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mercoledì 1 maggio 2013

ITALIA – La caccia contro i socialisti: sport antico


Nel momento in cui, almeno in controluce, si prefigura la riorganizzazione del partito cattolico, in Italia, è bene non dimenticare il passato.

La caccia contro i socialisti è stato uno sport antico.

Non cominciò con Bettino Craxi: il leader che, secondo la definizione di Enrico Berlinguer, aveva subito, come un OGM, una mutazione genetica. Bisogna, invece, risalire nel tempo, quando Lenin chiamava 'rinnegato' Kautsky il capo della Seconda Internazionale. E gli uomini di Stalin condannavano o uccidevano uomini come Bernestein o Bukarin: tutti colpevoli di essere eccentrici rispetto al nuovo verbo della "rivoluzione in un solo Paese".

Una lunga persecuzione, quindi, che in Italia ha assunto una dimensione inusitata. Ancora oggi, si può continuare ad essere socialisti, ma solo nel privato. Si può partecipare alla vita politica, ma solo sotto le bandiere altrui. Si può anche assumere una posizione di leadership, come in tanti casi che non è necessario elencare, ma nel rispetto di quell'antica convenzione.

Eppure i socialisti, nella storia d'Italia sono stati, quasi sempre, la punta del cambiamento. Quando i giovani comunisti - e noi tra questi - studiavano il tedesco per comprendere meglio gli scritti di Marx, uomini come Giolitti, Ruffolo, Brodolini rendevano più giusto e moderno questo Paese. E solo pochi anni dopo, era Gianni De Michelis, con il Trattato di Maastricht, a porre la prima pietra della futura costruzione europea, nelle vesti che oggi conosciamo.

E' giunto il momento d'uscire da quell'antica maledizione, ricordando le lezioni della storia. Il torto non era di chi cercava di coniugare il principio di uguaglianza con quello di libertà. Ma di chi negava in radice il nocciolo problematico di quella relazione. Naturalmente i socialisti italiani non sono stati dei santi. Ma chi in Italia ed in Europa può lanciare la prima pietra? Il PCI di Greganti? Kohl, in Germania? Giscard in Francia?

La corruzione, che va combattuta con un impegno ancora maggiore, é la mala pianta di tutte le democrazie. La gramigna da estirpare, ma senza condannare un'intera cultura. Tanto più che in essa si sono riconosciuti milioni di uomini, per i quali il socialismo é stato, per decenni, la luce in fondo ad un tunnel pieno di disperazione.

Naturalmente i socialisti devono fare ammenda degli errori passati. L'unico modo per salvare l'onore della loro grande tradizione. Dovranno cedere il testimone ad una generazione più giovane che ha avuto la fortuna di non essere partecipe di quello scontro politico impietoso. Ma questo non basta.
Già da oggi, non devono più nascondersi, quasi per far dimenticare quello che sono stati.

Ritrovare l'orgoglio di chi era nel giusto e poi sconfitto da una congiuntura avversa che non può essere confusa con la storia. Perché questa si é già pronunciata, sgretolando le fondamenta di quell'antica fortezza costruita sulla "ragion di stato" di un Paese straniero e sulla condanna dei tanti "rinnegati", che hanno saputo tenere alta la bandiera della libertà.

Gianfranco Polillo

Sottosegretario al Ministero dell’Economia e delle Finanze

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