932,6
milioni di euro. Tanto è costato ai piemontesi il “gioco di società” degli enti
locali sotto il governo Cota. Spa, srl, consorzi, aziende speciali, fondazioni:
sotto mille forme hanno mostrato il completo fallimento del pubblico occupato
in attività economiche
Scritto da Carlo
Manacorda, economista, Università di Torino
Ai comuni piemontesi sono costate, complessivamente, 932,6
milioni di euro, hanno avuto bisogno di aumenti di capitale
(ricapitalizzazioni) per 49,2 milioni di euro e di coperture per disavanzi per
1,89 milioni di euro, hanno distribuito dividendi per 37,7 milioni di euro.
Sono questi i dati di sintesi per il Piemonte che emergono dallo “Studio
sulle partecipate dei comuni italiani”, redatto dal Dipartimento della Funzione
pubblica e riferito alla chiusura di esercizio dei comuni al 31 dicembre 2011.
Dati di sintesi ed anche dati elaborati, per le prime volte, a livello
governativo con riguardo ad un mondo: le partecipazioni dei comuni,
gelatinoso e sfuggente, disperso in una pluralità di modelli dalle più svariate
nature giuridiche e difficilmente comparabili. Lo stesso Studio si sofferma
infatti, in particolare, sui modelli societari: società per azioni e società a
responsabilità limitata. Gli altri (che comunque esistono e costano), che
censisce in: associazioni, aziende speciali, aziende speciali consortili,
consorzi, consorzi-azienda, consorzi-ente, fondazioni, società di
trasformazione urbana, altri tipi di società, aziende servizi pubblici, li
lascia in una sorta di limbo per le difficoltà di ricavare elementi univoci ed
omogenei di valutazione.
Soltanto da poco tempo, dunque, s’è
cominciato a guardare anche alla realtà delle partecipate dei comuni sulle cui
gestioni, nonostante i fiumi di quattrini drenati dai loro bilanci, non è mai
esistito, o è risultato inefficace ed inefficiente, un vero e proprio
controllo.
E’ la legge finanziaria 2007 (L. 296/2006) che introduce l’obbligo,
per tutte le amministrazioni pubbliche, di comunicare al Dipartimento della
funzione pubblica i dati relativi alle proprie partecipazioni in società o
enti. Dal 2008, ha cominciato quindi a formarsi la banca dati CONSOC
(Gestione della partecipazione di pubbliche amministrazioni a Consorzi e
Società). I comuni che hanno inviato i dati per il 2011 (mancano
soprattutto quelli sui piccoli comuni) hanno dichiarato di detenere 33.065
partecipazioni. Né questo numero deve sorprendere poiché, diversamente da
quanto sarebbe dovuto avvenire, si sono costituite partecipazioni non soltanto
per svolgere funzioni strumentali del comune, ma anche per adempiere a funzioni
che istituzionalmente dovevano restare interne. Ciò naturalmente ha consentito
(e consente) agli amministratori locali di dare corso a forme clientelari da
tanti punti di vista: nomine negli organi delle partecipate, assunzioni non
permesse al comune, acquisti senza applicazione di procedure competitive.
Per arginare il fenomeno della proliferazione
delle partecipazioni, i comuni con popolazione inferiore a 30 mila abitanti
non possono più costituire società e devono mettere in liquidazione, entro il
30 settembre 2013, quelle già costituite al 31 maggio 2010, ovvero cederne le
partecipazioni (salvo che si tratti di società con utili negli ultimi 3
esercizi); quelli con popolazione tra 30 mila e 50 mila abitanti possono
detenere la partecipazione in una sola società (DL 78/2010, L. 122/2010), e
mettere in liquidazione le altre entro il 30 settembre 2013. Anche la legge
sulla revisione della spesa pubblica (DL 95/2012, L. 135/2012) cerca di dare un
taglio alle partecipazioni imponendo di sciogliere le società strumentali che
erogano più del 90% della loro attività all’ente locale, o di metterne in
vendita le partecipazioni. Ancora la legge sulla spendig rewiew
stabilisce che gli enti strumentali che svolgono funzioni fondamentali
dell’amministrazione devono essere soppressi. L’accanimento del legislatore per
limitare il fenomeno delle partecipazioni tende a ridurne la degenerazione
finora avvenuta, con tutti i conseguenti sperperi di denaro pubblico
verificatisi per duplicazioni di personale, oneri per organi di governo degli
enti partecipati, costi di servizi pubblici che potevano essere minori gestendo
gli stessi all’interno delle amministrazioni. Significativo il dato evidenziato
dallo Studio: il risultato economico complessivo delle partecipate dei
comuni è stato di circa 2 miliardi di euro nel 2010, ed è crollato a 470,9
milioni nel 2011 (- 77%).
Il quadro CONSOC riguardante
il Piemonte è sufficientemente completo. Dei 1.206 comuni piemontesi,
1.028 hanno inviato i dati (85,2%). Il Piemonte ha dichiarato 6.370
partecipazioni. L’onere complessivo della partecipazione è stato, come detto,
di 932,6 milioni di euro. L’onere per i contratti di servizio è stato di 597,0
milioni di euro, i trasferimenti correnti e in conto capitale agli enti
partecipati sono stati di 276,5 milioni di euro, le concessioni di crediti 2,6
milioni di euro. L’onere pro-capite per ciascun cittadino piemontese per il
mantenimento del sistema delle partecipazioni dei comuni è stato di 456,29
euro. Per lucrare i 37,7 milioni di euro di dividendi, si sono sborsati “cash”
51,1 milioni per aumenti di capitale e copertura dei disavanzi. Il risultato
economico dell’operazione non è esaltante. Tanto per non perdere il vizio, i comuni
piemontesi hanno anche speso 5,2 milioni per l’acquisizione di ulteriori
quote di partecipazione.
A conti fatti, si attendono sempre le tanto annunciate
liberalizzazioni, che però non sono mai state avviate convintamente (oggi si
vende – e basta vedere la corsa affannosa del Comune di Torino per
vendere le sue partecipazioni – non perché si ritiene che il libero mercato
anche dei servizi pubblici costi meno, ma perché si è finanziariamente con
l’acqua alla gola e si ha necessità di fare in fretta quattrini per tappare
buchi o voragini di bilancio). Poiché anche il legislatore teme che i tempi
delle privatizzazioni non siano brevi ha introdotto, nel decreto 174/2012
in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, un’apposita e
severa norma sul controllo delle società partecipate dei comuni. Se questi
riscontreranno anomalie nelle gestioni delle partecipate, dovranno correggerle
tempestivamente “anche in riferimento a possibili squilibri
economico-finanziari rilevanti per il bilancio dell’ente”. Finirà finalmente la
storia che i sindaci mandano in rosso i bilanci comunali per mantenere
galassie (spesso improduttive) di partecipate?
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