Rossa Massaguè 21 novembre 2012 EL PERIODICO DE CATALUNYA Barcellona
L’escalation bellica
tra Israele e la Striscia di Gaza certifica la comparsa di nuovi protagonisti
nel processo di mediazione per fermare le violenze. Ora l’iniziativa è nelle
mani di un Egitto che non ha niente a che vedere con quello di Mubarak, di una
Turchia che continua ad affermarsi come potenza regionale e di un Qatar salito
da poco alla ribalta internazionale ma con sufficienti mezzi e interessi
(politici, strategici e religiosi) per reclamare un ruolo di primo piano.
Questo quadro è senz’altro figlio dei cambiamenti portati dalla primavera
araba.
E l’Europa? Non c’è e
nessuno l’aspetta. In passato il suo compito nel conflitto israelo-palestinese
è stato quello di saldare i debiti dei palestinesi, molto spesso nei confronti
degli israeliani. Un ruolo perfettamente recitato e che in fondo risparmiava
all’Ue preoccupazioni di altro genere. Ora però la situazione è cambiata. In un
certo senso Bruxelles è ancora disposta a pagare, ma il problema è che l’Europa
ha grossi problemi a mettersi d’accordo persino per rilasciare un comunicato
congiunto. Lunedì 19 novembre, mentre i ministri degli esteri stavano lavorando
al documento,
Regno Unito e Francia sostenevano la necessità di chiedere a Israele di non
lanciare un attacco di terra. Alla fine però il capo della diplomazia europea
Catherine Ashton ha imposto il suo punto di vista, spalleggiata dalla Germania.
In primo luogo il
documento condannava il lancio di razzi contro Israele, in secondo luogo
difendeva il diritto dello stato ebraico a proteggere la sua popolazione e solo
in terzo luogo invitava Tel-Aviv ad “agire proporzionalmente e assicurare la
protezione dei civili”. Il fatto che Gaza, la zona più densamente popolata
mondo, subisca un blocco imposto da Israele non è stato nemmeno menzionato.
I fatti dicono che
l’operazione lanciata da Israele, con l'obiettivo (ufficiale) di fermare il
lancio di razzi con attacchi aerei e dalle navi da guerra, ha provocato la
morte di almeno 147 palestinesi (molti dei quali donne e bambini), il ferimento
di altre 900 persone e la distruzione di molti edifici civili. Confrontando i
danni e le vittime dell’operazione israeliana con gli effetti del lancio di
razzi palestinesi (5 morti) è evidente che non c’è alcuna traccia della
proporzionalità chiesta dall’Europa.
La primavera araba ha
profondamente confuso l’Ue. Dopo aver sottolineato più volte la necessità di un
miglioramento democratico nella zona – sostenendo nel frattempo le autocrazie,
considerate il male minore rispetto all’islamismo – l’Europa non ha saputo come
rapportarsi al movimento democratizzante. La stessa cosa sta accadendo in
questi giorni. Oltre a firmare dichiarazioni che la realtà si incarica di
ridurre immediatamente a parole senza senso, l’Ue sta rinunciando di fatto ad
avere un ruolo nella soluzione di un conflitto che si svolge a pochi chilometri
di distanza. Come se l’Europa non avesse e non dovesse avere alcun interesse
nella zona. (Traduzione di Andrea
Sparacino)
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