Pensare Globale e Agire Locale

PENSARE GLOBALE E AGIRE LOCALE


giovedì 8 novembre 2012

USA - Pechino non brinda


Le sfide geopolitiche di Obama.

di Giovanna Faggionato

Dalla Germania la cancelliera Angela Merkel ha ricordato gli sforzi comuni contro la crisi. Dai Territori occupati, il leader dell'Autorità palestinese Abu Mazen ha rilanciato il processo di pace in Medio Oriente. Da Pechino sono arrivate le congratulazioni senza commenti del presidente Hu Jintao, del premier Wen Jiabao e dell'attuale vicepresidente e futuro numero uno, Xi Jinping.
Il mondo ha salutato la rielezione di Barack Obama dosando formalità e gradimento. Ma, oltre ai convenevoli di rito, nei palazzi del potere, ognuno inizia a fare i conti con il secondo mandato democratico.
Ecco cosa cambia per gli altri Paesi e quali sono i dossier che Obama dovrà affrontare. Con «l'esercito più potente del mondo». E molta diplomazia.

1. Cina


Vista da Pechino, la rielezione di Obama è sinonimo di stabilità. Ma non certo di un atteggiamento più morbido in materia di concorrenza economica.
Durante la campagna elettorale, il repubblicano Mitt Romney ha cavalcato la contrapposizione con la Cina, accusando Pechino di manipolare il valore della moneta. A guardare i fatti, però, finora sono stati i democratici a sostenere la linea della fermezza nei confronti del gigante asiatico.
PECHINO SOTTO L'ATTACCO DI OBAMA. Obama ha introdotto dazi su alcune merci made in China, ha posto per la prima volta il veto su un investimento cinese in terra americana (nel settore delle energie rinnovabili, peraltro) e ha sollevato dubbi sull'attività delle società di telecomunicazioni della Repubblica popolare negli Usa. Insomma, come ha sintetizzato il China daily «in sede di Wto ha avanzato più critiche contro la Cina Obama in quattro anni che George W. Bush in due mandati»,
Nel nome degli affari, gli Usa hanno ridimensionato le richieste e le denunce sui diritti civili. Tuttavia la campagna del segretario di Stato Hillary Clinton contro la censura ha fatto breccia e oltre l'80% dei 500 milioni di internauti cinesi sono schierati con il presidente americano.
WANG, VICINO AGLI USA AL POLITBURO. In definitiva, la duplicità delle posizioni dell'amministrazione democratica non ha permesso a Pechino di brindare all'elezione di Obama.
Piuttosto i maggiorenti del Partito comunista si stanno preparando. Il 18esimo Congresso del Pcc che si apre l'8 novembre dovrebbe nominare anche il nuovo comitato permanente del Politburo. Tra i nove (più probabilmente sette) nuovi leader dovrebbe esserci anche Wang Qishan, esperto di strategia economica globale e testa di ponte con gli Usa.
Secondo i cablogrammi di Wikileaks, Wang in un colloquio privato con l'ambasciatore americano avrebbe denunciato l'alto tasso di corruzione della Cina e definito inaffidabili gli attori economici nazionali.
Eppure Pechino lo potrebbe scegliere come nuovo zar economico. Evidentemente, la prospettiva di buoni rapporti con Washington val bene qualche critica.

2. Israele


Il presidente israeliano Benjamin Netanyahu ha seguito lo spoglio del voto americano passo passo, dalla East alla West Coast, rinchiuso nel suo ufficio.
Le relazioni con l'amministrazione democratica sono incrinate ormai da due anni, da quando nel 2010 Obama condannò le colonie israeliane nei Territori occupati. E hanno subito un nuovo colpo quando Washington ha chiuso su un possibile intervento militare contro l'Iran, che Israele vorrebbe guidato dagli Usa, non avendo la forza per sostenerlo da solo.
NETANYAHU TIFAVA PER ROMNEY. Per Netanyahu, destinato a riaffrontare le urne nella prima metà del 2013, dopo l'ennesima crisi di governo, quella in arrivo dagli Usa è una pessima notizia. La sua preferenza per Romney era manifesta. Tanto che a vincitore annunciato, il leader israeliano si è affrettato in una dichiarazione riparatoria: «Il patto strategico fra Israele e Stati Uniti è più forte che mai».
IN IRAN OBIETTIVO COMUNE. Su Teheran, gli obiettivi di Washington e Tel Aviv sono però comuni: impedire che il regime degli ayatollah si munisca di bomba atomica.
La vera sfida nell'agenda di Obama è rilanciare un dialogo vero tra Israele e l'Autorità palestinese.
Dai Territori occupati continuano ad arrivare segnali di apertura, deliberatamente ignorati dal governo israeliano.
L'impresa, insomma, è ardua. A meno che gli stessi israeliani nel 2013 non decidano di cambiare politica.

