Bruce
Ackerman/Miguel Maduro 5 ottobre
2012 THE GUARDIAN Londra
Sull’Europa aleggia
uno spettro: il ricordo dei referendum nazionali che nel 2005 bocciarono la
costituzione dell’Ue ha indotto le leadership politiche a reagire all’attuale
crisi con provvedimenti di emergenza che non richiedono alcuna approvazione
popolare.
Tuttavia le soluzioni
sul lungo periodo esigono una legittimazione democratica. Il presidente della
commissione José Manuel Barroso è arrivato ad auspicare una federazione di
stati nazione. Il tedesco Guido Westerwelle, insieme ad altri otto ministri
degli esteri, di recente ha proposto alcune riforme sostanziali che potrebbero
portare a un’Europa a due velocità, a patto che una maggioranza qualificata di
stati membri l’approvi, e il nuovo trattato li vincolerebbe anche se gli altri
stati non fossero d’accordo. Simili riforme radicali non possono essere attuate
senza il consenso popolare.
La democrazia diretta
è sempre un rischio: l’Europa non dovrebbe ripetere gli errori organizzativi
che nel 2005 portarono al fallimento. La convenzione costituzionale produsse
all’epoca un testo di 350 pagine redatto in ostici termini legali che
lasciarono perplessi e confusi gli elettori. Quel che è peggio, non si fece
niente di concreto per incoraggiare i cittadini a riflettere seriamente
sull’importanza della loro scelta. C’è poco da stupirsi, quindi, se il
dibattito nazionale fu in buona parte influenzato da questioni politiche
contingenti.
Questa volta l’Europa
dovrebbe seguire l’esempio dell’esperimento sudafricano che in tre fasi portò
alla creazione di una costituzione. Nella prima fase i promotori cercarono
semplicemente di delineare una dichiarazione sui principi di base. Soltanto in
seguito redassero un lungo testo in termini strettamente legali che descriveva
il nuovo contratto sociale. Infine, spettò alla corte costituzionale del
Sudafrica confermare che quelle prolisse e complesse formule legali erano
effettivamente conformi ai principi ispiratori.
Volendo tradurre
tutto ciò in termini europei, il progetto dovrebbe seguire i trattati
attualmente in vigore e organizzare una convenzione in rappresentanza dei
parlamenti nazionali ed europeo, con la partecipazione dei capi di stato e di
governo e della Commissione europea. Questa assemblea dovrebbe poi dedicarsi
alla formulazione di principi costituzionali chiari e comprensibili, che una
conferenza intergovernativa dovrebbe in un secondo tempo esaminare e rivedere.
Tale dichiarazione di
principio, per esempio, potrebbe esplicitare i poteri generici più ampi
concessi all’Unione, senza includere però un elenco dettagliato delle
competenze; stabilirebbe i principi di rappresentanza all’interno delle
istituzioni europee, senza precisare le regole del voto. Seguendo poi la
recente proposta avanzata dai ministri degli esteri, indicherebbe anche quanti
membri dell’Ue dovrebbero ratificarla prima che il trattato finale diventi
effettivamente operativo tra le parti consenzienti.
La prima fase si
concluderebbe quando ogni stato membro avrà accettato o rifiutato
esplicitamente la dichiarazione di intenti tramite referendum o decisioni del
parlamento, in conformità alle singole carte costituzionali. La natura di fondo
dei principi sarà particolarmente importante in paesi quali la Francia
(sicuramente) e la Germania (probabilmente), che sceglieranno la via
dell’approvazione diretta e democratica.
Niente
cospirazioni
Gli avversari
nazionalisti non potrebbero più accusare un trattato astruso di essere parte di
una grande cospirazione burocratica. Gli elettori dovrebbero fare fronte alle
proprie scelte in termini chiari e razionali, con la possibilità di dichiararsi
favorevoli o contrari, e sarebbero meno soggetti a cadere nelle maglie della demagogia
populista. L’attenzione particolare data ai principi di fondo aiuterà
oltretutto i vari paesi a discutere della necessità di emendare le proprie
costituzioni nazionali (come potrebbe accadere in Germania).
Quando si svolgeranno
i referendum, i cittadini potranno eleggere anche i rispettivi rappresentanti
nazionali per la convenzione della seconda fase, che dovrebbe mettere a punto
il testo finale. Tenuto conto che candidati rivali assumerebbero posizioni
diverse sulla dichiarazione dei principi, un loro dibattito potrebbe aiutare
l’elettorato a comprendere meglio le questioni di base sollevate dal
referendum. E se la cittadinanza si esprimerà per un “sì”, la selezione
popolare dei delegati creerà un ulteriore legame democratico con il documento
finale, accrescendone la legittimità.
La seconda
convenzione non sarà libera di abusare del proprio mandato popolare
discostandosi dai principi fondamentali, ma dovrà al contrario sottoporre il
proprio operato a una corte speciale che ne garantirà la conformità. Il
presidente della corte europea di giustizia presiederà un tribunale del quale
faranno parte i giudici delle più alte corti di ciascuno stato membro. Questo
tribunale avrà il compito di garantire la conformità del testo finale ai
principi costituzionali espressi dagli elettori. Questo controllo giuridico
finale dovrebbe conferire al nuovo trattato costituzionale una legittimità
sufficiente per entrare in vigore senza un ulteriore giro di ratifiche da parte
dei singoli stati membri. E oltretutto ridurrà il rischio di future azioni
legali contro la nuova Unione davanti ai tribunali nazionali.
L’Europa si trova
davanti a una scelta epocale: le leadership politiche non possono garantire un
risultato positivo, ma hanno l’enorme responsabilità di predisporre un sistema
che ponga le domande chiave con modalità che consentano di prendere una decisione
proficua e deliberatamente democratica. Questa procedura in tre fasi potrebbe
concludersi in un arco ragionevole di tempo e costituire la premessa solida e
democratica per un’unione pronta ad affrontare le sfide del XXI secolo. (Traduzione
di Anna Bissanti)
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