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sabato 17 novembre 2012

INGHILTERRA/FRANCIA - L'Economist attacca Parigi

Crisi, il settimanale lancia l'allarme sulla Francia: «Una bomba a orologeria nel cuore dell'Europa».

di Paolo Saccò

Venerdì, 16 Novembre 2012 - Il titolo del numero di The Economist in uscita il 17 novembre dice già tutto: «Una bomba a orologeria nel cuore dell'Europa».
Il settimanale inglese ha dedicato 14 pagine alla «preoccupante» situazione dell'economia francese, spiegandola con semplicità: «So much to do, so little time» (Così tanto da fare e così poco tempo).
Parigi deve difendersi dalle accuse di The Economist, per la terza volta in un anno, dopo il severo giudizio sulla competizione elettorale tra Nicolas Sarkozy e François Hollande - definita «l'elezione più frivola dell'Occidente» - e la copertina dedicata al «pericoloso» candidato socialista, poi diventato presidente.
«IL CROLLO DELLA CRESCITA». Insomma, dopo le «inquietudini» espresse dalla Germania, il french bashing - il dare addosso alla Francia - sembra andare sempre più di moda. E nessuno vuole perdere l'occasione per dare il colpo di grazia.
Per The Economist una «gravissima crisi economica» sta minacciando Parigi. Le recenti statistiche sembrano «confermarlo»: la crescita «è crollata», il tasso di disoccupazione «è decollato oltre il 10%» e la competitività del Paese rispetto ai cugini tedeschi «si è fortemente deteriorata».
«SPESA PUBBLICA INSOSTENIBILE». Ma i problemi francesi «non si limitano semplicemente al contesto economico».
Il settimanale inglese ha infatti accusato il governo di Parigi di «pesare in maniera smisurata sul bilancio del Paese».
«Il debito pubblico rappresenta più del 90% del Prodotto interno lordo e la spesa pubblica equivale al 57% del Pil: 10 punti in più della Germania», hanno fatto notare da Londra.
HOLLANDE «PEGGIORA LA SITUAZIONE». Hollande resta invece «piuttosto pericoloso». «Le proposte del programma socialista non possono che peggiorare la situazione», è la sentenza inclemente del magazine della City che punta il dito contro l'aumento delle tasse e un clima sfavorevole alle imprese.
Queste misure, è il ragionamento, lungi da avere un impatto positivo, aumentano il rischio di evasione fiscale. The Economist riconosce che «il governo sembra essere diventato più realista riguardo alla gravità della situazione e ha capito l'importanza delle riforme». Ma potrebbe essere già «troppo tardi».

«Spagna e Italia hanno imboccato la via delle riforme. Potete farlo anche voi»


La risposta francese è «arrivata direttamente da Londra», ha sottolineato Les Echos.
Il ministro dei Diritti delle donne, nonché portavoce del governo, Najat Vallaud-Belkacem, ha approfittato del suo intervento al Global progress and policy network organizzato nel Regno Unito, per reagire «vigorosamente».
«Il settimanale dovrebbe rinnovare il suo pensiero», ha dichiarato il ministro, sottolineando come «la solidarietà fiscale unisce un Paese più che dividerlo».
IL PIANO COMPETITIVITÀ. Con molto ottimismo, Belkacem ha trattato il rischio d'evasione come un «dogma del passato».
Il governo «toccato nel vivo» ha citato tutti gli sforzi intrapresi finora: «I fondi che siamo riusciti a stanziare sono due volte più ambiziosi che la media degli altri Paesi europei, e le misure di incentivi alla ricerca saranno finanziate direttamente da tagli alla spesa pubblica», ha spiegato la portavoce del governo Jean-Marc Ayrault.
L'ESEMPIO DI ROMA E MADRID. Intanto però, dalle pagine del Nouvel Observateur, il direttore del The Economist Europa, Johon Peet, ha spiegato ai francesi i motivi di questo «fastidiosissimo dossier».
Molti Paesi in Europa, come la Grecia, la Spagna e l'Italia, «hanno gli stessi problemi della Francia», ha dichiarato Peet, «ma loro hanno ammesso i loro errori e hanno intrapreso riforme strutturali». In Francia invece «nessuno sembra volersi rimettere in discussione».
Certo, il pezzo «era chiuso» ancora prima della pubblicazione del rapporto sulla competitività e delle misure annunciate dal governo. Ma tra il dire e il fare «c'è differenza» e, per il momento, non abbiamo ancora «visto niente». Insomma Italia e Spagna hanno imboccato il cammino delle riforme, «quindi è possibile» anche per la Francia, ha insistito Peet.

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