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giovedì 22 novembre 2012

EU - Qatar, extrema ratio d'Europa

Meglio i soldi di Doha che quelli dell'Arabia Saudita. Ecco perché l'Ue, Monti incluso, scommette sull'emiro.

di Barbara Ciolli

Benedetto sia il denaro cash di Hamad bin Khalifa al Thani. Per l'emiro del Qatar, l'Europa è solo un'appendice di mille interessi sparsi nel mondo. Lui ha liquidità in abbondanza, un tesoro di 26 trilioni di metri cubi di gas custoditi nel suolo e - dalla Libia, alla Siria all'attivismo per la crisi in Palestina - grandi mire di espansione politica ed economica in Nord Africa e in Medio Oriente.
Arrivato alla canna del gas, il Vecchio Continente ha fame di investimenti, con cui garantire, nonostante l'inarrestabile declino economico, posti di lavoro e servizi ai cittadini. «Non vendiamo i beni pubblici agli arabi», ha messo le mani avanti il premier Mario Monti, in visita nei Paesi del Golfo, a patto siglato.
LA JOINT VENTUREITALIANA. Eppure tant'è. In joint venture con la Qatar Holding, braccio operativo del Fondo sovrano Qatar investiment authority (Qia), c'è il Fondo strategico italiano: la holding controllata dalla Cassa dei depositi e prestiti del ministero dell'Economia, che gestisce i risparmi postali degli italiani e ha partecipazioni strategiche in colossi energetici come Eni e Terna, controllati ancora dallo Stato.
Oggi il business è nel made in Italy di turismo, design, moda e lusso. Domani chissà, il varco è stato aperto e, all'occorrenza, la mano santa di al Thani potrà acquistare quote delle agonizzanti società di servizi e infrastrutture.
IL BALSAMO DELLA LIQUIDITÀ. Succede in Italia, ma anche in Francia e in Gran Bretagna, dove il Qatar possiede ormai mezza Londra. «Questo micro-Stato ha il Pil pro-capite più alto del pianeta e una liquidità immensa», ha commentato a Lettera43.it Brigitte Granville, direttore del Centro di ricerca sulla Globalizzazione del dipartimento di Economia internazionale alla Queen Mary University di Londra «prendiamone atto e accettiamo questo balsamo. In tempi di crisi, sarebbe molto peggio una colonizzazione dell'Arabia saudita».

Tra banlieue e lusso: la colonizzazione qatariota bilancia l'estremismo saudita


Ex protettorato inglese, il Qatar è una monarchia assoluta che ha orgogliosamente rifiutato, dopo l'indipendenza del 1971, di diventare parte dell'Arabia Saudita o dei vicini Emirati arabi. Salito sul trono nel 1995, dopo aver spodestato, con un golpe, il padre Khalifa bin Hamad, sua maestà al Thani non è esattamente un modello di democrazia.
Ma, a differenza dei monarchi sauditi, non ha mai investito miliardi di petrodollari in Europa, per creare proseliti, costruendo moschee, di fondamentalismo salafita e wahabita.
SOFT POWER ANTI-SAUDITA. Grazie anche al fiuto imprenditoriale della seconda moglie Mozah, l'emiro ha invece progressivamente avviato un processo di apertura economica all'Occidente, con investimenti capillari e sofisticati, in campo sia commerciale sia culturale, che gli hanno permesso di diversificare gli affari su scala globale, in grado di poter mandare avanti l'economia nazionale, quando petrolio e gas saranno ormai esauriti. Questo piano finanziario e d'investimento include, obviously, anche una forma propagandistica di soft power politico, da esercitare sia con il network controllato al Jazeera, sia con progetti rivolti alle comunità islamiche in Europa.
IL QATAR RISCATTA LE BANLIEUE. In Francia, per esempio, oltre a mettere le mani sulla maison di Louis Vuitton e sulla squadra del Saint-Germain, facendo incetta di gioielli immobiliari sugli Champs-Élysées parigini, il Qatar ha concluso un accordo con il governo socialista di François Hollande (iniziato con il conservatore Sarkozy), per investire almeno 100 milioni di euro nel riscatto delle banlieue, in una società anche a partecipazione statale francese. «Si creeranno posti di lavoro in sacche di disagio urbano, dove la disoccupazione è al 40%», ha spiegato Granville, «controbilanciando l'influenza dei sauditi e sottraendo potenziali leve al terrorismo islamico».

Da Barclays a Sainsbury's fino al mercato di Camden: lo shopping londinese


Anche gli inglesi, da ex colonialisti, hanno fatto buon gioco a cattiva sorte, aprendo le porte all'emiro qatariota.
In pochi anni, al Thani ha rilevato il 20% del London Stock Exchange (la Borsa di Londra), acquistato i magazzini Harrods, la catena di supermercati Sainsbury's e gli sportelli della banca Barclays. E, poi, ancora, comprato il 20% delle azioni del mercato di Camden, costruito i lussuosi appartamenti di Hyde Park e, per le Olimpiadi del 2012, il villaggio di Stratford. Infine, finanziato il fiore all'occhiello della capitale: l'avveniristico Shard di Renzo Piano: la scheggia di vetro di 312 metri che, dal luglio 2012, è il grattacielo più alto d'Europa.
PRIMO FORNITORE DI GAS LNG. Non solo: al Thani e la moglie Mozah sono di casa a Buckingam Palace, dalla regina Elisabetta II, e tutti i cittadini britannici devono al Qatar le forniture di gas liquefatto naturale (Lng), da un paio di anni, le maggiori della Gran Bretagna.
Osservata dalla terrazza panoramica dello Shard, Londra appare come una metropoli costellata di proprietà qatariote.
Ma anche l'Italia è sulla buona strada: con l'acquisto, la scorsa estate, della casa di moda di Valentino, la sceicca Mozah ha piantato un'altra bandierina del suo shopping in Europa, fatto di grandi magazzini e collezioni d'arte a go go. Già proprietaria dello storico hotel Gallia di Milano e di quote nelle holding della Costa Smeralda, non è un mistero che la famiglia del Golfo punti a entrare anche nell'azionariato di Eni e Finmeccanica.
GLOBALIZZAZIONE AZIENDALE. Sul piatto della 'IQ Made in Italy Venture' ci sono, per ora, 300 milioni di euro di investimento versati a metà da Italia e Qatar, per un capitale complessivo che, in futuro, potrà arrivare fino a 2 miliardi di euro. «Anche la storica Mini inglese, dell'ex società statale Rover, dal 2001 viene prodotta dai tedeschi di Bmw, ma nessuno si scandalizza», ha concluso Granville, «quella del Qatar è una globalizzazione ancora più allargata. In tempi di crisi, l'essenziale non è chi dà lavoro. L'essenziale sono i posti di lavoro».

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