Parla Buemi, leader
dei socialisti piemontesi, appena (ri)entrato in Parlamento: “Siamo portatori
di un modello politico che resta punto di riferimento anche negli anni
Duemila”. I democratici devono ancora celebrare la loro Bad Godesberg
Questioni di
nemesi storica, in fondo. «Siamo i portatori di un modello politico che resta
punto di riferimento indispensabile anche negli anni Duemila» afferma senza
remore. E lo dice mentre in un’Europa ancora alla ricerca di un nuovo sistema
valoriale e di ideali si sono – forse troppo frettolosamente – archiviati
schemi attribuiti al secolo passato. Un vuoto che colpisce anche uno dei
principali partiti della famiglia progressista europea, quel Pd che non è
socialista ma che non vuol morire democristiano, che annovera nel suo variegato
pantheon Madre Teresa e Che Guevara, passando per Craxi e Mandela.
Un Pd erede della “doppiezza” del suo antenato e che ancora oggi non ha
celebrato il proprio Bad Godesberg, congresso storico della Spd in
cui – era il 1959 - i socialisti tedeschi abiuravano definitivamente il
marxismo e la prospettiva del socialismo reale. Un percorso seguito anche dallo
stesso Buemi, prima comunista di area migliorista, poi, con la fine degli anni
Ottanta, trasmigrato nella famiglia socialista, «perché lì vedevo la
prospettiva di un cambiamento per lo il nostro Paese, un nuovo slancio».
Invece, secondo il senatore socialista «il Pd è un partito capace di
cambiamenti più nel nome che nelle prassi, negli atteggiamenti
politico-culturali, nelle modalità d’azione. E lo si vede nelle proposte che
ancora emergono da pezzi rilevanti di quella comunità sulle politiche del
lavoro. Un partito che allo stesso tempo resta indietro sui diritti civili e il
testamento biologico, vittima delle contraddizioni al proprio interno». E nel
pieno travaglio, nelle stesse ore in cui l'Spd avvia il suo terzo cambio di
pelle delineando "un nuovo inizio", il Pd è ancora fermo alla sua Bad
Godesberg mancata.
“Il Partito
doroteo” lo definì a più riprese in una sua arringa all’assemblea dello Sdi,
quando ormai tramontava il progetto della Rosa nel Pugno e con lui la sua - di
Buemi - leadership sul territorio subalpino: «Doroteo è il loro tentativo di
comporre le divisioni in base ai rapporti di potere piuttosto che sulla base di
una riflessione e di uno scontro culturale sui contenuti» Ma poi ammette: «Ho
sempre dichiarato che auspicavo e avrei lavorato per una ricomposizione della
sinistra riformista, pur conscio dei rapporti di forza in campo». Una frase con
la quale si attirerà gli spergiuri dei reduci socialisti, che già puntano le
puntano il dito contro accusandola di aver svenduto il garofano per uno
strapuntino in Parlamento: «Io sono stato chiamato come commissario da Roma,
per prendere la responsabilità di un partito che avevo lasciato nel 2008, dopo
aver perso il congresso. Nelle mie esperienze parlamentari sono stato tra i
pochi in grado di far approvare miei provvedimenti anche quando ero
all’opposizione. Nel 2006 fui promotore di provvedimenti di indulto e amnistia.
Penso di aver dimostrato sul campo le mie competenze».
Lo Spiffero –
Bruno Babando
Pubblicato Giovedì 23 Maggio 2013
Nessun commento:
Posta un commento