Pensare Globale e Agire Locale

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giovedì 3 gennaio 2013

Irlanda - Una presidenza da vetrina

Il primo gennaio Dublino ha assunto la presidenza di turno dell’Unione europea. Un’istituzione resa ormai irrilevante dalla crisi dell’euro e dal riequilibrio dei poteri all’interno dell’Ue.

Romaric Godin  2 gennaio 2013 LA TRIBUNE Parigi

Ogni sei mesi si assiste al solito spettacolo. Un paese lascia la presidenza del consiglio dell'Unione europea e un altro lo sostituisce. L'uscente si dichiara soddisfatto del suo ottimo lavoro e il successore annuncia che si sforzerà di realizzare un salto qualitativo nell'integrazione europea. La fine del 2012 e l'inizio del 2013 non si discostano da questa tradizione.

Cipro ha reso noto il bilancio dei suoi sei mesi di presidenza: "la nostra aspirazione era quella di spingere ancora più lontano l'integrazione europea e credo che i risultati importanti della nostra presidenza siano una prova del nostro successo in questo settore", ha dichiarato Andreas Mavroyannis, responsabile presso il presidente cipriota per le questioni europee. A sua volta l'Irlanda, che occupa la presidenza dell'Ue dal 1° gennaio, ha già annunciato che vuole "promuovere la crescita e l'occupazione". In queste dichiarazioni si avvertono i toni di quella propaganda che l'Europa conosce molto bene. La realtà è ben diversa.

Prima di tutto si può discutere sull'"importanza " del bilancio della presidenza cipriota, quando le discussioni sul bilancio europeo hanno messo in crisi i rapporti fra i paesi membri, quando il Regno Unito minaccia di lasciare l'Unione, quando si è dovuto trovare l'ennesima soluzione di emergenza che non risolve nulla della crisi della zona euro e quando l'unione bancaria è ancora tutta da organizzare. Ma il vero problema è che non si può attribuire la responsabilità di tutto ciò alla presidenza cipriota. Di fatto il "suo" bilancio non le appartiene.

Nicosia non è in discussione più di quanto lo siano state in precedenza Copenaghen e Varsavia. Infatti che poteva fare Cipro, un piccolo paese di 800mila abitanti, mentre presiedeva ufficialmente un'Unione europea in crisi e negoziava con la stessa Ue il suo aiuto finanziario? Che potevano fare la Polonia o la Danimarca, due paesi non membri della zona euro, per "dare impulso" a un'Ue malata a causa di un euro in crisi? E che potrà fare l'Irlanda, che oggi sta negoziando una riduzione di oltre 60 miliardi di euro del suo debito bancario presso l'Ue e la Bce, per imporre le sue posizioni agli altri 26 paesi dell'Unione?

Questa serie di domande potrebbe continuare all'infinito. In un'Ue in crisi profonda tutti i paesi si troveranno bloccati dalla crisi della zona euro. Una crisi che ha dato una mano soprattutto al principale finanziatore dell'Unione, la Germania. Di fatto è a Berlino che oggi si fa gran parte della politica europea. Molto semplicemente perché senza la repubblica federale nulla è possibile.

Di fronte alla Germania solo i grandi paesi e le istituzioni come la Commissione o la Bce possono ancora fare, in determinate condizioni, da contrappeso. La Francia e la Spagna hanno potuto imporre l'unione bancaria alla Germania, ma accettando le condizioni di Berlino riguardo il ritmo della sua adozione e il numero di banche interessate. Il Regno Unito tiene testa alla Germania con il ricatto di una sua possibile uscita dall'Ue. Ma la capacità di fare da contrappeso è molto limitata: il progetto della Commissione di rafforzare il bilancio dell'Ue per lottare contro la crisi è stato abbandonato per il rifiuto tedesco, così come i tentativi francesi di imporre un'"agenda di crescita".

Difficile quindi immaginare Nicosia o Dublino imporre al contribuente tedesco la propria visione dell'Europa o cercare di strappare al governo tedesco un compromesso. Ormai la politica europea è soprattutto una politica che si decide fra Berlino e Bruxelles. Ma si potrebbe obiettare che la presidenza di turno è soprattutto destinata a preparare i vari dossier, a dare impulso, a favorire i compromessi piuttosto che a dirigere realmente l'Unione. Il problema è che anche sotto questo punto di vista la presidenza di turno è diventata molto formale.

Dignitari bizantini

Con l'entrata in vigore del trattato di Lisbona nel 2009 è stato creato il ruolo di presidente del Consiglio europeo, oggi affidato al belga appassionato di haiku Herman van Rompuy. Le sue competenze sono molto vicine a quelle della presidenza di turno, con la differenza però di poter garantire una certa continuità e una coerenza nella preparazione dei lavori europei. E di fatto e proprio Van Rompuy a dirigere l'insieme dei servizi del consiglio che gestiscono le riunioni. Di conseguenza è soprattutto a Bruxelles che si decide l'azione del consiglio, e non nei paesi della presidenza di turno. Del resto dal 2004 i vertici europei si svolgono a Bruxelles e non più, come in precedenza, nei paesi della presidenza di turno.

I rappresentanti della presidenza di turno sono diventati soprattutto degli spettatori di lusso; hanno una priorità formale, e assomigliano ormai a quei dignitari bizantini che bisognava rispettare a corte ma che non avevano alcun potere. Ogni comunicato del consiglio tesse le lodi dei lavori e degli sforzi fatti dal paese che presiede l'Ue. Ma si tratta di pura forma. In fin dei conti la presidenza di turno è diventata una sorta di vetrina che permette ai paesi di farsi conoscere meglio. Un'occasione per presentare dei bei siti internet che vantano i meriti della nazione (quello della presidenza irlandese prevede anche un libro di ricette del paese molto completo) o di vantare i meriti turistici del paese (come ha fatto Cipro). Se questo permette di attirare qualche turista ben venga, ma per questo compito esistono altre istituzioni come le "capitali europee della cultura". In questi tempi difficili non sarebbe forse meglio fare a meno di un'istituzione inutile? (Traduzione di Andrea De Ritis)

Da Dublino

Il risanamento prima di tutto


Secondo Suzanne Lynch, corrispondente da Bruxelles dell’Irish Times, l'inizio della presidenza turnante irlandese inaugura “sei mesi di intensa attività Ue a Dublino”. Ricordando che si tratta della settima presidenza per l'Irlanda, Lynch sottolinea che l’ottimismo diffuso in altri periodi della storia Ue contrasta con l’attuale grigiore.

Oggi l’Europa è tormentata dal dissenso e dall’inquietudine, e cerca disperatamente di trovare una risposta alla crisi finanziaria. Nonostante il governo abbia messo a punto un’agenda per “stabilità, posti di lavoro e crescita” durante la presidenza, in realtà è probabile che i prossimi sei mesi siano dominati dal problema del debito e dal tentativo di modificare i termini del salvataggio della Anglo Irish Bank, in un momento in cui il paese tenta di ritornare pienamente sul mercato dei bond e abbandonare il programma di riscatto Fmi-Ue.

L’obiettivo principale del governo durante la presidenza sarà quello di guidare la legislazione attraverso i consigli ministeriali, e in particolare la riforma della Politica agricola comune. Ad ogni modo, conclude Lynch,

La presidenza sarà definita dal modo in cui lo stato bilancerà la sua agenda interna con la responsabilità di fare il bene dell’Europa

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