Pensare Globale e Agire Locale

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venerdì 18 gennaio 2013

EGITTO - I giovani rivoluzionari egiziani senza speranza

Fautori delle proteste che hanno rovesciato Mubarak, molti ventenni ora si sentono persi di fronte alla nuova leadership islamica che governa l'Egitto.

I ventenni egiziani, affamati di una società più giusta e di nuove opportunità economiche, si sentono disorientati dopo l'approvazione, il mese scorso, della nuova Costituzione. I giovani, come il graffitaro Mahmoud Aly e lo studente Mohamed Abdelhamid, in Egitto sono stati le truppe d'assalto della rivoluzione. Scesi in piazza nel febbraio del 2011, hanno gridato di andarsene all'allora presidente Hosni Mubarak. E il loro entusiasmo è esploso quando Mubarak l'ha effettivamente fatto. Ora si guardano intorno: e si domandano se qualcuno abbia a cuore i loro interessi nella battaglia tra gli islamisti al potere e le opposizioni liberali.
Aly, i cui jeans strappati sono sporchi della pittura che usa per tracciare slogan politici e immagini sui muri e sugli edifici pubblici di Alessandria, dice che il governo attuale non rappresenta né lui, né i suoi amici e famigliari. Ha perso la fede dopo che il presidente Mohamed Morsi e i Fratelli Musulmani che lo sostengono hanno approvato la nuova Costituzione basata sulla legge islamica, lo scorso dicembre, ignorando le obiezioni di molti egiziani. Abdelhamid, studente universitario del Cairo che lo scorso mese si è schierato con l'opposizione, è convinto che la nuova classe politica farà ben poco per quelli come lui.

La disperazione dei giovani può essere pericolosa sia per gli islamisti al potere, che con le loro misure autoritarie rischiano di alienarsi le simpatie della maggioranza della popolazione, sia per l'opposizione, che volentieri s'ingaggia in proteste ma sembra incapace di offrire una potente strategia di governo o di mobilitare la popolazione locale al momento del voto. «La politica attuale non può garantire stabilità», dice Ammar Ali Hassan, importante scrittore nonché studioso di sociologia politica, il quale stima che il 60 per cento degli 82 milioni di egiziani abbia meno di quarant'anni. «Nessuno creerà un altro regime autoritario, e nessuno riuscirà a restare al potere a lungo, senza l'appoggio dei giovani».
Aly ha creato un graffito per comunicare il suo messaggio di libertà. Una sua opera raffigura i giovani che protestano contro i leader politici del Paese, dominati dai Fratelli Musulmani e dal movimento ultraortodosso dei Salafiti. Attraverso il suo lavoro, Aly spera di contribuire a diffondere consapevolezza politica e un autentico potere ai giovani. «Quando la gente guarda quello che faccio, non voglio che sia per accettare il mio punto di vista: voglio semplicemente far riflettere», afferma. «Forse io sono nel torto e il mio messaggio è sbagliato, ma lascio che siano gli altri a prendere le loro decisioni».
Aly, che ha 19 anni, è ancora convinto che possano essere i giovani a cambiare le cose. «I graffiti e l'arte in generale raggiungono tutti; quando le autorità eliminano un nostro lavoro nelle strade, noi ci rimettiamo subito all'opera», racconta. «Uno di noi torna lì e ridisegna, loro cancellano, noi ridisegnamo, e così via». Aly sente molto forte la distanza tra quelli come lui e i sostenitori di Morsi. Un mese fa, dice, si sarebbe unito agli islamisti dell'università, ma ora non lo farebbe più. Guardarli prendere il potere lo ha riempito di amarezza. «Sono testardi e non vogliono ascoltarci. Se ci fosse speranza, ci avrei già parlato; ma ora la speranza è di convincere la gente per la strada», afferma. «E se i Fratelli Musulmani continuano a non mantenere le loro promesse, la gente comincerà a capire prima o poi».

Abdelhamid, lo studente ventenne di economia all'università del Cairo, esprime il medesimo disincanto. Accusa la leadership islamica di usare la religione per mobilitare i sostenitori e per mettere a tappeto chi li critica, ma dichiara di sentirsi altrettanto frustrato dall'«incompetenza» dell'opposizione. «Dobbiamo cominciare a fare quello che abbiamo fatto ai tempi di Mubarak, quando ci siamo concentrati sul cambiare il paese e la gente: e questo è stato il processo d'innesco della rivoluzione», dice lo studente. «L'opposizione ha bisogno di rivolgersi al popolo perché non ha nessun peso politico al momento». Abdelhamid pensa che per i partiti all'opposizione sarà la solita storia alle prossime elezioni parlamentari, tra qualche settimana, perché sono impreparati e disuniti. Nel frattempo i Fratelli Musulmani hanno già cominciato, in via ufficiosa, la loro campagna elettorale.
Il giovane resta ottimista sul fatto che prima o poi il popolo egiziano saprà indurre un cambiamento come quello che ha spodestato Mubarak. Ma non sa se riuscirà ad aspettare. «Il Paese è allo sfascio; economicamente siamo sull'orlo del precipizio. Abbiamo dato il via alla rivoluzione per un futuro migliore, e ora ci ritroviamo a non vedere nemmeno un futuro», afferma. «Mi laureo a luglio e al momento sto prendendo in considerazione l'idea di lasciare l'Egitto e andare a vivere all'estero». Nonostante Abdelhamid sia figlio unico, la madre incoraggia questa idea e lo spinge a cercarsi un futuro altrove. «Preferirei restare a lavorare in Egitto», dichiara, «ma non posso nascondere la mia voglia di andarmene. Per trovare una via di scampo».

Reem Abdellatif
Articolo originale su Los Angeles Times, traduzione di Belinda Malaspina

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