Due
chiacchiere con Vittorio Mazzoni della Stella già sindaco socialista di Siena e
Vicepresidente del Monte dei Paschi. “Un regolamento di conti all’interno di
una vicenda criminale”.
Nicola
Cariglia 28.01.2013
PENSALIBERO
“Tanti anni
fa, nel 2003, telefonai ad un bravissimo alto dirigente del Monte dei Paschi e
gli domandai perché fosse andato in pensione, dal momento che si trovava in una
posizione di rilievo e poteva restare al lavoro ancora per molto tempo. Mi
rispose testualmente: “ vedi Vittorio, prima c’erano i democristiani e
bisognava svegliarsi a buio perché andavano nel pollaio e mangiavano le ‘ova.
Ma ora non basta, questi mangiano le galline!”.
Per farmi
un’idea del pandemonio che sta squassando Siena, la sua Banca, il mondo del
credito e, di conseguenza, la politica tutta, a livello nazionale, parlo con
Vittorio Mazzoni della Stella. E’ un testimone autorevole di decenni di vita
cittadina: socialista da sempre e per sempre, vicepresidente della Provincia
dal ’79 all’81, Sindaco di Siena per sette anni (’83-’90), facente funzioni di
presidente del Monte dei Paschi nel ’90 e ’91, vicepresidente dal ’92 al ’97.
E’ stato anche amministratore delegato della consociata Capital Service fino al
1999. Mazzoni della Stella nel Monte ci ha passato la vita, avendovi fatto
anche una carriera tutta interna nel suo Ufficio Studi.
Tra noi, non
può essere una intervista ma una chiacchierata tra amici. Ci conosciamo da più
di mezzo secolo: una amicizia nata al Liceo Forteguerri di Pistoia che abbiamo
frequentato assieme. Doveva essere una classe di fissati con la politica. Ad un
certo punto, lui era sindaco socialista di Siena, io vicesindaco
socialdemocratico di Firenze, un altro compagno di studi vicesindaco socialista
di Pistoia, un altro ancora senatore del MSI. Una classe di fissati, ma
pluralisti.
Mazzoni
della Stella ha sempre avuto una riconosciuta qualità: sa cogliere il nocciolo
dei problemi con immagini fulminanti che sono altrettante battute: “credimi,
i derivati sono una questione marginale. Prima che questi si vendessero
l’argenteria, quelle perdite sarebbero state, al massimo, come togliere un pelo
ad un bove.”
Vediamo
perché: “nel 1997, pur da vicepresidente, ho firmato il bilancio di MPS, già
SpA, ma non ancora quotata in borsa. Lo feci in sostituzione di Giovanni
Grottanelli De’ Santi che nel frattempo era diventato presidente della
Fondazione. Un bilancio certificatissimo, per il passaggio da Istituto di
Credito di diritto Pubblico a SpA e per lo scorporo tra patrimonio della
Fondazione (all’epoca la più ricca di Italia) e patrimonio bancario. Ecco,
tramite quel bilancio, Banca MPS “esibiva” 14.460 miliardi di lire di
patrimonio netto ai fini di vigilanza e plusvalenze implicite calcolate
prudentemente tra 15.000 e 20.000 miliardi di lire”.
Faccio
immediatamente il conto della serva, e devo constatare che i 14 miliardi di
euro evocati da Beppe Grillo nell’ultima assemblea societaria, i soldi che
sarebbero spariti in questi 15 anni, sono tutt’altro che una bufala. “Guarda
– mi dice Vittorio – per avere un’ idea ancora più vicina alla realtà, torniamo
ai nostri primi manuali di diritto e consideriamo oltre al “danno emergente”
anche il lucro cessante”. I soldi bruciati, una massa sicuramente enorme,
avrebbero naturalmente dato i loro frutti. Consideriamo anche questo, ed ecco
che i 14 miliardi di Grillo sono una approssimazione per difetto”.
Una
voragine, che chiama in causa un cumulo di responsabilità. Altro che derivati!
