Romaric
Godin 26 novembre 2012 LATRIBUNE Parigi
Tutti sono d'accordo
nel ritenere che l'Europa soffra di un deficit democratico, di una mancanza di
legittimità e di un crescente disinteresse da parte dei cittadini. Tutti tranne
i capi di stato e di governo della zona euro. Infatti in occasione del vertice
europeo di venerdì scorso, questi ultimi hanno nominato Yves Mersch, l'attuale
governatore della banca centrale del Lussemburgo, nel direttorio della Banca
centrale europea (Bce), nonostante il voto negativo del Parlamento europeo.
Con questa nomina il
Consiglio europeo dimostra il vero valore del Parlamento europeo, dopo che con
il trattato di Lisbona ci era stato detto e ridetto che aveva ottenuto un
"vero" potere. Non importa la ragione per la quale l'assemblea aveva
respinto questa candidatura – in questo caso il fatto che Mersch fosse un uomo
e non una donna.
Un motivo che si poteva giudicare inaccettabile, ma in democrazia il voto del
parlamento non può essere ignorato. Si tratta di una regola fondamentale,
ancora più importante della regola aurea sul bilancio. Una regola però che non
è inserita nei trattati europei.
L'arrivo di Mersch
nel direttorio della Bce conferma la cattiva
strada sulla quale si è avviata l'Europa. I capi di stato e di
governo non vogliono sentire altra voce che la loro. Il fatto è che questo
provoca dei problemi molto più spiacevoli della semplice nomina del
lussemburghese. La gestione della crisi del debito – che da due anni consiste
nel mettere cerotti su cerotti in occasione di "vertici di ultima istanza"
che si succedono a ripetizione – è il frutto di questo metodo disastroso. Il
recente fallimento dell'Eurogruppo sulla Grecia lo dimostra ancora una volta.
La creazione di un
regime parlamentare europeo dovrebbe essere uno dei mezzi per creare quel
sentimento di comunità su scala europea che oggi manca terribilmente. Questo
comporterebbe una maggiore responsabilità degli elettori, dei parlamentari e
dei capi di stato. Del resto fa impressione pensare che questi stessi capi di
stato che oggi si sono puliti i piedi sul voto dei parlamentari di Strasburgo
andranno domani con gli occhi commossi a deplorare l'astensione di massa che
caratterizzerà molto probabilmente le prossime elezioni europee e a sospirare
sul "male che mina la nostra democrazia".
Ma in realtà la nomina
di Mersch è ancora più preoccupante di quello che sembra. Si tratta infatti
della vittoria di una certa idea dell'Europa. Prima di tutto, sul piano
monetario significa l'arrivo di un falco nel direttorio. Un falco che sarà la
voce della Bundesbank e che certamente frenerà, almeno dall'interno, la
partecipazione necessaria della Bce alla gestione della crisi in nome della
"stabilità".
Inoltre, sul piano
della rappresentatività dell'Europa, la nomina di Mersch conferma l'espulsione
dal direttorio di un rappresentante permanente della Spagna. Del resto Madrid
si era espressa contro questa nomina. Non dobbiamo ingannarci: la Spagna è
stata cacciata dal direttorio a causa della sue difficoltà. In altre parole, i
paesi in crisi diventano paesi di serie B. Ancora peggio, i capi di Stato e di
governo hanno ritenuto utile garantire nel direttorio un certo equilibrio fra
nord e sud dell'Europa, confermando così una visione "etnica" del
potere economico. Tutto questo è di cattivo augurio per la gestione del nostro
continente.
Infine, la nomina di
un lussemburghese conferma l'influenza eccessiva del Granducato nelle
istituzioni europee, visto che il suo primo ministro è anche presidente
dell'Eurogruppo. Possiamo anche credere che i sudditi di sua altezza reale
Enrico di Lussemburgo siano più dotati degli altri, ma questa decisione ha ben
altro valore nel momento in cui la stessa Commissione europea critica la
reticenza di questo piccolo stato nella lotta contro i paradisi fiscali e
mentre i grandi paesi lottano per risanare le loro finanze. (Traduzione di Andrea De Ritis)
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