Bernard
Guetta 6 novembre 2012 LIBERATION Parigi
Mitt Romney o Barack
Obama, indipendentemente da chi sarà eletto il 6 novembre, il prossimo
presidente americano guarderà al Pacifico e non all’Atlantico, all’Asia e non
all’Europa, come dimostra il loro dibattito di politica estera durante il quale
nessuno dei due candidati ha evocato l’Europa o la Nato; un alleato e
un’alleanza sulla quale si basava l’intera diplomazia americana degli ultimi 70
anni.
Visto che l’Europa
non pone più dei problemi strategici dopo il crollo sovietico e che qui non ha
più nuovi mercati da conquistare, l’America presta ormai tutta la sua
attenzione all’Asia emergente, dove ha posizioni industriali da difendere e una
potenza concorrente, la Cina, da limitare prima che quest’ultima riesca a
imporre il suo potere sui vicini e sui rivali del Nuovo mondo.
Adesso che l’Unione
Sovietica appartiene al passato, fra l’America e la Cina si assiste a uno
scontro titanico. Uno scontro che dominerà questo secolo e che modificherà la
geografia politica, poiché non vi sarà più un Occidente da una parte e
dall’altra dell’Atlantico, ma da un lato gli Stati Uniti e l’Asia, e dall’altro
l’Europa e i suoi mercati orientali e meridionali – due grandi zone in cerca di
equilibri interni che richiederanno tempo per essere definiti.
Questo non significa
che dall’oggi al domani scomparirà qualunque forma di solidarietà fra le due
rive dell’Atlantico. Un legame privilegiato rimarrà di certo, ma sarà sempre
più debole perché gli Stati Uniti e l’Unione europea avranno altre priorità.
Per i primi si
tratterà soprattutto di costruire nei confronti dell’Asia un fronte comune
delle Americhe, unificandole in un mercato comune che andrà dall’Argentina
all’Alaska, e di contrapporre alla Cina un rafforzamento delle alleanze con il
Giappone, con l’Asia del sud-est e se possibile con l’India. Il lievitare delle
spese militari nei paesi asiatici, il nuovo dispiegamento delle forze americane
verso il Pacifico e il braccio di ferro sino-giapponese su un pugno di isole
disabitate annunciano già queste grandi manovre. Il nuovo secolo è cominciato
nel Pacifico e si svilupperà parallelamente nell’Eurafrica, intorno a quel lago
comune che è il Mediterraneo.
Che l’Europa lo
voglia o meno, l’Unione europea non potrà più contare stabilmente sulla
protezione militare degli Stati Uniti. Non solo dovrà finire per dotarsi di una
difesa comune, ma dovrà anche assumersi il compito di assicurare la stabilità
delle sue frontiere realizzando solidi legami con la Russia, l’Africa e il
Medio Oriente, i suoi tre grandi vicini le cui mutazioni non possono lasciarla
indifferente e che rimangono comunque più vicini al nostro continente che
all’America.
La Russia regredisce
sotto Vladimir Putin, che vorrebbe vederla agganciata alla Cina per consolidare
la sua dittatura lontano dalla democrazia europea, ma questo progetto non ha
futuro. La Russia ha bisogno dell’Europa per impedire alla manodopera e ai
commercianti cinesi di continuare la loro annessione della Siberia. Le nuove classi
medie urbane russe guardano all’Europa e non all’Asia. Di conseguenza l’Unione
deve offrire un orizzonte democratico alla Russia, proponendole un radicamento
europeo, che potrà scegliere il giorno in cui si renderà conto dell’impossibile
legame con la Cina. E un discorso simile va fatto per l’Africa e il Medio
Oriente.
Se l’Europa vorrà
stabilizzare l’altra riva del Mediterraneo, se vorrà accompagnare il crescente
sviluppo africano e i primi passi della democrazia araba, se vorrà aprirsi dei
mercati, bloccare l’immigrazione illegale e voltare definitivamente la pagina
del jihadismo, dovrà investire in Maghreb, nel Mashrek e in Africa nera; dovrà
stringere legami con queste regioni attraverso collaborazioni economiche di
lungo periodo. Con la Russia si dovranno gettare le basi di un destino comune,
sicuramente più facile che con la Cina, la cui stabilità è tutt’altro che
certa. È qui che si giocherà il futuro dell’Europa, così come quello degli
Stati Uniti si giocherà in Asia. (Traduzione
di Andrea De Ritis)
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