3. Medio Oriente


C'è un fattore fondamentale che può fare la differenza nella politica estera di Obama gli Stati Uniti sono meno dipendenti dal petrolio straniero rispetto al 2008. L'estrazione di gas di scisto è cresciuta a una media del 48% tra il 2006 e il 2010 e quella di oro nero sta conoscendo un nuovo boom.
Con tutta probabilità Obama deluderà gli ambientalisti, continuando la politica permissiva verso l'industria estrattiva e proseguendo le esplorazioni nell'Artico alla ricerca di nuovi giacimenti.
In compenso, sull'altro piatto della bilancia, potrà avere le mani più libere in Medio Oriente: un privilegio non da tutti.
RAPPORTI RITROVATI CON L'EGITTO. Finora la politica del leading from behind (guida da dietro), sta dando risultati soprattutto in Egitto.
Nonostante alcuni contrasti sui diritti civili e la libertà di espressione, il sostegno economico che Washington offre a Il Cairo ha mantenuto viva la storica alleanza. Con la Libia dilaniata dall'integralismo, i rapporti con l'Egitto e con la Fratellanza musulmana al potere sono per Obama ancora più cruciali.
SIRIA, INTERVENTO SOLO CON L'ONU. Resta apertissimo il dossier siriano. Gli Usa da sempre schierati a favore di una no fly zone, stanno cercando di rafforzare l'opposizione al regime del presidente Bashar al Assad, nell'attesa che emerga un leader credibile. In ogni caso, l'amministrazione democratica si spenderà solo in un'operazione sotto l'egida dell'Onu.

4. Nazioni unite


Dopo aver collezionato una serie di fallimenti (annunciati) in Siria, le Nazioni unite sperano che la rielezione di Obama metta freno al loro declino. O, per lo meno, che non lo acceleri.
I finanziamenti degli Usa rappresentano il 22% dei fondi del Palazzo di vetro. E Romney aveva già proposto di tagliare il budget al Fondo per la popolazione, accusandolo di sostenere la politica cinese del figlio unico.
ROMNEY ERA UNA MINACCIA PER L'ONU. Alfiere dell'interventismo americano nel solco della dottrina Bush, per New York il repubblicano era una minaccia. Nel suo staff aveva assoldato anche John Bolton, ex ambasciatore all'Onu con George W. Bush, convinto che nel Consiglio di sicurezza dovesse sedere una sola potenza: gli Stati Uniti.
La vittoria democratica, invece, offre linfa al multilateralismo sui cui le Nazioni Unite sono fondate. Anche perché, su molti dossier, dalla Siria alla Palestina, Obama potrebbe avere bisogno del loro ombrello.

5. Europa (o meglio Grecia)


Nel mezzo della tempesta della crisi del debito, l'Europa ha trovato in Obama un sostenitore delle politiche della crescita. Per mesi le indiscrezioni lo descrivevano in rotta con Merkel regina del rigore e sbilanciato verso la Francia del socialista François Hollande.
In realtà quella del presidente Usa è stata pura e semplice Realpolitik: se l'Europa non esce dalla recessione rischia di trascinare sul fondo anche l'America. Non a caso, nonostante la acclarata differenza delle ricette politiche, Obama ha trovato come interlocutore il premier italiano Mario Monti.
TAMPONARE LA CRISI DI ATENE. Gli Usa sono interessati a tamponare l'emergenza. A livello economico, quindi, un altro mandato democratico non avrà un impatto diretto sull'Europa nel suo insieme. Piuttosto potrebbe averlo sulla Grecia, ammorbata dai conti che non tornano e ormai avvitata in una spirale recessiva senza uscita.
Gli Usa, assieme a Ocse e Fondo monetario internazionale, potrebbero proseguire nel pressing per allentare le richieste dell'Unione europea ad Atene.
Sarà una coincidenza, ma un editoriale sul tema è apparso, la mattina del 7 novembre, sulla home page del New York Times.

6. India


I rapporti tra New Delhi e Washington sono sempre stati piuttosto freddini. La svolta però potrebbe avvenire proprio con il nuovo mandato di Obama. I motivi sono strategici.
Gli Usa hanno relazioni sempre più complesse con il vicino Pakistan e hanno bisogno di rafforzare la loro posizione nell'area di fronte all'ascesa di Pechino.
Sul primo fronte, Washington accusa Islamabad di coprire i terroristi di al Qaeda e Islamabad contesta agli americani le morti causate dalle incursioni dei droni. A questo punto un asse più forte con l'India, storico avversario pakistano, potrebbe tornare utile.
Sul secondo, gli americani come gli indiani hanno tutto l'interesse ad arginare la potenza cinese, sul piano economico e sul piano dell'egemonia regionale. L'India dovrebbe andare al voto nel 2014: allora i tempi per un avvicinamento politico potrebbero essere maturi.

Nessun commento:

Posta un commento