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venerdì 24 maggio 2013

ITALIA - “Per il Pd unico approdo: socialismo”


Parla Buemi, leader dei socialisti piemontesi, appena (ri)entrato in Parlamento: “Siamo portatori di un modello politico che resta punto di riferimento anche negli anni Duemila”. I democratici devono ancora celebrare la loro Bad Godesberg

Questioni di nemesi storica, in fondo. «Siamo i portatori di un modello politico che resta punto di riferimento indispensabile anche negli anni Duemila» afferma senza remore. E lo dice mentre in un’Europa ancora alla ricerca di un nuovo sistema valoriale e di ideali si sono – forse troppo frettolosamente – archiviati schemi attribuiti al secolo passato. Un vuoto che colpisce anche uno dei principali partiti della famiglia progressista europea, quel Pd che non è socialista ma che non vuol morire democristiano, che annovera nel suo variegato pantheon Madre Teresa e Che Guevara, passando per Craxi e Mandela. Un Pd erede della “doppiezza” del suo antenato e che ancora oggi non ha celebrato il proprio Bad Godesberg, congresso storico della Spd in cui – era il 1959 - i socialisti tedeschi abiuravano definitivamente il marxismo e la prospettiva del socialismo reale. Un percorso seguito anche dallo stesso Buemi, prima comunista di area migliorista, poi, con la fine degli anni Ottanta, trasmigrato nella famiglia socialista, «perché lì vedevo la prospettiva di un cambiamento per lo il nostro Paese, un nuovo slancio». Invece, secondo il senatore socialista «il Pd è un partito capace di cambiamenti più nel nome che nelle prassi, negli atteggiamenti politico-culturali, nelle modalità d’azione. E lo si vede nelle proposte che ancora emergono da pezzi rilevanti di quella comunità sulle politiche del lavoro. Un partito che allo stesso tempo resta indietro sui diritti civili e il testamento biologico, vittima delle contraddizioni al proprio interno». E nel pieno travaglio, nelle stesse ore in cui l'Spd avvia il suo terzo cambio di pelle delineando "un nuovo inizio", il Pd è ancora fermo alla sua Bad Godesberg mancata.

 

“Il Partito doroteo” lo definì a più riprese in una sua arringa all’assemblea dello Sdi, quando ormai tramontava il progetto della Rosa nel Pugno e con lui la sua - di Buemi - leadership sul territorio subalpino: «Doroteo è il loro tentativo di comporre le divisioni in base ai rapporti di potere piuttosto che sulla base di una riflessione e di uno scontro culturale sui contenuti» Ma poi ammette: «Ho sempre dichiarato che auspicavo e avrei lavorato per una ricomposizione della sinistra riformista, pur conscio dei rapporti di forza in campo». Una frase con la quale si attirerà gli spergiuri dei reduci socialisti, che già puntano le puntano il dito contro accusandola di aver svenduto il garofano per uno strapuntino in Parlamento: «Io sono stato chiamato come commissario da Roma, per prendere la responsabilità di un partito che avevo lasciato nel 2008, dopo aver perso il congresso. Nelle mie esperienze parlamentari sono stato tra i pochi in grado di far approvare miei provvedimenti anche quando ero all’opposizione. Nel 2006 fui promotore di provvedimenti di indulto e amnistia. Penso di aver dimostrato sul campo le mie competenze».


Lo Spiffero – Bruno Babando
Pubblicato Giovedì 23 Maggio 2013

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