mentali, accusata di blasfemia e ora sotto processo con false accuse, montate ad arte da un leader islamico di Islamabad. E ancora Asia Bibi, cristiana e madre di cinque figli, condannata a morte sempre in base alla "legge nera" - in attesa dell'appello - e che da due anni è rinchiusa in una cella di massima sicurezza. Nonostante gli appelli del Papa e gli interventi della comunità internazionale resta in prigione, con la concreta minaccia di rimanere vittima di un omicidio extragiudiziale; tuttavia, la donna continua a lottare confortata dalla fede e dalla speranza di riabbracciare - un giorno - i propri cari.

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