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sabato 1 giugno 2013

GERMANIA - I veri complici dell’Nsu


Il processo a Beate Zschäpe, unica superstite del gruppo neonazista, monopolizza l'attenzione dei tedeschi. Ma il principale imputato dovrebbe essere il pregiudizio che ha coperto gli assassini.

Thomas Schmid maggio 2013 DIE WELT Berlino


Il processo iniziato a Monaco il 6 maggio e subito sospeso su richiesta della difesa non è il processo all’Nsu, il gruppo Nationalsozialistischer Untergrund. Non più di quanto il processo di Norimberga del 1945-46 o il processo di Auschwitz a Francoforte dal 1963 al 1965 furono processi al nazismo, e non più di quanto il processo di Stammheim (1975-77) fu un processo alla Raf.

Ogni volta, infatti, si è trattato – e così pure è ancora oggi – di giudicare i singoli accusati, nazisti e terroristi di destra e di sinistra. Quello di Monaco sarà dunque il processo a Beate Zschäpe e altri neonazisti. Niente di più, niente di meno. Un tribunale ha le competenze e il dovere di determinare le responsabilità individuali e di punire i colpevoli. Non è autorizzato a esprimere giudizi su un’epoca o un’ideologia, né sul radicamento di quest’ultima tra la popolazione.

Tutto ciò potrà deludere qualcuno. Infatti gli imputati sono individui insoddisfatti, scombussolati, cocciuti. Non sono sconcertanti o mostruosi, ma meschini. Se li si guarda dritto negli occhi, non vi si vede il male o i loro moventi.

È per questo motivo che il clamore destato dal processo di Monaco ben prima del suo inizio era un po’ esagerato. Questo processo, infatti, sembra già superfluo, e non permetterà di far luce su ciò che almeno una parte dell’opinione pubblica pare attendere con impazienza. Esso attribuisce in modo quasi inevitabile all’accusato principale una personalità interessante ed enigmatica che palesemente non ha – da quel che si sa e malgrado il suo silenzio. Ancora una volta, il male è solo banale. Ma ci si rifiuta di accettarlo.

È così che l’opinione pubblica, per quanto sia attenta, rischia di non vedere il vero scandalo: il numero di anni occorsi per capire e spiegare gli omicidi dell’Nsu, quando la loro motivazione era chiara ed evidente, come è facile dedurre ora a posteriori.

Dal 2000 al 2006 la Germania è stata tempestata di omicidi. Tante persone sono state assassinate per il solo fatto di essere di origini straniere o ex immigrati. Le motivazioni razziste di questi omicidi oggi saltano agli occhi. Oggi sappiamo ciò che avrebbe dovuto essere chiaro dopo il secondo omicidio, al più tardi dopo il terzo. Oggi sappiamo in quale direzione orientare le indagini: verso gli ambienti dell’estrema destra.

Invece i servizi incaricati delle indagini si sono ostinatamente attardati su un’altra pista. Certo, avevano trovato un collegamento tra i nove omicidi in questione, ma tale collegamento aveva gettato discredito sulle vittime, senza alcuna giustificazione, e li aveva addirittura paragonati a delinquenti. Se sono tutti stranieri o di origini straniere – si è ipotizzato – ci sono forti probabilità che si tratti di criminali.

Ancora una volta, quindi, il fatto che si trattasse invece di un’azione di ostracismo delirante salta agli occhi soltanto a posteriori: le vittime sono state considerate su un piano distinto rispetto ai tedeschi di origine tedesca che, loro sì, sono ben integrati e non bazzicano con i criminali. Il fatto che sette delle nove persone assassinate fossero imprenditori non è stato interpretato come il segno tangibile della riuscita di quegli immigrati che avevano avuto il coraggio di mettersi in gioco, ma soltanto come un indizio che si trattasse necessariamente di affari loschi e che tutti fossero vittime di regolamenti di conti all’interno della comunità turca.

Omicidi kebab


I neologismi inventati per quegli avvenimenti – "Döner-Morde", letteralmente “omicidi kebab”, o "commissione ‘Bosforo’” per indicare la commissione d’inchiesta incaricata – parlano da soli, con le loro allusioni offensive e diffamanti. Questa ignoranza della realtà, i fallimenti delle indagini, la stravagante scomparsa dei documenti e lo smacco dell’Ufficio per la protezione della costituzione, specialmente in Turingia, purtroppo hanno permesso alla serie di omicidi di proseguire.

Il presidente del tribunale di Monaco ha la sua parte di responsabilità nel discredito della giustizia tedesca. Non ha afferrato la mano che gli aveva teso la corte costituzionale proponendo di autorizzare tre posti in più nell’aula delle udienze per i giornalisti turchi. E cercando di tenere ancora una volta alla larga i giornalisti esperti di questioni giudiziarie, ha dimostrato di non aver capito l’importanza di questo processo. Una volta di troppo.

Nessun altro paese al mondo si è dovuto confrontare in modo così sistematico e spontaneo con il suo pesante passato criminale. Lo si deve a funzionari instancabili, per esempio l’ex procuratore generale Fritz Bauer, un ebreo tornato a vivere in Germania, senza il quale il processo di Auschwitz a Francoforte non avrebbe avuto luogo. Il merito di tutto ciò va anche a un’opinione pubblica che ha il coraggio di dialogare e che, anche se in ritardo, ha fatto del nazismo un passato che non può e non deve essere tenuto nascosto.

Tuttavia, questa consapevolezza del passato, questa autocritica, non hanno evitato che la giustizia e i media conservassero per anni i loro pregiudizi, e che si trascurasse l’evidenza dei fatti su questi omicidi. Non è mai facile coniugare al presente le lezioni del passato. (Traduzione di Anna Bissanti)

Ritratto

Beate Zschäpe, la terrorista della porta accanto

Beate Zschäpe non è solo una dei fondatori dell'Nsu, ma anche il volto del gruppo terrorista, scrive Der Spiegel. Zschäpe è imputata di diversi crimini commessi tra il 2000 e il 2007, tra cui nove omicidi di immigrati (otto turchi e un greco), l'omicidio di una poliziotta e un attentato dinamitardo a Colonia.

Zschäpe è nata a Jena nel 1975 da madre tedesca e padre romeno, ed è stata cresciuta dalla nonna dopo essere stata abbandonata dai genitori. Secondo lei la sua vera famiglia era composta da Uwe Mundlos e Uwe Böhnhardt, i suoi due complici. "Ha avuto rapporti sentimentali con entrambi, per poi condurre una vita criminale e clandestina", spiega la rivista.

Negli anni novanta il trio è entrato a far parte di Thuringer Heimatschutz (Difesa della patria turingia), la più grande organizzazione neonazista dello stato. Oltre a imbrattare i monumenti alle vittime del nazismo, i tre avevano affittato un garage per fabbricare esplosivi. Il ruolo di Zschäpe era mantenere un'apparenza di normalità, scrive Der Spiegel:

Curava la copertura del gruppo, recitando la parte di amabile vicina, amica leale e coinquilina corretta. Con il suo carattere aperto ed ematico ispirava fiducia. Era come se avesse un infinito desiderio di normalità nella sua vita clandestina.

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