Pensare Globale e Agire Locale

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venerdì 16 novembre 2012

ISRAELE - La guerra striscia oltre Gaza

Jihadisti vicini ad Hamas, missili iraniani e l'Egitto alle porte:
i rischi del conflitto


di Gea Scancarello

Più che 'Colonne di nuvole' all’orizzonte si vedono colonne di fumo.
Israele ha scelto un nome suggestivo per l’ultima operazione contro le milizie di Hamas  nell’enclave assediata e tormentata della Striscia di Gaza. Un nome meno minaccioso di 'Piombo fuso', come venne battezzata l’analoga missione del dicembre 2008, costata 1.400 vite palestinesi e la distruzione pressoché totale di Gaza City.
LA REGIONE FUORI CONTROLLO. Ma i segnali lasciano pensare che l’ingentilimento sia solo lessicale: la nuova crociata contro il terrorismo annidato nel Sud potrebbe essere ancora più devastante, in termini di vite umane e di conseguenze sullo scenario geopolitico, di quella di quattro anni fa.
In Egitto, infatti, non albergano più dittatori laici disponibili a spalleggiare Israele pur di garantire la tranquillità dell’area. La crisi siriana ha messo in circolazione gruppi jihadisti, in un ipotetico lungo corridoio che va dalla Libia all’Iraq. E l’America di Barack Obama ha altre priorità rispetto allo scacchiere mediorientale.

L'Egitto non è neutrale: il sostegno alla causa palestinese contro Israele


Il primo amplificatore di tensione è l’instabilità crescente del territorio compreso tra la Striscia e la penisola del Sinai, una volta presidiato dai potentissimi servizi segreti cairoti capaci di fungere da filtro e moderatori dell’area in nome della realpolitik.
Dalla caduta del raìs Hosni Mubarak, il deserto è sfuggito al controllo del governo e - denunciano gli analisti - è cresciuta parallelamente l’influenza dei gruppi islamici integralisti presso la dirigenza di Hamas.
L’escalation nel lancio di razzi contro i villaggi israeliani e le armi sempre più sofisticate in mano ai terroristi, in primis il missile di fabbricazione iraniana che ha colpito Tel Aviv, ne sarebbero una prova, insieme con la decisione di non presentare propri candidati alle elezioni in Cisgiordania nel mese di ottobre.
MORSI PER LA FRATELLANZA ARABA. La colpa non è additabile al presidente Mohamed Morsi, un moderato estratto dalle fila dei Fratelli musulmani, che finora ha dato prova di essere capace di muoversi sullo scacchiere internazionale con grande diplomazia. Ma la nuova leadership del Cairo è certo molto sensibile alla questione arabo-palestinese e ha precisato che non ha alcuna intenzione di restare a osservare il massacro dei cittadini di Gaza sotto le bombe delle forze armate israeliane.
A dimostrazione che non sono sole parole, l’Egitto ha mandato rinforzi militari al confine con Israele dichiarando lo stato d’allerta. L’allargamento del conflitto non si può dunque escludere, specie se su Gaza convergessero veramente anche i carri armati israeliani, come ipotizzato dal ministro della Difesa di Tel Aviv Ehud Barack.

La guerra come strumento di rielezione per Netanyahu


Difficile che il primo ministro Benyamin Netanyahu non avesse valutato l’intero scenario quando mercoledì 15 novembre ha dato mandato di uccidere Ahmed al Jabari, il numero due di Hamas, ritenuto l’Osama bin Laden del Medio Oriente.
Ma Israele è chiamato alle urne il prossimo 22 gennaio, dopo il crollo della maggioranza allargata che sosteneva il governo Netanyahu in parlamento. Le quotazioni del premier sono in calo e un’arma - non raffinata ma normalmente efficace - per ottenere un terzo mandato è riproporre la stretta sul terrorismo, dopo aver già spinto l’acceleratore sulle tensioni con l’Iran.
L'ASSENZA DI USA E ONU. Bibi ambisce a rinvigorire la propria immagine di un uomo di comando, un Ariel Sharon moderno in una lugubre riedizione della crisi di Suez (1956) e della Guerra dei sei giorni (1967). Sapendo di potere contare, copione fin troppo noto, sul silenzioso assenso degli Stati Uniti, schierati a fianco di Israele nonostante il tentativo di Barack Obama di tendere la mano all’Islam. E sfruttando anche l’ assenza di rappresenta tività palestinese alle Nazioni Unite.
IL RISCHIO JIHAD. Il conto, tuttavia, potrebbe rivelarsi fallace. Se l’immensa superiorità delle forze armate israeliane rispetto alle milizie di Hamas non è in discussione, l’eventuale coinvolgimento egiziano rischia di complicare le cose.
E, anche se Il Cairo restasse fuori, i confini di Israele sono puntellati da Nord a Sud da combattenti integralisti pronti a battersi per la causa islamica e araba: sia essa siriana, palestinese o nordafricana. Non possiedono le armi e l’organizzazione per battere l’esercito con la Stella di Davide. Ma per continuare a prolungare l’agonia dell’operazione 'Colonna di nuvole' certamente sì.
A tutto danno dei palestinesi costretti nella trappola di Gaza. E dei civili israeliani che vogliono la pace.

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