Libreville
- Le imprese cinesi da anni stanno penetrando in maniera sistematica nel
mercato africano, dando vita a quella che giornalisticamente è stata da tempo
battezzata Cinafrica.
Una
penetrazione commerciale che, nella sua proverbiale pragmaticità, innervosisce
i governi occidentali e gli Stati Uniti in particolare, impegnati in una
competizione globale con Pechino, che si gioca soprattutto sul terreno dei
Paesi emergenti. E i governi africani mostrano di apprezzare lo stile cinese,
come testimonia il presidente del Gabon, Ali Bongo."Si tratta del fatto -
spiega il Capo di Stato - che arrivano qui e investono. Ma non vogliono essere
coinvolti, non fanno domande". Domande che, nelle stesse parole di Bongo,
riguardano quelli che lui definisce "affari interni" e che la stampa
internazionale traduce con l'espressione "diritti umani".
Ma
da Pechino arrivano subito le precisazioni."Noi facciamo domande - spiega
l'ambasciatore Zhong Jianhua, il più alto diplomatico cinese in Africa - ma
alle volte lo stile è diverso. Noi rispettiamo le persone che occupano le
poltrona di presidenti e non gli parliamo come si parlerebbe a uno studente.
Noi non trattiamo i leader africani come se fossero i nostri studenti. Le
domande le poniamo, ma in privato e con tranquillità".
La
penetrazione cinese in Africa, comunque, è stata finora tutt'altro che
tranquilla e solo lo scorso anno ha portato a un giro commerciale sa più di 166
miliardi di dollari, più del doppio di quello degli Stati Uniti. E se si
aggiunge il tema delle materie prime, sempre più cruciale sullo scenario
geopolitico del futuro, si capisce quanto sia alta la posta in palio
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