Pensare Globale e Agire Locale

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venerdì 31 maggio 2013

UE - Dalla Spagna all'Italia i partiti impantanati in una politica stantia


Aznar pensa al ritorno. Il Cav non molla. Per il politologo Monedero l'Europa è vittima del vecchio che avanza.

Un’immagine si aggira per la Spagna. È quella dell’abbraccio sorridente tra il premier spagnolo Mariano Rajoy e José Maria Aznar, fondatore del Partito popolare, a capo del governo di Madrid dal 1996 al 2004.
Il sodalizio ricorda la coppia Angelino Alfano-Silvio Berlusconi: il delfino con il vecchio maestro, il giovane vicino al decano. Che, nonostante dichiarazioni e promesse, non ha nessuna intenzione di farsi da parte. Anche Aznar, che di Berlusconi peraltro è amico, aveva infatti promesso di fare spazio ai più giovani quando il socialista Luis Zapatero gli rubò la poltrona. Ma erano parole al vento.
L'ANNUNCIO DI UN POSSIBILE RITORNO. Il 61enne leader dello storico partito della destra spagnola ha infatti dichiarato a maggio di essere «pronto a prendersi le proprie responsabilità davanti al Paese», e annuncia un possibile ritorno con una ricetta anti-austerity e parole molto dure nei confronti delle politiche economiche di Bruxelles.
SARKÒ PER TRAINARE I CONSERVATORI. Il copione si ripete uguale in angoli diversi d’Europa. Anche nella Francia colpita dalla recessione, infatti, l’ex presidente Nicolas Sarkozy ha immaginato un proprio ritorno sulle scene, per trainare i conservatori che non riescono a farsi strada nemmeno di fronte al declino di consensi del progressista François Hollande.
Il sistema, insomma, sembra auto perpetuarsi. E non ci sono Beppe Grillo o affini che bastino davvero a rivoluzionare il panorama: maggiore è la difficoltà del Paese, maggiore pare anzi la tendenza a rivolgersi al vecchio.
«Non c’è democrazia senza partiti, ma non con questo tipo di partiti», ha spiegato Juan Carlos Monedero, politologo dell’università Complutense di Madrid. Anzi, i partiti «devono essere riformati sul modello della democrazia partecipativa».


DOMANDA. Cosa non va nei partiti come li conosciamo?
RISPOSTA.
Sono stati per decenni delle imprese di collocamento per incarichi pubblici, e questo non è più possibile. Basta finanziamenti pubblici, basta gerarchie e congressi.
D. Questo garantirebbe il rinnovamento?
R.
Bisogna cominciare dalla democrazia partecipativa, che deve essere alla base del nuovo sistema. E poi inserire un vero ed efficace meccanismo di controllo dei cittadini sull’attività dei partiti. Rendere vincolanti tutti i referendum.
D. Sembra di sentire le proposte di Beppe Grillo, in Italia.
R.
Io sono d’accordo sul fatto che bisogna de-professionalizzare la politica.
D. Sì, ma il M5s e i suoi dilettanti sono stati puniti alle elezioni amministrative.
R.
Sono stati puniti tutti, a quanto ho visto. Perché ha vinto l’astensionismo.
D. E questo cosa significa?
E.
Mi pare un altro segno che i partiti, così come sono oggi, sono destinati a fallire. Non credo che quello del M5s sia un fallimento definitivo: forse è sbagliata la forma, ma le idee sono corrette.
D. Qual è la forma giusta?
R.
Per arrivarci bisogna affrontare un processo lungo e tortuoso, e quando si parte da zero è più facile sbagliare. Ma la sensazione è che qualcosa sia cambiato per sempre.
D. Cosa?
R.
In ampi strati della società c’è una domanda di partecipazione e di cambiamento fortissima. La distruzione del verticismo, l’orizzontalità, la partecipazione sono concetti rivoluzionari e condivisi. Gli esponenti del Movimento 5 stelle in Italia e gli indignados in Spagna, sia pure in modo improvvisato e a tratti immaturo, sono stati gli unici a intercettare questa esigenza di cambiamento.
D. Gli indignados però oggi sono poco presenti sulla scena.
R.
I giovani non sono riusciti a comporre in un sistema al quale sia riconosciuta una legittimità politica.
D. E i vecchi ne hanno approfittato per tornare. Per esempio Aznar.
R.
Per gli italiani non è difficile capire perché lo abbia fatto: gli serviva per garantirsi un salvacondotto giudiziario. E questo vi ricorderà qualcuno.
D. Chi?
R.
Silvio Berlusconi.
D. José Aznar, però, non è imputato in alcun processo.
R.
Sì, ma ci sono due inchieste in corso. I giudici hanno accertato l’esistenza di fondi neri per finanziare i popolari, e una trama di corruzione tra partito e imprese. Gli inquirenti sostengono che Aznar abbia incassato per anni uno stipendio extra proveniente da quei fondi.
D. Dunque il suo ritorno sarebbe dettato da secondi fini?
R.
La sua non è una volontà reale di rimettersi in gioco. Vuole invece spaventare l’attuale governo e i vertici del partito in modo da essere difeso e tutelato.
D. Nella politica spagnola c’è un cambio generazionale?
R.
La generazione di politici emersa durante la transizione dal franchismo è stata molto potente, pervasiva, ha egemonizzato il dibattito culturale. Si disse che loro avevano «ucciso i loro padri», perché avevano rotto con tutto quello che c’era prima.
D. Ma oggi non si fanno rottamare.
R.
No, perché è rimasto a loro il complesso che i figli avrebbero fatto lo stesso con loro.
D. Esiste una categoria di politici inamovibili?
R.
In Spagna chi si avvicinava alla politica negli Anni 90 e 2000 poteva guardarla solo attraverso il filtro della generazione della transición. Un filtro che nel tempo è diventato un tappo.
D. Perché?
R.
Perché oggi i principali partiti sono guidati da leader che bloccano ogni vera proposta di rinnovamento: il socialisti sono guidati da un uomo che 30 anni fa era già ministro e nei popolari sono ancora dominanti alcuni ex franchisti.
D. C’è mai stato un momento in cui i partiti sono stati efficaci e vicini alla gente?
R.
Forse solo nei primi anni dopo la dittatura, perché c’era da ricostruire l’identità di un Paese. Ma in generale sono sempre stati uno strumento di potere, strutture per cedere parti di potere o benefici economici. Da questa consapevolezza, in tutta Europa, si deve ripartire.
 
Marco Todarello

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