“I derivati?
E’ come se uno facesse una strage e, dopo averla fatta, tirasse un calcio ad un
cane. Ci sono due filoni di comportamenti da tenere distinti. Sul primo, gli
illeciti penali, sono da sempre e come sempre garantista. Se la vedranno i
magistrati e le varie parti in causa, danneggiati e danneggiatori. Posso dire
che una volta tanto il mio garantismo trova conforto nel fatto che anche la
magistratura senese è garantista ed estremamente cauta”.
Credo di
avere capito e porto la conversazione su un piano maggiormente esplicito. Per
esempio, come mai proprio ora tutto questo casino,questa accelerazione, dopo
polemiche, voci, che avevano lasciato immutata la situazione. Una sorta di
stallo perpetuo.
“Una manina
fatata ha passato il materiale al Fatto Quotidiano. Era passato troppo tempo da
quando, nel 2010, gli ispettori di Banca Italia avevano accertato i prodotti
tossici e la tenuta irregolare dei libri. Ed anche la trasmissione da parte
degli attuali vertici, lo scorso ottobre, di una scottante documentazione a
procura, Banca di Italia e Consob non aveva avuto miglior fortuna.”
Evidentemente
qualcuno non si è fidato di coloro che sono chiamati a vigilare e adottare
provvedimenti. “C’è un regolamento di conti all’interno di una vicenda che è
criminale. Della quale, però, sono già del tutto evidenti le responsabilità
politiche. Una Banca tra le più solide è stata spolpata e rapinata
sistematicamente ed usata per alimentare quel potere che è il solito che poi
decide sugli assetti dei vertici bancari. Una spirale nella quale si è finiti
col giocare in maniera sempre più spregiudicata, spinti anche dalla volontà di
coprire gli errori e le porcherie precedenti. Si sono comportati come giocatori
di azzardo che cercano di rifarsi con colpi sempre più arrischiati. I derivati
dopo la acquisizione di Antonveneta. Antonveneta dopo la Banca del Salento.
Perché la Banca del Salento, quando fu acquisita, esibiva un patrimonio netto
da 440 miliardi di lire e fu pagata oltre sei volte il suo valore. Io, poi,
preferirei comperare Antonveneta a 9 milioni di euro che il Salento a 2,5
milioni di euro”.
Proprio
questi due acquisti, si sa, sono da tempo indicati come due dei maggiori errori
compiuti dalla Banca e da chi ne era a capo. Errori che si trascinano dietro un
cumulo di chiacchiere sulle quali solo la magistratura potrà dire una parola
definitiva. Ma l’idea di scaricare tutto sul management della Banca o della
Fondazione, proprio non sta in piedi.
“La classe
politica di Siena, che ha deciso Sindaci, Presidenti della Provincia e, di
conseguenza i vertici di Fondazione e Banca MPS, è sempre stata PDS, DS, Ulivo,
PD. Gli altri, il PDL, sotto il tavolo aspettando le briciole, ed anche questo
spiega molto. Con gli amministratori nominati dalla politica della prima
repubblica, dunque con i ladri per antonomasia, il Monte dei Paschi esibiva i
conti che ti ho detto prima. Aveva 23.000 dipendenti contro i 31000 di oggi. I
dirigenti erano una cinquantina e sono arrivati a 500 prima che ne mandassero
150 in pensione anticipata. E tutto questo, bada bene, nonostante la drastica
riduzione del perimetro del Monte dei Paschi che possedeva Banca Toscana,
Credito Lombardo, Cassa di Risparmio di Prato, Steinhauslin, e altri istituti e
filiali in mezzo mondo”.
L’affresco
mi sembra sufficientemente completo. Va da se che le responsabilità non
riguardano la sola classe politica senese del PD. Come minimo occorre allargare
l’orizzonte all’intera Toscana, ove il ruolo della banca senese, a
condizionamento e intreccio con la politica non è meno evidente.
Ma è il
minimo, appunto.
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