Pensare Globale e Agire Locale

PENSARE GLOBALE E AGIRE LOCALE


venerdì 12 ottobre 2012

RUSSIA - Putin arma il Medio Oriente

Il nuovo ruolo nella zona della Russia.

di Michele Esposito

Giovedì, 11 Ottobre 2012 - Gli Stati Uniti lontani, le Nazioni unite frenate da veti insuperabili, la Russia impegnata su uno scacchiere diplomatico che, pur partendo da posizioni ben consolidate, non pone limiti ad accordi e alleanze.
Sono questi i pochi punti fermi della bilancia dei poteri in Medio Oriente alla luce della nuova escalation di tensione tra Turchia e Siria.
Il 10 ottobre i caccia di Recep Tayyip Erdoğan hanno costretto un aereo di linea siriano proveniente da Mosca e diretto a Damasco ad atterrare ad Ankara, con il sospetto che contenesse armi. La smentita secca – e piccata – del Cremlino è arrivata a stretto giro. Ma secondo la stampa turca il cargo effettivamente conteneva pezzi di ricambio per armamenti che sarebbero stati sequestrati.
DA MOSCA AIUTI PER DAMASCO E BAGHDAD. Lo scambio di accuse balzato tra Ankara e Damasco e l’acuirsi della tensione ha dimostrato una volta di più quello che tutti conoscono, ma nessuno ha ancora provato: gli aiuti militari russi all’alleato Bashar al Assad, presidente della Siria. Aiuti che, tuttavia, Mosca ha elargito anche a un altro Paese chiave della regione, l’Iraq, in una girandola di accordi tesa ad allargare l’ombra di Vladimir Putin nell’area.
Il 9 ottobre il premier iracheno Nuri Al Maliki ha infatti siglato a Mosca un accordo da 4,2 miliardi di dollari grazie al quale la Russia è diventata fornitore per il governo iracheno di 30 elicotteri da combattimento, 42 sistemi missilistici per la difesa aerea e un ancora imprecisato numero dei sofisticati caccia Mig-29M e di blindati.
IN IRAQ LE AZIENDE PETROLIFERE RUSSE. L’accordo, secondo alcuni analisti, ha svelato una sorta di scelta di campo da parte del premier iracheno, sciita come gli ayatollah iraniani ma, sin dalla sua elezione, alleato degli Usa e dell’Occidente.
Maliki, d’altro canto, è stato ripetutamente dissuaso dai suoi alleati atlantici dal fornire al vicino iraniano attrezzature necessarie per inviare rifornimenti al governo siriano. Ma il premier iracheno deciso a recuperare, all’indomani del ritiro delle truppe Usa, la piena sovranità del Paese, ha deciso di dare il via libera al ritorno delle compagnie petrolifere russe in Iraq, magari sostituendo le grandi multinazionali statunitensi e turche. E dando, indirettamente, un ulteriore mano a quel «blocco della resistenza» che ha nella Siria e nell'Iran i suoi punti chiave e nella Russia il garante dello status quo.

La Russia cerca un nuovo ruolo diplomatico in Medio Oriente


Dietro ai movimenti sembra celarsi un disegno strategico della Russia, orientata a ritagliarsi un ruolo di ponte diplomatico tra le varie anime del Medio Oriente.
Solo pochi mesi fa, delegazioni ad alto livello siriane e iraniane hanno fatto visita al Cremlino. Ma il ministro degli Esteri russo Serghiei Lavrov ha in programma di partecipare a inizio novembre al forum di dialogo con i Paesi del Golfo (quasi interamente schierati con i ribelli siriani, a partire dall’Arabia Saudita) per poi volare al Cairo, dal presidente egiziano Mohamed Morsi. E, nonostante il blocco turco del velivolo della Syrian Airlines abbia innescato la ferma reazione di Mosca (a bordo c’erano anche 17 cittadini russi), i rapporti tra Turchia e Russia sembrano ancora legati a un saldo equilibrio e ad accordi economici che hanno nel nucleare uno dei loro punti di forza. Tanto che, in seguito all’incidente, Putin ha prima rinviato la sua visita ad Ankara prevista per il 15 ottobre - alimentando le speculazioni su una crisi diplomatica tra Russia e Turchia - salvo poi fissare una nuova data per l’incontro, il 3 dicembre.
COMPRENSIBILE LA PAURA DI ANKARA. Nonostante le loro opposte posizioni sulla crisi siriana, secondo gli analisti, Mosca sembra comprendere l’allarme della Turchia sull’escalation di violenze a Damasco, in quanto troppo vicina e pienamente coinvolta nella fuga dei civili siriani. Allarme che, invece, non avrebbe ancora sciolto l’immobilismo dell’Occidente suscitando i malumori del governo di Erdogan. E che inizia a scuotere l’opinione pubblica turca.
L’11 ottobre il giornale turco in lingua inglese Today’Zaman ha denunciato «l’indifferenza» di Usa e Unione europea alla questione siriana. «Oggi la Turchia non ha quest’opzione, costretta all’azione dalla questione umanitaria e da quella della sicurezza. Ma alla fine il Paese è stato lasciato solo», ha scritto il quotidiano, facendosi portavoce della visione di una buona fetta dell’elite politica turca.
GLI USA ATTENDONO IL VOTO PRESIDENZIALE. Contraria, a partire dal premier Erdogan, a imbarcarsi in una guerra dagli esiti imprevedibili e mal voluta dalla stessa popolazione ma tuttora in attesa di uno ‘squillo’ dei suoi alleati occidentali. Forse, per vedere un intervento più concreto statunitense, occorrerà attendere l’esito delle elezioni del 6 novembre. Ma per ora, a fronte dell’attendismo di Barack Obama, la Russia di Putin si sta ritagliando una consistente fetta di potere in Medio Oriente, con buona pace delle istanze libertarie della componente sunnita del mondo islamico.

Nessun commento:

Posta un commento