Per la prima
volta dall'emanazione della legge 40/04 sulla Procreazione medicalmente
assistita (Pma), un giudice ha ordinato a una struttura pubblica di adeguare i
laboratori per eseguire indagine preimpianto o di utilizzare strutture
sanitarie esterne per fornire il servizio affinché venga effettuata la diagnosi
dell'embrione prima che esso sia impiantato nell'utero della madre. L'esame,
oggi eseguito solo dalle strutture private deve essere possibile anche in un
ospedale pubblico, cioè totalmente a carico del servizio sanitario nazionale.
E' l’importante vittoria della battaglia di una coppia - lei affetta da
talassemia maior, lui portatore sano della stessa malattia - che, dopo essersi
vista negata quella diagnosi dall'ospedale Microcitemico di Cagliari si è
rivolta al tribunale della stessa città, con il sostegno dei legali Filomena
Gallo e Angelo Calandrini e delle associazioni Cerco un Bimbo, L'Altra Cicogna
e Luca Coscioni per la libertà della ricerca scientifica. Cronache Laiche
ha intervistato Filomena Gallo, segretario dell'associazione
"Coscioni", a margine di una conferenza stampa alla Camera dei
Deputati dove i Radicali hanno dato la clamorosa notizia.
Perché è
così importante questa ordinanza?
Perché è la
prima volta che un giudice ordina a una azienda sanitaria pubblica di eseguire
un'indagine e, qualora non avesse laboratori idonei, di utilizzare strutture
esterne, attraverso delle convenzioni, come si fa comunemente per altri tipi di
analisi. Fino ad ora in Italia la diagnosi preimpianto veniva effettuata
soltanto in centri privati, con un costo che va dai 6mila ai 9mila euro: le
coppie che si rivolgono alla nostra associazione attraverso lo sportello
chiamato "soccorso civile" ci segnalano infatti che, nelle 76
strutture pubbliche dove sarebbe possibile eseguirla, incontrano soltanto
ostacoli e dinieghi. Nonostante numerose decisioni e una sentenza di
incostituzionalità alla legge 40 da parte della Corte costituzionale, quegli
ospedali continuano a rispondere che non si possono produrre più di tre
embrioni, che non congelano gli embrioni oppure, nel merito della diagnosi
preimpianto, che non la effettuano perché non hanno l'attrezzatura!
Con
l'ordinanza del tribunale di Cagliari, invece, sono costretti ad attrezzarsi?
Esatto. Il
giudice ha sancito un principio fondamentale: chi esegue tecniche di
fecondazione in vitro, quindi extracorporee, deve munirsi degli strumenti
idonei per ogni fase del procedimento. Perché l'ospedale ha l'obbligo (sancito
dalla legge 40) di informare la coppia, in ogni fase della fecondazione, sullo
stato di salute della donna, che a sua volta ha anche il diritto di conoscere
lo stato di salute dell'embrione che viene trasferito in utero.
Chi ancora
si oppone alla diagnosi preimpianto, si rifà alla legge 40 così come era stata
formulata in partenza e alle linee guida del 2004; ma le cose da allora sono
cambiate.
Nel 2004, le
linee guida del ministro Sirchia introdussero un divieto che nella legge 40 non
c'era: l'unica indagine che si può fare sull'embrione è osservazionale, cioè lo
puoi soltanto guardare! Inoltre contro la stessa legge che impedirebbe la
distruzione dell'embrione, dicevano che se l'embrione era patologico si poteva
lasciare estinguere. Ma queste contraddizioni furono eliminate con sentenza del
Tar del gennaio 2008 e nell'aprile dello stesso anno furono emanate nuove linee
guida da Livia Turco. Nel frattempo, ci sono state in tutto 19 sentenze di
tribunali che hanno dato ragione alle coppie che vogliono ricorrere alla
fecondazione assistita e alla diagnosi preimpianto dell'embrione. Così come, a
livello internazionale, è stata la Corte europea dei Diritti dell'Uomo a
sancire la possibilità di fecondazione assistita anche per le coppie fertili
portatrici di patologie genetiche.
Se
l'Associazione Coscioni canta giustamente vittoria per l'ordinanza di Cagliari,
c'è chi, come Eugenia Roccella e Assuntina Morresi o come l'Avvenire di
oggi, torna ad accusare voi e i giudici di contravvenire alla legge, parla di
diseguaglianza e di eugenetica o difende la sacralità del concepito.
Penso a come
debba sentirsi offeso un malato che ascolti tali affermazioni da chi è stato
delegato a rappresentarlo e mi domando come, chi offende un malato, possa
sedere in uno scranno del Parlamento. Al contrario, chi vuole accedere alle
tecniche di Pma o si rivolge a noi, non chiede figli perfetti. Chiede soltanto
figli che abbiano la possibilità di vivere, e semmai di ammalarsi come
qualunque essere umano, senza però trasmettere loro quelle malattie gravi di
cui è affetto un genitore o tutti e due. Ho sentito storie strazianti, nel
corso di questi anni, di neonati che non raggiungono i sei mesi di vita perché
affetti da malattie genetiche. Perché impedire ai genitori di poter sapere in
anticipo, prima che sia trasferito in utero, se l'embrione sopravvivrà durante
la gravidanza e nel momento del parto? E comunque è sempre una questione di
scelta. Di libertà. E il diritto a una cura deve essere rispettato. Oggi, con
la decisione di Cagliari, è stato rispettato il principio di equità
nell'accesso alle cure. Chi può andrà nel privato, ma chi non ha soldi deve
poter accedere al servizio pubblico al 100%.
Che
cambiamento vi aspettate dopo l'ordinanza del tribunale di Cagliari?
Io mi
aspetto che sia il ministro della Salute a intervenire direttamente su tutti i
centri pubblici di fecondazione assistita, obbligandoli ad aggiornare
l'applicazione delle loro tecniche. La legge è cambiata: non c'è più il limite
dei tre embrioni, non c'è più il divieto di crioconservazione, ha una deroga
confermata dalla Corte costituzionale per la tutela della salute della donna e
la diagnosi preimpianto, che se richiesta dalla coppia deve essere fornita. Non
ci deve essere differenza tra pubblico e privato: se c'è, siamo di fronte a una
interruzione di servizio sanitario pubblico, cioè a un illecito penale.
Paolo Izzo
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